La “stanza tutta per sé” del Circolo dei Lettori: incontri su Virginia Woolf

Il 7 marzo, nella settimana della Giornata internazionale della donna, ha preso il via il ciclo di incontri dal titolo Virginia Woolf, icona di parole e libertà a cura della Italian Woolf Society, con la collaborazione di Francesca Bolino. Due saggi e un romanzo in tre incontri: tutti i numeri per sfogliare una delle voci femministe più brillanti e squisitamente complesse del panorama letterario inglese.

_ di Valentina Borla

Ogni ragazza (anzi, ognuno di noi) dovrebbe avere almeno un’opera di Virginia Woolf nella sua “stanza tutta per sé”. Quella che l’autrice ci lascia in eredità è, infatti, una voce forte, dissonante, satura di quel desiderio di emancipazione che ancora oggi, esplicito o latente, investe ogni donna.

La sera che anticipa il giorno dedicato alla donna, la sala principale del Circolo dei Lettori è gremita. Tutti attendono l’inizio della Rassegna intitolata Virginia Woolf, icona di parole e libertà: segno di quanto le opere della Woolf siano amate tutt’oggi, veri e propri classici su cui non tramonta mai il sole.

Durante questo primo incontro, Sei immagini in una stanza, Liliana Rampello ci ha offerto una rilettura delle opere della Woolf che accantona l’ultimo drammatico gesto finale dell’autrice, il suicidio in un fiumiciattolo dietro la sua casa, nelle campagne inglesi del 1941. Nel saggio Una stanza tutta per sé, il lato più oscuro e irrequieto dell’autrice viene messo da parte per lasciar spazio all’altra Virginia, che la Rampello definisce «una donna con una vivacissima voglia di vivere».

È questa vitalità soggiacente che impareremo a conoscere anche negli altri due incontri della Rassegna, in programma per il 21 marzo e il 4 aprile: dalla riflessione su come forgiare menti indipendenti nel saggio Le tre ghinee, a uno dei più famosi e controversi romanzi della Woolf, Orlando, una storia che è una sfida al concetto stereotipato di gender.

«Se vuole scrivere un romanzo, una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé». – Virginia Woolf

Una stanza e cinquecento scellini come primo passo verso la libertà. Da questo presupposto intuiamo facilmente che quella della Woolf è la voce di una outsider di inizio Novecento, di una donna che non si accontenta di vivere all’ombra del suo uomo. Nell’Inghilterra del 1928 – anno di pubblicazione dell’opera – non esiste ancora una tradizione saggistica femminile. Ma c’è un aspetto ancora più grave per la Woolf: la donna che vuol fare della scrittura il proprio mestiere non possiede un angolo a lei dedicato per annotare i suoi pensieri, riflettere, respirare. La mancanza di uno spazio personale si fa dunque simbolo della negazione di uno spazio sociale nella storia di un’Europa connotata inevitabilmente con un tratto patriarcale.

Quella woolfiana può senz’altro essere considerata una scelta politica, infatti, si rivolge indistintamente alle lettrici comuni e a quelle più colte per spingerle all’autodeterminazione e all’indipendenza economica, non solo come atto in potenza, ma come alternativa concreta.

Per renderci meglio consapevoli di queste dinamiche interne all’opera, Liliana Rampello ci offre sei immagini, ciascuna di queste abbinata a un singolo capitolo del saggio dell’autrice. Sei immagini, sei piccoli racconti spiccatamente originali proprio per il taglio obliquo che esclude il già noto, ciò che è già stato pensato prima che la Woolf impugnasse la sua stessa penna. Da qui, la Rampello sottolinea il gusto della Woolf per il ribaltamento:

 «Virginia, per parlare del tema dell’emancipazione femminile, preferisce focalizzarsi sulla storia dell’opposizione degli uomini all’emancipazione delle donne, un punto di vista più interessante rispetto allo sguardo delle donne su loro stesse». – Liliana Rampello

L’immagine che la Rampello assegna al primo capitolo è quella del cerchio. Qui la Woolf racconta le tre esclusioni che l’hanno vista protagonista durante una visita al college maschile di Oxbridge: essere ammonite per aver calpestato un prato o per essere entrate in una biblioteca in cui sono ammessi solo studenti maschi, oggi ci può apparire un fatto del tutto straniante, fuori dal concepibile. Tuttavia, la Woolf vive quest’esclusione sociale della sua epoca sulla sua pelle come una ferita indelebile: arriva a chiedersi se le interessa davvero essere coinvolta in questo cerchio, oppure se non preferirebbe semplicemente liberarsi dalla curiosità che la spinge a conoscere l’altro sesso. L’aporia è così risolta: al cerchio misogino preferisce il cerchio dell’amore caldo e fertile delle madri, dell’aiuto reciproco tra donne.

Ciò che più ferisce la sensibilità della Woolf è constatare che al centro di molti volumi scientifici la donna sia ancora segregata, a inizio Novecento, per la sua presunta inferiorità psicologica.Nel secondo capitolo affiora tutta l’indignazione di Virginia,  una rabbia che prima associa alla sua stessa interiorità, ma che poi, al contrario, scopre essere legata al forte desiderio di superiorità che caratterizza l’uomo. Ecco che viene così scelta ad hoc la metafora dello specchio: la donna per la Woolf è uno specchio che raddoppia la figura dell’uomo, in quanto il maschio godrebbe di una doppia fiducia, quella proveniente da se stesso e quella che gli infonde, per sostenerlo, la sua sposa.

La donna appare così inevitabilmente ingabbiata come un ragno nella sua tela: un’altra suggestiva immagine metaforica ci descrive la donna come semplice schiava di un anello al dito, di un mostro costruito dai poeti e dagli storici. Appare necessario all’autrice, a questo punto, un focus sulla genealogia della scrittura femminile. Al canone maschile sostituisce una rilettura femminista della storia della letteratura che passa attraverso la penna di Aphra Behn, di Jane Austen, delle sorelle Brontë. Il passato diventa dunque la storia delle autrici che l’hanno preceduta, che hanno fatto della scrittura il proprio lavoro.

Alla fine del saggio l’autrice arriva a smorzare questa posizione “femminocentrica”: la creatività per la Woolf deriverebbe dall’unione dei due sessi, di quei due poli magnetici che prima si respingevano. La mente creativa per Virginia è – e deve essere – una mente androgina, una soggettività ibrida che non è mai ben scindibile in forze maschili e femminili.

Come ci fa notare la Rampello al termine dell’incontro, il destino irrealizzato delle donne inizierebbe ad affermarsi proprio dalle loro stanze, dai piccoli spazi che si ritagliano per loro stesse. Nella parte finale dell’opera l’estraneità dell’autrice è finalmente un’estraneità deliberata: Virginia sembra gridare a gran voce “sono un’outsider”.

 

Virginia Woolf: icona di parole e libertà, i prossimi incontri al Circolo dei lettori:

→ giovedì 21 marzo ore 18

PENSARE DA OUTSIDERS. Le tre ghinee e la libertà, con Elisa Bolchi

→ giovedì 4 aprile ore 18

ORLANDO.  UNA BIOGRAFIA. Scrivere e leggere tra i generi, con Sara Sullam

Ingresso singolo incontro: 3€