[INTERVISTA] Stonewall Inn: il queer pub in mostra

Abbiamo intervistato Samuele Piazza, curatore della mostra Stonewall Inn che sarà inaugurata questo mercoledì 24 aprile alle ore 18.30 presso Recontemporary (via Gaudenzio Ferrari 12/B). L’evento fa parte delle Exhibitions del Lovers Film Festival.

_di Beatrice Brentani

Il Lovers Film Festival non è solo cinema: sono moltissimi gli eventi Off in programma (ve ne abbiamo parlato QUI). Tra i tanti, una mostra che “apre” il Festival un’ora prima del suo inizio: Stonewall Inn. Saranno esposti alcuni lavori di artisti contemporanei per sviluppare alcune suggestioni sull’eredità di Stonewall a 50 anni dai moti che diedero via al movimento di liberazione omosessuale americano.

Dopo la presentazione, che si terrà mercoledì 24 aprile alle 18.30 presso Recontemporary (via Gaudenzio Ferrari 12/B), le opere saranno visibili in mostra al Circolo dei lettori dal 25 al 27 aprile. 

Abbiamo intervistato il curatore della mostra, Samuele Piazza, per scoprirne ulteriori dettagli.

Partiamo dalle basi: quando e com’è nata l’idea della mostra e dove si terrà la sua inaugurazione?

L’idea è nata qualche mese fa dall’invito di Irene Dionisio a unirsi al team del Lovers Film Festival per pensare ad un piccolo progetto che, a 50 anni dai moti di Stonewall, portasse voci di artisti che riflettessero su quel momento, sulla sua storia e sulle sue narrazioni, portando una prospettiva diversa a quello che è uno dei temi principali della programmazione della manifestazione di quest’anno.
Dato il tema così ampio e spinoso, abbiamo deciso di partire da una constatazione molto banale ma che si è rivelata essere una entry point molto più agevole: lo Stonewall Inn era un bar e non è stato un caso che una tale rivendicazione identitaria di una comunità si sia formata in un luogo del genere. In un mondo caratterizzato da luoghi di incontri sempre più virtuali, riflettere sulla qualità fisica dei bar queer ci è sembrata una prospettiva significativa, per parlare di varie questioni che, partendo da Stonewall, in realtà ci parlano della nostra contemporaneità.
L’evento si svilupperà in due momenti: la sera del 24 aprile dalle 18.30 con un talk e un proiezione a Recontemporary e dal giorno successivo nei giorni di festival con alcuni video visibili nella sala dei filosofi al Circolo dei Lettori di Torino.

Abbiamo letto, sul sito ufficiale del Lovers Film Festival, che le opere in mostra sono state realizzate da più artisti. Ci puoi svelare qualche nome? E qualche percorso tematico?

Sì certo, avremo un nuovo lavoro appositamente realizzato per la mostra da Filippo Bisagni, che guarderà alla leggenda metropolitana che vuole i moti di Stonewall come causati dal funerale dell’icona gay per eccellenza dell’epoca, Judy Garland. Continuando una sua ricerca che va avanti da anni, nel video, intitolato “Somewhere over the Stonewall”, l’immagine della diva di hollywood e il suo disfacimento digitale si fa metafora dell’evoluzione del movimento LGBTQI.
Sarà anche visibile un video di Tourmaline e Sasha Wortzel, “Lost in the music”, presentato di recente al New Museum di NYC  che reimmagina in maniera romanzata i momenti precedenti i moti, prendendo il punto di vista di Marsha P Johnson come  punto di partenza. Il video è un ottimo esempio di riscrittura della storia legata a quegli eventi e, oltre a tributare un omaggio molto tenero a una delle figure cardine di Stonewall, denuncia il whitewash costante che i fatti storici legati a quell’evento hanno subito.

Ci sono curiosità riguardanti la realizzazione di determinate opere? Per esempio, la commistione di diverse arti – sto pensando proprio alle installazioni video, come avete pensato di inserire la narrazione dei fatti storici di Stonewall sui diversi supporti tecnologici?

Il nome del progetto può trarre in inganno, ma non abbiamo voluto avere un approccio filologico o storico nel guardare a Stonewall… Anche perché persone ben più qualificate si sono cimentate in quelle ricostruzioni! Abbiamo voluto portare una prospettiva laterale sui fatti storici, e abbiamo voluto  lavorare solo col video, in continuità con il medium del Festival cinematografico che ci ospita; ma usando il video d’arte in varie declinazioni.

Sono previsti strumenti che possano offrire allo spettatore la possibilità di “interagire” con le opere?

L’aspetto più interattivo sarà nell’allestimento della sala al Circolo dei Lettori, allestita come un bar con tanto di bancone e alcolici, qualche tavolino, luci soffuse. Ero interessato a usare la sala, che è la sala di un palazzo storico, con tanto di tappezzerie e grandi lampadari e che normalmente viene usata come caffè letterario e non come spazio di mostra. L’idea era di partire dalla storia dei Caffè letterari illuministi, la cui estetica ricorda quella della sala, per inserire, in un cortocircuito che mi auguro produttivo di senso, i bar queer in questa traiettoria che vede nel bar il luogo privilegiato di creazione di soggettività, attraverso un riconoscimento, una creazione di identità condivisa tramite rituali, scambi di idee e incontri. Mi interessava andare a sviluppare, ma allo stesso tempo problematizzare, la vulgata che vuole i queer club come zone sicure, quasi delle zone di temporanea autonomia, anche alla luce di recenti fatti di cronaca, come le sparatorie al Pulse di Orlando.

In cosa consiste l’attività di Recontemporary e in che modo questa mostra ne fa parte?

La collaborazione tra Recontemporary e Lovers FF era già in essere e, data la natura dello spazio, che vuole dedicarsi principalmente al video nelle sue diverse declinazioni ci è sembrata un’ottima opportunità quella di collaborare con loro. La loro disponibilità a lasciarci il loro spazio ha fatto nascere la serata del 24 Aprile che sarà un talk e uno screening che andrà ad analizzare la feconda relazione tra arte contemporanea e queer clubs.

Terminiamo: qual è il “modello” di spettatore che avete previsto? E come pensate di poter arricchire la sua conoscenza sulla storia e i miti di Stonewall?

Speriamo di intercettare pubblici diversi, e di incuriosire persone diverse. Non offriremo molte risposte o un account fedele dei fatti storici, e non credo che sia questo il compito dell’arte, ma una serie di riflessioni che propongano alcune prospettive inedite e che, mi auguro, creino più domande che risposte.

La speranza è che usciti dalla mostra tutti vadano a informarsi sulla vita di Marsha “Pay it no Mind” Johnson.