Libertà negate, divieti di scelta, madri e figlie succubi del patriarcato africano: i dieci racconti della scrittrice nigeriana Chinelo Okparanta, pubblicati da Racconti edizioni, ci portano dritti nel cuore di una cultura in cui le donne sono costrette a vestire il ruolo di subalterne, pena l’isolamento sociale.
_ di Beatrice Brentani
Racconti edizioni ha pubblicato, questo febbraio, un piccolo gioiello che ci apre le porte al mondo e alla cultura dell’Africa. I primi cinque racconti di questa intensa raccolta sono ambientati in Nigeria, gli ultimi cinque negli Stati Uniti. Ognuno di questi ultimi, però, riporta sempre il lettore e i protagonisti all’interno dei costumi e dei modi di pensare tipici della cultura nigeriana – ed è proprio questa la testimonianza più incisiva dell’impossibilità di fuggire dalle proprie origini.
Una raccolta di racconti aventi come protagoniste donne che ricoprono ruoli di tipo diverso: sono madri, figlie, compagne, donne sole e donne dai gusti sessuali definiti dalla società africana come “sbagliati”, meritevoli di essere puniti con la fustigazione. Vi è però, nel volume, un’unità tematica: le protagoniste, nonostante le loro differenze, sono accomunate dallo stesso genere biologico, ed essere donna in Nigeria significa essere sempre e comunque inferiore all’uomo.
“Lo immagina precipitarsi a prendere la Traduzione del Nuovo Mondo, tornare con il libro in mano e leggerle dei passi sul matrimonio e sulla condanna del divorzio da parte di Dio. Lo immagina anche chiederle come crede di sopravvivere senza un lavoro, senza un’entrata: «Una donna della tua età che vive alle spalle della madre?». Quando poi glielo chiede davvero lei non si prende il disturbo di rispondere. Ripensa invece a quando insegnava, e pensa a quanto le piacerebbe tornare indietro.”
Perché la scelta di questo titolo? Ce lo rivela la sinossi del volume:
“L’acqua non disseta e non bagna, piuttosto si disperde in rivoli fra le mani; è la felicità, passeggera e per questo preziosa, raccontata nelle moderne fiabe africane di Chinelo Okparanta. Leggendo le sue storie ci immergiamo, accompagnati da una lingua lirica e una cadenza folclorica, in un nuovo mondo sorretto da parole antiche, ascoltate di sottecchi mentre si cucina un riso jollof, tuonate da pulpiti, o peggio ancora mai pronunciate e sepolte in un quotidiano limaccioso e misterico, riaffiorando in superficie, annaspando per trovare l’aria. […]”
Chinelo Okparanta è una giovane scrittrice di origini nigeriane che ora vive negli Stati Uniti. E’ nata a Port Harcourt, dove sono ambientati i primi cinque racconti della raccolta, ed è emigrata con la famiglia all’età di dieci anni. Ha pubblicato nel 2015 un romanzo che ancora non è stato tradotto in Italia, dal titolo Under the Udala Trees, che è stato nominato per numerosissimi premi letterari. Il romanzo ha vinto, nel 2016, il Lambda Literary Award nella categoria General Lesbian Fiction.
I racconti di Chinelo sono un grido di denuncia, di lotta e di ribellione nei confronti di una società estremamente patriarcale dove la voce della donna è come un sibilo impercettibile, schiacciato dagli obblighi sociali, ed è schiava dell’uomo.
Le vicende narrate sono rese ancora più vivide dalla descrizione delle tradizioni e degli ambienti nigeriani. Okparanta è abile a conferire plasticità e concretezza in tutte le sue storie e riservata particolari attenzioni al cibo, simbolo di appartenenza alla cultura del luogo.
“Il caso aveva fatto il giro del paese. Alcuni attribuivano la sterilità alla malignità dei vicini invidiosi (dopotutto, la moglie di Mbachu era molto bella). O forse la causa era l’indifferenza generale dei suoi compaesani. Ma di sicuro, secondo le dicerie, la mancanza di interesse poteva generare un’energia negativa capace di attecchire, in un grembo sterile.”
“In fin dei conti, che genere di uomo sarebbe felice di ritrovarsi come moglie una mgbaliga, una botte vuota?”
Donne vittime di violenza domestica, figlie che hanno un rapporto conflittuale con le loro madri perché vorrebbero emanciparsi dagli obblighi famigliari, donne lasciate sole – quasi dimenticate dal resto della società – perché non riescono ad avere figli, donne mal considerate perché non vogliono sposarsi. I racconti ci descrivono i loro percorsi di formazione e, in alcuni casi, il raggiungimento di una qualche sorta di auto consapevolezza. Sono storie crude e lontane, per la maggior parte, dal lieto fine, ma in fondo in Nigeria il lieto fine per una donna è quasi impossibile. I racconti non tentano di edulcorarci la pillola ma, al contrario, ci mettono di fronte alla realtà dei fatti: per questo sono veri. Persino negli Stati Uniti, in ambienti moderni come le università e in una cultura così diversa da quella africana, non è possibile spezzare i legami con il proprio Paese d’origine. In Tumori e farfalle perfino anni di lontananza non sono sufficienti a troncare un rapporto malato.
“È stato sempre e sarà sempre tutto incentrato su di lui: evitare che si arrabbi, prendersene cura, preparargli da mangiare in questo o quell’altro modo. Sarà sempre la tua priorità […]. Prendersi cura di una persona violenta è una cosa, ma costringere gli altri a fare lo stesso, qualunque siano le tue ragioni, è ugualmente una forma di violenza.”
Tutte le protagoniste si muovono e agiscono all’interno di un contesto che non fa che generare in loro un tremendo senso di colpa. Chi si ribella sbaglia e dev’essere punito. Sono personaggi eroici ma anche molto deboli, sopraffatti da una realtà che li vuole succubi fin da quando nascono. Persino le madri, che per prime hanno vissuto sula loro pelle i dolori e le ingiustizie dei loro padri e dei loro mariti, cercano di convincere le figlie alla resa, all’abbandono al volere degli uomini.
Riuscire a ritagliarsi un piccolo pezzetto di libertà può costare la reputazione e può condannare a un’eterna sensazione di peccato:
“E ogni tanto penso che se dovessi trovarmi in una valle piena di ossa, creerei una nuova Eva da un insieme nuovo di ossa. Vi metterei dei nervi, sulle sue ossa aride, e su questi nervi della carne. E farei in modo che, con un suono simile a un clic, tutto andasse al suo posto. Le infonderei il respiro e questa nuova Eva prenderebbe vita. Camminerebbe tra gli alberi del giardino. E berrebbe dalle acque del fiume. E ancora una volta, mangerebbe il frutto proibito. Ma non verrebbe bandita dal giardino, perché le sarebbe concessa la possibilità, solo una, di chiedere perdono. E verrebbe perdonata.”
Okparanta tocca nel profondo numerosi temi, dalla preoccupazione per l’ambiente – i luoghi descritti sono sempre circondati da rifiuti e sporcizia, senza contare poi America, in cui si parla di enormi perdite di petrolio in mare – all’omosessualità, dalla religione al matrimonio e all’aborto, dai riti magici del folclore locale all’ossessione per la pelle chiara.
Il volume è un piccolo compendio di un mondo, purtroppo, ancora molto attuale.