La nuova produzione targata Netflix “Elisa y Marcela”, ispirata alla storia vera del primo matrimonio omosessuale della storia registrato nella Spagna ultracattolica del 1901, si ricollega per tematica, scenario e approccio a “Carmen y Lola”, film vincitore dell’edizione 2019 del Lovers Film Festival. La Spagna ci mostra con orgoglio il suo volto LGBTQI, chiedendo a quattro protagoniste di incarnarne il ruolo.
_ di Beatrice Brentani
Elisa Sánchez Loriga e Marcela Gracia Ibeas si sposarono nel 1901 in Galizia. Elisa si allontanò, per un certo periodo, dal paese in cui vivevano, per poi tornare vestita da uomo e con una falsa identità, quella di Mario Sanchez, così da poter sposare Marcela. La coppia poi fuggì in Argentina.
Isabel Coixet parte proprio da questa storia e porta all’ultima edizione del Festival di Berlino un film che racconta degli albori delle prime lotte di ribellione per i diritti civili. Sì, sono trascorsi solo 14 anni da quando sono stati legalizzati i matrimoni omosessuali in Spagna (2005, governo Zapatero) – ma se pensiamo alla situazione italiana (in cui dal 2016 sono state legalizzati soltanto le unioni civili, non i matrimoni) la situazione spagnola può effettivamente sembrare molto più gradevole – e ancora c’è tanto da fare, da far conoscere, da apprendere. E non solo in Spagna, non solo in Europa – questo “solo” ridondante non è casuale, è utile per comprendere che quello che si è raggiunto non può (e non deve) essere sufficiente – ma anche in tutti quei Paesi in cui le “disuguaglianze”, di qualsiasi tipo siano, ancora non sono riconosciute.
Ma torniamo a noi. Natalia de Molina (Elisa) e la debuttante Greta Fernández (Marcela) s’innamorano in una pellicola dai toni bianchi e neri, sullo sfondo di un rigido convento di suore, un mare galiziano, un cavallo come più grande desiderio e un padre, quello di Marcela, così tanto autoritario da impedire alla figlia di leggere “troppo”. Sono proprio queste le parole che le rivolge, a cena, una sera: «Studia, ma studia il giusto, non troppo». E dopo, quando sua madre tira fuori dalla sottoveste che ha indosso un libro segretamente nascosto al marito, passandolo alla figlia, in silenzio, solo dicendole che no, che non è vero che le donne non devono leggere, ecco svelarsi il fil rouge della trama: fuggi. Fuggi per conoscere. Fuggi per lottare per te stesso. Fuggi affinché i tuoi diritti vengano accolti da qualcuno perché qui, in questo luogo, ancora non possono essere accettati.
Ora non si fugge più, o meglio, si fugge per conoscere e poi si torna per lottare per quelle stesse parità che si sono potute toccare con mano altrove, e che quindi possono esistere.
«Questa storia non era molto conosciuta quando l’ho scoperta dieci anni fa grazie al racconto dello studioso Narciso De Gabriel, che ha trascorso molti anni della propria vita ad investigarla, e mi ha affascinato fin da subito. Oggi è molto più nota grazie al lavoro delle associazioni LGBQT, che la utilizzano come un esempio per le loro battaglie, ma ciò non toglie che secondo me andava raccontata, anche per lo sforzo e tutto questo tempo che ci è voluto a realizzare il film» – Isabel Coixet
La Spagna, quest’anno, si aggiudica un posto in prima fila nella sala del cinema LGBTQI: l’edizione XXXIV del Lovers Film Festival ha decretato la vittoria finale di Carmen y Lola, regia di Arantxa Echevarria. Guardando Elisa y Marcela, non si può fare a meno di ripensarci. Altro dramma, altra storia, altri periodi storici, ma siamo sempre in Spagna: nella periferia di Madrid, per la precisione.
Tutti gli attori del film sono non professionisti e veri gitani della comunità che vive nella periferia madrilena: spiccano, in particolare, Zaira Romero (Lola), Rosy Rodriguez (Carmen) e Rafaela León (la madre di Lola). La Echevarria ci porta all’interno di una pellicola che potremmo conoscere e che, anzi, ci illudiamo di conoscere, per poi smontare ogni nostra illusione: il mondo dei gitani, la loro cultura, la loro religione, i loro stili di vita, sono talmente lontani da noi che sembrano quasi appartenere a un’altra epoca. E il film gioca proprio su questo continuo spaesamento dello spettatore, che fatica a entrare nelle logiche di pensiero dei personaggi che costellano le due protagoniste del film; qualcosa sembra voler sempre disturbare la certezza di conoscere il tempo in cui la pellicola è ambientata: piccoli dettagli, frasi non dette (e molte, invece, quelle dette, quelle urlate!) ci fanno capire quanto nella cultura gitana prevalga ancora l’oscurantismo, il patriarcato, il logocentrismo maschile. E non è solo questo: anche qui, bando all’educazione. Alle ragazze si insegna che la scuola non è poi così importante e che i valori veri, da coltivare, sono quelli che nascono e si apprendono in famiglia e in chiesa.
Ritorna il bisogno di emancipazione, la fuga da un mondo oppressivo che non sa ascoltare e che reagisce con durezza e con dolore di fronte al bisogno di libertà e accettazione. Il diverso, l’Altro, viene visto come un vero e proprio cospiratore contro l’ordine sociale e portatore di mali futuri per l’intera collettività. E ritorna la strada come leitmotiv principale: la strada che percorrono Carmen e Lola, in fuga da Madrid verso la costa, è in fondo la stessa strada e lo stesso viaggio compiuto da Elisa e Marcela, dalla Galizia all’Argentina. E il mare, allegoria del desiderio – di Carmen, che non lo ha mai visto, e di Elisa, che guardandolo, insieme a Marcela, le confessa il suo più grande sogno -, è anche metafora di libertà e affermazione pensata prima come utopia e poi, in ultimo, come meta da raggiungere per scampare alla desolazione. Traguardo e trofeo.
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Qui di seguito, i due trailer dei film: