Pubblicano le parole degli altri, noi vogliamo far parlare loro: le case editrici. Marchi storici oppure realtà underground, eclettiche o iper-specializzate, alla ricerca di talenti a chilometro zero oppure di nomi internazionali poco distribuiti. Mettiamo il naso tra le pagine delle loro bozze, per raccontare il loro modus operandi e la loro poetica.
_ di Beatrice Brentani
Salone del Libro 2018. Cammino curiosa tra gli stand del Padiglione, esausta e con la schiena rotta. Decido di fermarmi a caso, davanti a uno stand, per sfogliare senza interesse un paio di libri, giusto il tempo per riprendere fiato dal marasma di gente e sentire di nuovo, finalmente, i piedi. Leggo: “Il vizio di smettere”, di Michele Orti Manara. Bella la copertina, bella la carta: bianco, semplice, pulito. Leonardo, responsabile dello stand in quel momento, inizia a parlarmi non solo di quel libro, ma anche di molti altri titoli della casa editrice che avevo scelto, in quel momento, di importunare. Mi filmano. Finisco su Instagram, sulla pagina ufficiale della casa editrice: ficco il naso proprio ovunque.
Il giorno dopo ritorno. Riguardo tutti i libri: tutte raccolte di racconti, molti autori sono dei classici, altri, invece, esordienti o meno conosciuti. Per chi ha poco tempo, se ne può leggere uno ogni tanto, e senza rischiare di dimenticarsi quel che si era letto prima, proseguire la lettura delle storie successive anche a distanza di tempo; ma non credo che questo accadrà. Queste storie tengono incollati. Ne trovate di ogni tipo e di ogni forma (eccolo qui, il catalogo): io, alla fine, ho comprato “Il vizio di smettere”. Non so perché, però, ma ho come l’impressione che invece no, non smetterò mai di ficcare il naso.
E infatti eccoci qui, un anno dopo: li abbiamo intervistati, quelli di Racconti edizioni, la casa editrice di racconti su cui, quasi un Salone fa, ho “sbadatamente” appoggiato le mani. E meno male che l’ho fatto.
Raccontateci un po’ del vostro esordio: quando è stato, in che modo è avvenuto e “perché”. Ma, soprattutto, vorremmo sapere di più circa l’idea assolutamente esclusiva e peculiare della vostra casa editrice: la pubblicazione di sole raccolte di racconti.
Spesso ci teniamo a rimarcare come sia nata prima l’idea di fondare una casa editrice che non quella dei racconti. Io (Stefano Friani, editor e responsabile dell’Ufficio stampa) e il mio socio Emanuele Giammarco venivamo entrambi dal master in Editoria giornalismo e management culturale della Sapienza e da due esperienze di stage altrove, io all’Einaudi, Emanuele al Saggiatore. Quando ci siamo ritrovati a Roma, nell’ormai lontano gennaio 2015, ci siamo presi una solenne sbronza e abbiamo deciso che se ci riuscivano gli altri potevamo riuscirci pure noi. C’era la voglia di misurarsi col mondo del lavoro e saltare di un balzo tutto quel perverso gioco dell’oca di stage mal quando non pagati. L’idea dei racconti è venuta dopo, è stata più un’illuminazione raccolta al balzo che altro: in quel momento storico si assisteva a un fiorire di riviste, osservatori, blog e via dicendo che reclamavano a gran voce uno spazio maggiore per la forma racconto, da sempre trascurata dalla grande editoria. Noi abbiamo avuto l’ardore di investirci sopra e di progettare un catalogo, una casa, che potesse essere un luogo accogliente dove autori e lettori potessero incontrarsi.
Ricollegandoci alla domanda precedente, vorremmo chiedervi: quali vantaggi ha portato la pubblicazione di short stories? Quali sono i traguardi che avete raggiunto grazie a questo vostro proposito? E quali, invece, i progetti che ancora avete in cantiere?
La nostra scelta di puntare sulle short stories ci ha permesso di attingere a un patrimonio pressoché sterminato di autori e autrici (penso a John Cheever, a James Baldwin, a James Purdy, a Eudora Welty, a Margaret Atwood, a Virginia Woolf, a Rohinton Mistry) che erano stati trascurati dal resto dell’editoria per via del vecchio adagio per cui i racconti non vendono. A distanza di tre anni da quando abbiamo cominciato abbiamo pubblicato due premi Pulitzer e il nostro primo autore italiano, Elvis Malaj, è finito in dozzina allo Strega. Inoltre, un progetto che puntasse sul racconto e dunque sull’abito sartoriale cucito attorno allo stesso, la raccolta, ci ha garantito l’ingresso in pompa magna in quella giungla darwiniana che sono gli scaffali delle librerie. Nessuno fa quello che facciamo noi in Italia e pertanto ci siamo ampiamente meritati il nostro angolo di paradiso proponendo di fatto qualcosa di nuovo, che non c’era prima. A breve ci sarà qualche novità e a maggio debutterà Gli Scarafaggi, una nuova collana di Racconti dedicata precipuamente alle novellas, ossia al racconto lungo. La prima voce che uscirà in questa nuova veste grafica sarà il «Joyce africano» Dambudzo Marechera con La Casa della fame.
Come scegliete il tipo di raccolte da pubblicare? Avete, nel cuore, determinati racconti e/o autori che già avete pubblicato o che avete intenzione di pubblicare?
Personalmente, sono molto legato a un autore che ho anche tradotto, l’irlandese Philip Ó Ceallaigh, che ha segnato il punto di partenza della casa editrice col suo Appunti da un bordello turco e che marca anche un po’ il giro di boa, a distanza di tre anni, col ventiduesimo titolo di Racconti, l’ultimo pubblicato: La mia guerra segreta. Se dovessi consigliare a qualcuno dei racconti a prova di bomba da cui partire per farsi un’idea se la forma lo interessa o meno, suggerirei di partire proprio da qua. Come ha detto Joseph O’Connor a proposito del libro: «Sembra che Ó Ceallaigh stia sviluppando una forma tutta sua», ed è difficile non dargli ragione. Per dare la misura di come avvengono e quanto siano fortuite le scelte editoriali, nel caso di Philip Ó Ceallaigh c’entra poco il naso o il fiuto: aveva vinto il maggiore premio letterario irlandese, erano tra i racconti più consigliati dovunque si potesse leggere dal Guardian a Goodreads, c’erano le parole importanti di scrittori che stimiamo come il succitato O’Connor o Michel Faber, semplicemente mancava che la lettura confermasse queste suggestioni, cosa che puntualmente è successa. Ricordo perfettamente la sensazione esilarante di quando ho letto per la prima volta le sue storie, ed è proprio per questo che lo consiglio a spron battuto, a tutti.
Qualche aneddoto particolare riguardante alcune delle vostre pubblicazioni e, più in generale, il lavoro all’interno della casa editrice?
Snocciolerò un po’ di fatti curiosi. Un nostro libro, Albero di carne di Stephen Graham Jones, ha un esergo di Michael Jackson che visti i tempi suona ancora più creepy del dovuto e su queste short stories orrifiche con spesso e volentieri dei protagonisti bambini o adolescenti ci sta a meraviglia. Ci è stato chiesto di posticipare l’uscita di Fantasie di stupro di Margaret Atwood perché il titolo non era abbastanza natalizio. In quasi tutti i libri di Racconti compare perlomeno uno scarafaggio, è una nostra policy, almeno una scena a libro. Er Piotta e Pippo Civati sono grandi ammiratori dei racconti di James Baldwin. Calasso ha detto che facciamo bei libri.
Ci ricolleghiamo di nuovo a una domanda precedente: come funziona la gestione quotidiana delle attività all’interno della casa editrice? Potreste provare a descriverci una vostra giornata tipo?
Inizia con una specie di tetris con i manoscritti che ci arrivano per posta, scavalcati i quali conduciamo una breve rassegna stampa in cui si vede quante recensioni di amici ha ottenuto la prima silloge di poesie di Scalfari, si va poi in ufficio surfando nel traffico più che altro per la chiacchiera con il nostro barista-sovranista cinese Gianni, smaltiamo tonnare di email, leggiamo, bozziamo, discutiamo, telefoniamo, progettiamo, e infine, dopo aver visto alla sera un documentario su Salinger che ci riconcilia con le nostre indubbiamente sbagliate scelte di vita, ce ne andiamo a dormire, pronti per ricominciare una nuova avvincente giornata in cui ci ammazzeremo di fatica e non guadagneremo un euro.
Come gestite i rapporti con i vostri amici/concorrenti, ovvero le altre case editrici? Ne avete una a cui siete molto legati per comunanza di temi e idee o, più semplicemente, per un tipo di impegno che vi porta ad avere frequenti contatti?
Una delle cose più belle dell’editoria è che siamo tutti affratellati dalla cronica mancanza di interesse del mondo esterno a ciò che noi strambi combiniamo con questi strani oggetti di carta da sfogliare, pertanto si tende a diventare amici e d’altronde la concorrenza su questi numeri è piuttosto difficile: vendiamo tutti – da Sellerio a Topo Gigio edizioni – alla stessa signora ultrasessantenne dei Parioli. Dio ce la conservi. Al Salone del libro di Torino condividiamo lo stand con Black Coffee e Liberaria, giochiamo a calcetto con Martino di CasaSirio e Antonio di Giulio Perrone, vogliamo molto bene a Pietro e ai simpatici controrivoluzionari di Alegre, cerchiamo di capire se certi libri sono sperimentali o supercazzole, sbaviamo per le nuove uscite Sur e minimum fax, riluciamo di luce riflessa quando salutiamo gli amici di Saggiatore, Einaudi e Adelphi, ci trovate spesso a fare le collette per permetterci un libro di Atlantide, e via dicendo. Ci si conosce e ci si stima tutti anche grazie a quell’incredibile collante sociale chiamato alcol.
Siamo rimasti colpiti dalle illustrazioni sul vostro sito: in primis, il logo. Uno scarafaggio capovolto! Curiosissimi di sapere i significati che cela. E poi, anche i bozzetti dei volti dei vostri autori: ognuno sembra descrivere un diverso stato d’animo. Chi c’è dietro questi disegni così ben studiati?
È una citazione tutt’altro che criptica di Pino Daniele, nume tutelare della short story napoletana. No scherzo, ovviamente il riferimento è La metamorfosi di Kafka, plausibilmente il miglior racconto mai scritto. Tutto nasce da un veto, lo ricordo bene perché l’avevo messo io. Basta animali nei loghi: niente elefantini, pavoni, struzzi, tonni ecc. Poi un bel giorno, io e Emanuele, che all’epoca era di stanza a Londra, stiamo chattando su facebook riguardo al progetto grafico e lui se ne esce con l’idea di adottare uno scarafaggio come logo. Ritratto immediatamente il veto e aderisco con entusiasmo alla mozione scarafaggio. Da allora, anche grazie alla consulenza della mai troppo ringraziata e lodata Monica Aldi, veniamo a sapere che Franco Matticchio aveva disegnato uno scarafaggio kafkiano che proiettava un uomo come sua ombra o viceversa, ora non ricordo. Entusiasti gli chiediamo di lavorare a un logo, lui si innamora del progetto e pur non avendone mai fatto uno, tira fuori quella bellezza che ora campeggia sulle nostre copertine. Il nostro sfigatissimo scarafaggio sembra quasi rivolgersi al lettore, si agita non riuscendo a rimettersi in piedi, lo fissa negli occhi e gli chiede aiuto. Del resto, non potevamo avere un altro simbolo considerato come vengono visti i racconti da noi e, diciamolo, c’era anche un’identificazione di noi come persone che stavano faticosamente avviando una casa editrice. Ci piaceva scegliere un underdog.
E, invece, cosa avete da dirci a proposito delle copertine dei vostri libri? Anche qui, si nota una certa cura per il tratteggio di uno stile molto preciso: minimal, si potrebbe definire, ma ricercato, elegante e davvero fresco, che attira gli occhi dei lettori anche molto giovani. Il tipo di carta, formato, font, tutto quanto comporta la creazione del libro-materia sembra ben pensato. Vorremmo sapere di più.
L’esigenza e la volontà erano di avere l’oggetto assieme al progetto, fare libri belli dentro e fuori. La lettura è un’esperienza anche estetica che coinvolge molti sensi, olfatto tatto vista, e quindi era importante che la carta fosse di qualità, così come la rilegatura e così via. Sulle illustrazioni siamo stati subito d’accordo, volevamo che fossero il più essenziali possibile e che restituissero al contempo la compiutezza e la scarnezza del racconto, per questo abbiamo anche deciso di accludere un bozzetto dell’autore o dell’autrice in bandella. Pochi tratti che servono a tratteggiare un intero universo, questo era il principio. I nostri libri sono come tele che affidiamo di volta in volta a illustratori che possano meglio interpretare la temperatura emotiva di un libro e ultimamente abbiamo ospitato artisti come Franco Matticchio, Francesca Protopapa, Davide Toffolo, Elisa Talentino, Otto Gabos, Alessandro Ripane, Roberto Abbiati, per citare i primi che mi vengono in mente. Io e Emanuele, da buoni illuministi, poi, amiamo i libri bianchi: quelli di Quodlibet e Nottetempo come quelli delle case editrici per cui abbiamo avuto la fortuna di lavorare, Einaudi e Il Saggiatore. Non solo in libreria o alle fiere saltano subito all’occhio – sebbene siano facili a sporcarsi, e croce e delizia di ogni libraio – ma sono libri che ci rappresentano e che non inseguono mode di passaggio, non sono sgargianti e fotogenici come altri che poi finiscono a svernare sulle bancarelle dei remainders. Qualcuno ha detto che erano libri tutto sommato già visti, e può ben darsi. Basta entrare in una libreria in Francia per rendersi conto di come quasi tutti i libri si assomiglino e abbiano una smaccata tendenza al bianco, anche lì. Racconti ambiva a diventare la casa delle short stories e un progetto grafico «classico», che si richiama alla tradizione nobile della nostra editoria, poteva essere accogliente sia per i racconti più tradizionali di Eudora Welty sia per quelli granguignoleschi di Stephen Graham Jones. E poi del resto, come diceva Antoni Gaudí, l’originalità sta nel tornare alle origini.
Abbiamo anche notato che sul sito segnalate la possibilità di comprare i libri in formato Ebook su altre piattaforme (Amazon, Ibs, Kobo, BookRepublic, ecc.). Quanto è alta la percentuale di lettori che sceglie di acquistare un vostro Ebook al posto del cartaceo? E quali sono, per voi, i benefici dell’Ebook in termini di costi e progettazione?
Difficile a dirsi in termini statistici, ma possiamo dire che l’assunto della domanda – ovvero che il formato elettronico rubi lettori alla carta – può dirsi definitivamente sconfitto e accantonato dai fatti. L’ebook è uno strumento incredibilmente meno raffinato e tecnologico del libro cartaceo, che però non è ulteriormente perfettibile. Per ora non mi sembra che il mercato dell’ebook abbia assunto una rilevanza tale da rendere improrogabile questa discussione, né mi sembra che ci siano stati particolari rivolgimenti della tecnica che la giustifichi. Anzi, semmai dopo un iniziale entusiasmo (più per il dispositivo che non per la lettura in sé) nei mercati più avanzati si è assistito a un ritorno degli hardcover. Quindi no, non credo che gli ebook soppianteranno il libro cartaceo, perlomeno a breve. Di fatto per noi e per molti altri editori di qualità gli ebook sono a ricasco dei libri cartacei, pertanto il costo è letteralmente zero e, fatte salve le percentuali dovute a retailer piattaforme autori e agenti, sono soldi che entrano senza spese per una volta.
Siete riusciti, a partire dai primissimi inizi, a stabilire una rete di relazioni sul territorio fitta e produttiva? Abbiamo visto, per esempio, che organizzate alcuni eventi anche fuori dalla vostra sede a Roma. Come gestite in maniera soddisfacente le collaborazioni con gli enti esterni?
Siamo distribuiti su scala nazionale da Messaggerie, quindi fin da subito siamo stati disponibili dovunque, dalle Feltrinelli alle indipendenti, da Tolmezzo a Gela, e devo dire che ci siamo sbattuti anche in prima persona per cercare di andare dovunque ci fosse possibile andare: uno dei primi nostri eventi, ci piace spesso ricordarlo, è stato a Angri, dove un eroe come Cristian Carosella aveva appena aperto una libreria, la Don Chisciotte, e ci siamo ritrovati a parlare di Appunti da un bordello turco di Philip Ó Ceallaigh di fronte a una platea composta perlopiù da suore. Di recente ci siamo imbarcati assieme a un nostro autore, Marco Marrucci, in un tour pugliese che ha toccato tre librerie bellissime (Skribi a Conversano, Nuova Macelleria Patella a Altamura, la 101 a Bari), e in un paio di sortite nel centro Italia a Rieti (alla libreria Moderna) e a Teramo (da Empatia). Insomma, c’è un dimensione a metà tra la scalcinata band punk e il gonzo journalism della casa editrice, e non è che proprio ci crogioliamo nelle nostre alte letture dalla torre d’avorio affaccio Pigneto, anzi ci piace fare questa cosa rivoluzionaria di incontrare persone e perfino parlarci.
Chiudiamo con una domanda “pon-pon”: perché le testate giornalistiche, i siti Web e le riviste (pensiamo a Il Libraio, Internazionale, minima&moralia, Vice, La Lettura, l’Espresso, insomma, tutti quei grandi capisaldi della cultura odierna che segnalano le pubblicazioni più degne di nota) dovrebbero parlare di voi? Vogliamo una risposta breve, infuocata, magari anche in rima (stiamo scherzando, ovviamente, ma se ve la sentite…), a mo’ di slogan – ecco perché abbiamo usato il termine “pon-pon” per descrivere questa nostra ultima domanda!
Ma lo hanno già fatto tutte, che noia. Il nostro grande obiettivo è che di noi parli OUTsiders!
Racconti edizioni sarà presente anche quest’anno al Salone del Libro: dal 9 al 13 maggio, cercate lo stand con lo scarafaggio.