I mille volti dell’umano secondo Larry Fink

La mostra personale appena conclusa al CAMERA di Torino ha reso omaggio a uno dei grandi realisti d’oltreoceano, in novanta scatti di vita americana contemporanea e non. La macchina fotografica di Fink compone un raffinato umanesimo dello sguardo e del contatto, dando forma ad un’antologia che riflette una profonda fiducia nelle potenzialità espressive del bianco e nero.

_ di Alberto Vigolungo

 

“La mia vita è una cascata di rivelazioni empatiche. Una vita trascorsa ad accumulare immagini che attestano un senso di meraviglia sensuale e sociale. È una testimonianza di curiosità sfrenata.”

La citazione era inscritta in una delle cinque sale della mostra dedicata a Larry Fink e dalla quale i curatori hanno tratto ispirazione per il titolo della stessa, inquadra efficacemente i caratteri della ricerca di questo fotografo nato a Brooklyn nel 1941. Una ricerca focalizzata sui corpi e in particolare sui volti dei soggetti, nell’intento di cogliere la sottile traccia di un’emozione. Senza rinunciare a una caratterizzazione dell’ambiente sempre ben definita perché, dal punto di vista di Fink, l’individuo può essere compreso soltanto in relazione ad esso, e alle dialettiche che ne conseguono. Di qui, l’attenzione alla dimensione sociale che, come ricorda la didascalia di presentazione, rientra in una visione di fondo derivata dalla formazione marxista del fotografo statunitense.

In quest’ottica, la ricerca di Larry Fink – sintetizzata nel percorso di mostra lungo un arco temporale compreso tra gli anni Sessanta e i giorni nostri – si sofferma anche sulla questione sociale, come testimoniano gli scatti della serie “Harlem Youth”: scene di alienazione che contrassegnano le esistenze di giovani senza possibilità, ma anche i vivaci giochi dei ragazzini di strada, ritratti in un bellissimo bianco e nero che valorizza l’intensità della luce naturale. Sfondo comune a questa umanità così varia nel suo sentire è l’ambiente del “ghetto”, luogo in cui si manifesta chiaramente la frattura storica di un paese che non ha mai saputo riconoscere  e accettare  pienamente le minoranze come elemento strutturante della propria identità. Rassegnazione e dinamicità, questi i poli entro i quali muove la realtà sociale qui raffigurata, e che ritorna nelle proteste dei giovani bianchi contro Donald Trump, a pochi mesi dalla sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti.

 

La mostra Unbridled Curiosity. Larry Fink, curata dal direttore del CAMERA Walter Guadagnini, insiste su questo elemento di dialettica anche quando la “curiosità” del fotografo si misura con altri contesti, per impressionare momenti di vita borghese e mondana.

Si accede al mondo privato ed eccentrico di un’anziana nobildonna bolognese così come all’ambiente quotidiano di pugili alle prese con i loro allenamenti. Oscuri recessi, scenari di una silente ostinazione. Vengono poi accostati festività e momenti di condivisione della middle-class bianca e “riti” del jet-set, dal ritratto di famiglia nel giorno del Ringraziamento (dominato al centro dalla figura della madre di Larry) alle foto di balli e ricevimenti, dai quadretti dall’atmosfera bonaria e un po’ kitsch delle feste di capodanno alle istantanee di sontuosi party a margine dell’ultima cerimonia degli Oscar (lo scatto che rappresenta una conversazione tra Meryl Streep e Natalie Portman è accostato a quello di un eloquente uomo in frac che pare un vero intrattenitore, con l’aiuto di qualche bicchierino) o sfilata di alta moda in giro per il mondo. Fa pure capolino, oltre a un David Bowie vestito per l’occasione in un evento di metà anni Novanta, un Harvey Weinstein ancora lontano dal finire risucchiato nell’occhio del ciclone metoo. In questo caso, Fink opta soprattutto per piani ravvicinati che immortalano non più di tre-quattro soggetti, ricorrendo ad una luce che esalti il contrasto figura-sfondo, cogliendo un riflesso di verità dietro la facciata dei comportamenti e di quel mondo fatto di apparenze che è il jet-set.

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Proprio l’interesse del fotografo americano per la gamma delle emozioni e per l’empatia delle relazioni umane si riflette in questa predilezione per il primo piano, che diventa talvolta  primissimo piano (elemento ricorrente nelle fotografie che immortalano momenti di intimità familiare) o addirittura particolare, come si osserva in un recente autoritratto. Soluzione che si accompagna sempre alla scelta di un bianco e nero intenso, in grado di valorizzare al meglio le potenzialità espressive dei soggetti ritratti. Ma a ben vedere, questa ricerca è parte di una riflessione più ampia sulla comunicazione che Larry Fink porta avanti in lavori diversi, realizzati anche a distanza di molti anni: ne sono una prova gli scatti che hanno al centro le mani, intese come agenti di interazione e di collaborazione nel lavoro o portatrici di un enigma, come testimonia l’immagine di una coppia che balla in cui la mano di lei sembra essere quasi l’unico punto di contatto con lui, lo sguardo perso nel vuoto, forse attraversato da un’epifania (English Speaking Union). L’ombra del volto dell’uomo, che ricopre parzialmente quello della compagna di ballo, unita al netto contrasto tra il volto della donna illuminato dal flash e l’ambiente circostante, conferiscono all’immagine un senso di sospensione quasi metafisica.

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La ricerca di Larry Fink sulle tracce della realtà e sul valore dell’espressività umana si configura per certi versi come una riflessione sull’essenza stessa della fotografia e sul significato del “gesto” fotografico.

Il punto è che la fotografia non può mai del tutto svincolarsi da un rapporto di mimesis con la realtà, a differenza della pittura, che pure ha impiegato secoli per liberarsi di ogni pretesa in tal senso (e più ancora il suo pubblico, tanto che ad un occhio contemporaneo certe opere astratte risalenti a quasi ottant’anni fa appaiono del tutto indecifrabili). Fink si addentra nelle viscere più profonde di questo rapporto inseguendo lo scatto che fissa la durata di un’emozione. Un lavoro sulla materia indispensabile alla fotografia che lo accomuna ad un altro grande narratore dell’America “per immagini”, Robert Frank, scomparso a settembre.

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