Nel suo nuovo libro Lettera a un razzista del terzo millennio, edito da Edizioni Gruppo Abele, il fondatore di Libera lancia un appello commosso, sentito e gridato a piena voce. Un tentativo di riformare le coscienze e uscire dal silenzio.
_ di Federica Bassignana
Razzista è un termine scomodo oggi. E proprio con un razzista, dandogli del tu, don Luigi Ciotti esamina il suo pensiero, ragionando con lui in forma semplice e discorsiva.
Al Salone internazionale del libro di Torino, il fondatore di Libera ha presentato il suo nuovo libro Lettera a un razzista del terzo millennio (Edizioni Gruppo Abele) insieme a Gad Lerner. La lettera di don Ciotti diventa uno strumento prezioso – e forse necessario – per indagare l’emorragia di umanità e di memoria dilagante dei nostri giorni e tocca le corde stridenti di un problema con cui ci confrontiamo ogni giorno. L’urlo di Don Ciotti è un’esortazione a uscire dall’inerzia del silenzio, a interessarsi, a riflettere, a smuovere le consapevolezze verso l’impellente bisogno di umanità e a non rimanere immuni all’appello alla sensibilità.
«Ho nostalgia di umanità», afferma. Una frase che ha graffiato le coscienze e che ha fatto riflettere nel silenzio della platea in ascolto.
«Vorrei che tutti alzassero la voce: la violenza dei fatti è frutto della violenza delle parole» e ancora, riflettendo proprio sulle parole, veicolo fragile e potente della comunicazione di tutti i giorni, don Ciotti si scaglia contro un termine pericoloso per la nostra società: la neutralità. Come diceva un suo amico e collega, vittima della mafia, don Pino Puglisi, «Non mi interessa sapere chi sia Dio. Mi interessa sapere da che parte sta». Prendere una posizione, dunque, e agire, nel rispetto dell’altro, nella compassione e nella solidarietà per allontanare il calice di solipsismo che può degenerare in un mutismo «disumano», e in casi estremi e peggiori, in razzismo.
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Articolo legato all’ultima edizione del Salone del Libro di Torino, in sinergia con il blog del Circolo dei Lettori