Con Notti magiche. Arte italiana anni novanta dalla Collezione Sandretto Re Rebaudengo, Giorgina Bertolino e Irene Calderoni sfogliano un libro di storia dell’arte che lasciano aperto a quel capitolo che da sempre la Fondazione studia con attenzione: le scene artistiche delle giovani generazioni nazionali e le vivaci ricerche che interessano l’arte italiana.
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_di Stefania Balocco
Erano altri tempi: gli Anni 90. Gli anni in cui Notti magiche rimpiazza l’inno di Mameli; quelli in cui la Guerra del Golfo diventa la prima guerra del villaggio globale. Sull’orlo del nuovo millennio, la vertigine per il futuro fa tremare i confini geografici, politici e morali che si disfano, si mischiano e si ricreano, mettendo in discussione ciò che si credeva essere un terreno sicuro. Intrecciate e aggrovigliate, quelle linee di separazione-connessione assomigliano alle reti del neonato World Wide Web. Ci si confronta con nuovi estranei lontani, con le notizie dal mondo, e ci vien voglia di definire una nostra identità.
Il percorso della stanza ha inizio con l’installazione di Eva Marisaldi ed un video di Grazia Toderi. In Minima Arteria, Marisaldi traccia figure amiche ed un percorso che invita a viaggiare fin dentro un luogo sacro, che richiama un rito semplice, popolare, fatto di voci e sussurri appena percepiti. La pista degli Angeli di Toderi offre invece una ripresa aerea notturna su Castel Sant’Angelo a Roma. L’edificio a forma di stella ribalta il sopra e il sotto: osserviamo sulla terra ciò che solitamente brilla in cielo. L’ipnotico cortocircuito ci fa atterrare sul mondo, per calpestare e vivere gli strati in divenire della città eterna.
Di ritorno dal viaggio, possiamo entrare nella stanza. La mostra si snoda tra le polarità: il peso e la leggerezza, il fuori e il dentro, l’identità e l’estraneità. Così la tenda di carta del Giardino di Monet di Stefano Arienti espone il retro bianco dei manifesti su cui è stampata la riproduzione di un giardino del noto impressionista, forati per far inspirare ed espirare l’opera, mescolando l’interno e l’esterno; Mario Airò crea il rifugio protetto di Le mille e una notte – tutte le risate, un’atmosfera intima che nasce da una tenda e da risate femminili per proteggersi dal mondo. Quello stesso mondo fatto d’omologazione e crisi d’identità che le ragazze della Beecroft incarnano, spudoratamente messe in mostra e quasi indistinguibili le une dalle altre. 100 Cinesi, altrettanto simili tra loro, le osservano senza paura, senza temere il luogo comune secondo il quale tutti gli asiatici paiono uguali agli occhi degli occidentali.
La squadra cinese di Paola Pivi è pronta a sfidarci; ed il far politica partendo da un’occasione ludica è sicuramente l’arma vincente di Maurizio Cattelan: Cesena 47 – A.C. vede scendere in campo il sentimento d’appartenenza e l’esclusione dell’immigrato. L’ironia tagliente di Cattelan mette in scena le tensioni dei due gruppi, schierati nel gioco e nella vita di tutti i giorni. L’incontro ‘bianco-nero’ è una datata foto-ricordo all’italiana che più istantanea non si può: la partita di calcio balilla, organizzata dall’artista nel ’91, vede sfidarsi undici riserve del Cesena ed undici immigrati senegalesi dell’A.C. Forniture Sud, squadra fondata da Cattelan stesso e sponsorizzata dalla Rauss, una sconosciuta ditta di trasporti. Attuale e pungente, continua a prendersi gioco della xenofobia; ed è goal.
Il secondo opening della serata è per Here Not Here, mostra a cura di Michele Bertolino che conclude l’edizione 2018-2019 di The Institute of Things to Come, il programma itinerante curato da Valerio Del Baglivo che dal 2017 propone di indagare le varie forme d’immaginazione nell’ambito della curatela e delle pratiche artistiche. Durante l’anno di attività i sei artisti – gli Associates Josephine Baan, Constantinos Taliotis, Emily Fitzell, Jérôme de Vienne, Stephanie Winter e la curatrice Emma Brasò – hanno lavorato riflettendo sul tema della TERRA INCOGNITA. Quel luogo in cui perdersi, tra realtà e finzione, dove le bussole impazziscono a seguire metafore e direzioni extra-terrene.
La stanza è buia, il soffitto è abbassato e comprime lo spazio; le opere affiorano come frammenti sopravvissuti allo scorrere del tempo, in parte illuminate da occhi di bue provenienti dal cielo. Se vengono colpite dalla luce è solo per caso: sta al pubblico dirottare il fascio luminoso, utilizzando degli specchi lasciati a terra.
La visibilità di un punto rispetto ad un altro dipende da noi. Come in un sogno, intravediamo e non vediamo completamente: siamo calati in un’atmosfera surreale ed inconscia, dalla quale possiamo uscire momentaneamente per scorgere ciò che sta sopra le nostre teste ed un raggio di sole (Speculare, Jérôme de Vienne). Tornati nel sottosuolo, le opere sono isole d’approdo tra le quali andare alla deriva, perdersi e riemergere: camminiamo tra le soglie negli schermi di Quartet (Constantinos Taliotis), i detriti di un luogo rituale di INTERRE/UNEARTHS (Emily Fitzell) e le testimonianze di un pianeta lontano in Beginning of All, The Contemplator e Zustand III (Stephanie Winter). Il non-luogo si svela all’inaugurazione con la performance Versed in the Void di Josephine Baan – in collaborazione con Chiara Cecconello e Amos Cappuccio – il tentativo di materializzare la voce in uno spazio, di dare corpo all’interiorità che esiste in un suono.
Quelle di Here Not Here sono terre fittizie, che non stanno né qui, né lì. Gli artisti giocano con l’insicurezza e la difficoltà di definizione di uno spazio futuro, dove forme utopiche di sovversione e libertà confluiscono insieme, senza fermarsi in un luogo vero. Oppure, stanziandosi ovunque.
Notti magiche. Arte italiana anni novanta dalla Collezione Sandretto Re Rebaudengo
5 giugno – 29 settembre 2019
Here Not Here
5 giugno – 7 luglio 2019
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Via Modane 16, Torino