Luciano Ricci narra con garbo, dolcezza e comprensione la storia di due donne intrappolate in destini tracciati ma libere, in seguito al loro incontro e all’amore che le travolge, di vivere se stesse e le proprie emozioni con onestà.
_ di Roberta Scalise
È una storia di amore, prime incertezze e rivoluzioni copernicane quella narrata in “La fanciulla delle fate”, romanzo d’esordio di Luciano Ricci edito recentemente da Leucotea Edizioni e incentrato sulla passione emotiva e inaspettata che sconvolge le protagoniste, Anna e Teresa: due donne giovani e intrappolate in solchi di destino ormai tracciati, ma finalmente libere, in seguito al loro incontro, di sperimentare se stesse e le proprie sensazioni in forma sincera e scevra di vincoli.
«Ella doveva nascere libera, libera di fare le scelte della sua vita senza condizionamenti e, prima o poi, avrebbe capito, avrebbe visto con i suoi occhi che l’amore vince sempre, che se si ama nulla è impossibile».
Personalità forti e carismatiche che il narratore, onnisciente e, al contempo, incuriosito dal susseguirsi delle vicende, delinea con cura nei loro contorni fisici e sentimentali, offrendo al lettore uno scorcio su due vite intense e specularmente insoddisfatte: da un lato, infatti, vi è Anna, ex pallavolista professionista e, ora, allenatrice e impiegata congiunta a Roberto, con il quale si ritrova ingarbugliata in un matrimonio ormai affievolito e dalla fiamma mai realmente accesa e appagata; dall’altro, invece, Teresa, chef eccelsa ma profondamente travolta e condizionata dalle ingerenze genitoriali e delusa dal comparto maschile, la cui unica consolazione è rappresentata dal barboncino Attila.
Due esistenze, dunque, spente e abitudinarie, che scorgono, però, una via di fuga dalle proprie catene in uno scontro fisico e ideologico tra due infelicità sussurrate e spaesate, e il cui sfondo è caratterizzato dalla «splendida “terrazzata” intitolata ad Anita Garibaldi» di Genova: il luogo “galeotto” e culla di un amore tenero, travolgente e imprevisto, cui le donne decidono ben presto di soccombere assecondando emozioni ignote ma perfettamente aderenti ai propri animi.
Riconoscendosi, così, in un chiasmo di bisogni e desideri in grado di denotare vuoti inascoltati e presenti da tempo, ma ora colmati da un tripudio di dolcezza e rispetto totalizzanti dei quali Ricci riporta con garbo, attenzione e candore i turbamenti iniziali, le gioie insperate e le sorprese conseguenti. E il cui risultato è, quindi, un rapporto spontaneo e pieno, non privo, tuttavia, di sconvolgimenti e deviazioni, coronati, poi, da una gravidanza dapprima fortemente contrastata da Anna – in quanto frutto di un legame essiccato con il marito – e, in seguito, affettuosamente accolta da entrambe le donne, come sinonimo di rivalsa e, insieme, materializzazione di un progetto di evasione tanto folle quanto necessario.
La piccola Ella, ossia “la fanciulla delle fate” – in cubano –, infatti, non è solo un essere umano, ma raffigura soprattutto la meta di un cammino tortuoso fatto di coraggio e orgoglio, di un’accettazione di sé e del proprio essere che travalica – letteralmente – le frontiere, e che Ricci, nonostante l’incertezza dell’esordio, delinea con estrema caratterizzazione e dolcezza, rendendosi, così, portavoce di un messaggio sotteso ma dalla forza inesauribile e fortemente attuale – ed esplicato da un personaggio in apparenza secondario ma, infine, drammaticamente risolutivo:
«[Ella] aveva un viso felice, sembrava contenta di vivere la sua vita circondata da tanto amore e gioia: questa cosa lo fece riflettere a lungo. Carlo si domandò se fosse pronto a cogliere l’immagine di una bimba con due madri o se la sua educazione e i suoi preconcetti glielo impedissero. E si tormentò per capire se fosse in grado di accettare l’amore solo per quello che rappresentava, il sentimento più puro e profondo che due persone possano scambiarsi, o se non riuscisse a scavalcare i suoi blocchi, i suoi limiti e gli stereotipi della società, che bandiscono l’amore tra persone “differenti”: per il colore della pelle, per l’estrazione sociale non compatibile, perché dello stesso sesso».
Perché spesso, oltre il “diverso” che incute terrore, germoglia, tra le crepe, la bellezza.