Sea of Solitude: i mostri dentro di noi

Sea of Solitude è un videogioco “indie” a tutti gli effetti – è stato realizzato dal piccolo studio Jo-Mei Games, per poi essere commercializzato da Electronic Arts. 

_ di Mattia Nesto

In un mercato come quello dei videogiochi in cui, purtroppo, sempre più abbondano esempi di titoli tossici venduti a prezzo pieno ma che, a conti fatti, o risultano incompleti in sede di day-one/giorno di lancio o, ancora peggio, dopo pochi mesi vengono completamente abbandonati dalle software house, lasciando il giocatore in balia di un qualcosa non soltanto di imperfetto ma anche di semi-truffaldino. Eppure, al contempo, proprio in questi anni stiamo assistendo ad un vero e proprio “rinascimento” di titoli cosiddetti indie, ovvero quei giochi che, pur non avvalendosi di una casa di produzione “da tripla A”, riescono a sfornare non solo titoli molto interessanti ma che vanno a porsi in un posto molto speciale nel cuore dei giocatori. Qualche tempo fa vi abbiamo parlato di Gris, un gioco che ci aveva davvero colpito per il piglio originalissimo con cui si è trattato il tema del dolore e del lutto personale. Oggi torniamo con un nuovo titolo su questa stessa lunghezza d’onda: stiamo parlando di Sea of Solitude.

Tuttavia nonostante l’opera non potesse disporre di un budget da tripla A, il lavoro è qualcosa che non abbiamo paura a definire come eccezionale. La protagonista è Kay una ragazza raffigurata con delle sembianze molto particolari, ovvero come una sorta di umanoide “peloso o piumato”, quasi completamente nero pece e con gli occhi rossi, inumani verrebbe da dire. Un personaggio quasi “negativa”, anzi “in negativo” che fa da contro-altare ad un ambiente di gioco realizzato in modo ispirato e sognante. Già perché, ricalcando grosso modo la città di Berlino, il mondo di Sea of Solitude è composto da, giustappunto, una metropoli, pressoché onirica, semi-sommersa ed entro la quale ci si potrà muovere tramite un’apposita barchetta oppure con session di esplorazione simil platform.

Eppure il gioco non è tutto qui, anzi proprio per niente. Già perché il viaggio di Kay attraverso questa misteriosa città, e attraverso il repentino cambiare non soltanto del clima ma anche del “mood atmosferico”, con il sole caldo che viene sostituito ad una pioggia battente che cambia anche, con grande gusto, l’intera palette cromatica, è soprattutto un viaggio attraverso le proprie paure. In questo caso però, al contrario di Gris in cui il discorso era soprattutto di tipo “filosofico/acustico/immersivo”, qui le paure, o comunque i traumi che la giovane ragazza ha subito lungo la sua vita, sono concretizzati sotto forma di inquietanti creature che popolano i meandri di questa Berlino semi-sommersa.

Ed ecco allora che il giocatore, sostenuto da una colonna sonora incredibilmente ben realizzata e che sottolinea con gusto i momenti topici della vicenda, accompagna Kay in questo suo viaggio di esplorazione “fuori e dentro di sé” che la porta a fare i conti con le proprie paure. Ma di che tipo di paure stiamo parlando, forse di qualche demone che minaccia la Terra intera oppure di una colpa di sangue di cui la ragazza si è macchiata tempo addietro? No, nulla di tutto questo, ed è proprio questo il motivo che ci fanno dire come Sea of Solitude sia qualcosa di prezioso nel mercato moderno: già perché le paure e le colpe di Kay sono “le nostre colpe”. Ovvero la paura di rimanere da soli, la paura di avere ferito qualcuno senza volere, la paura di non essere accettati per quello che davvero si è, la paura di aver abbandonato qualcuno di importante, la paura di non essere capiti.

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Questa è la grande trovata di Sea of Solitude, ovvero quella di farci combattere direttamente contro i mostri che popolano il nostro Io. Ecco perché le creature che albergano in città alle volte ci possono spaventare e intimorire ma il più delle volte siamo portati quasi ad empatizzare con loro e, in certi casi, quasi a provare pietà. Similmente alle emozioni suscitate durante le lotte contro i Titani di Shadow of Colossus infatti le nostre “vittorie”, ovvero l’abbattimento di questa o quella creatura, non saranno mai da festeggiare con ricompense o equipaggiamenti speciali (o peggio con le classiche monete dorate sonanti) ma invece ci causeranno una fitta al petto, quasi come se “stessimo colpendo la nostra stessa anima”.

L’autrice del concept, Cornelia Geppert, “avverte” il giocatore proprio nella schermata iniziale del titolo dicendo che “nonostante qui si parli di dolore personale, questo gioco non ha valore scientifico o di manuale su come superare un momento buio”. Questo per dire quanto Geppert abbia, letteralmente, “messo se stessa” dentro questo progetto, facendo così risplendere tutto di una patina umana di incredibile forza emotiva e narrativa.

Anche se su Reddit il gioco non ha probabilmente raccolto i voti che si merita (QUI le recensioni), molti critici hanno accolto con grande ammirazione e interesse questo titolo. Un gioco che, va da sé, presenta anche qualche difetto, come ad esempio alcuni momenti di clipping parecchio fastidiosi anche se, per esempio, muoversi con la barca lungo le vie marittime risulta molto meno legnoso e difficoltoso di altri titoli molto più “quotati”. Eppure noi ci sentiamo di consigliarvi caldamente questo gioco, uscito per PS4, Xbox e Pc, visto che parla soprattutto di noi e di ciò che fa paura. Come recita un antico adagio, il modo migliore per sconfiggere una paura è conoscerla: se per conoscerla occorre giocare, tanto meglio.