Una chiusura col botto: il racconto dell’ultima giornata di TOdays Festival

Tripletta sold out e ultima giornata che soddisfa tutti i palati musicali per IL festival dell’estate torinese: dall’emo-trap di Generic Animal alle dolcezze indie di Maria Antonietta, dal freak show dell’amato/odiato Ariel Pink alla solidità da palazzetto degli Editors, che chiudono col botto un’edizione memorabile dei TOdays.


_di Enrico Viarengo

Si ripropone l’immagine-cartolina del bimbo batterista felice come una Pasqua anche in questo Day3, l’immagine emblematica di un festival che riesce puntualmente ad accontentare un pubblico di tutte le età, senza cadute di stile o imprevisti di sorta.


L’apertura delle porte di sPAZIO211 è posticipata causa check andato per le lunghe. Si aspetta in un’ordinatissima fila l’arrivo di chi ha sfidato il sole pomeridiano per godersi lo show trascinante al limite del trash di Myss Keta al parco Peccei e si entra quasi in concomitanza con l’inizio di Generic Animal, la recente creatura di Luca Galizia.

Il giovane (classe 1995) è già temprato dall’esperienza con i Leute, ma dell’irruenza emo-core della band milanese è rimasto solo il prefisso emo, da agganciare a un minimalismo pop digitalizzato. Si presenta da solo, in compagnia dei fiori che ormai da un po’ adornano il set di Maria Antonietta e delle sue basi, unico supporto alla voce filtrata. Punta tutto sulla sincerità, la sua arma vincente sia su disco che sul palco: è il primo concerto a Torino, e mettersi a nudo in una domenica pomeriggio di sole davanti a nuove facce curiose e presumibilmente in attesa degli Editors non è un gioco da ragazzi. Lo fa bene, però, grazie a una manciata di canzoni le cui parole semplici e dirette di Jacopo Lietti (Fine Before You Came) arrivano al cuore di chi è disposto ad accogliere un po’ di fragilità altrui, aiutato da qualche fan sotto palco che le canta tutte a memoria e balla senza l’ombra di imbarazzo. Imbraccia la chitarra per l’ultima “Broncio” e si congeda con quel verso “con tutta la pazienza che ci vuole con te“; genuinità pura e malinconia declinata con un occhio alla tendenze del 2018 che speriamo possa avere un futuro brillante.

Non deve dimostrare nulla, invece, Maria Antonietta, che giusto qualche settimana fa si è ritrovata ad aprire il concerto di Calcutta all’Arena di Verona. Peccato, però, che le canzoni agrodolci dell’ultimo “Deluderti” non ingranano come al solito: una brutta laringite affossa la voce della sfortunata (complice anche un problema tecnico al microfono) Letizia Cesarini proprio nel suo giorno del suo compleanno, e di questo non possiamo fargliene una colpa; i suoni però non sono particolarmente curati e la band alle sue spalle non brilla di luce propria. Nonostante l’acciacco, va meglio proprio quando la cantautrice pesarese si ritrova sola voce e chitarra, come in “Questa è la mia festa” o nel lancio di “Saliva”. Rimandata a settembre, speriamo – anzi, ne siamo certi – possa rifarsi presto da queste parti.

È il turno di Ariel Pink, attesissimo ed eclettico polistrumentista americano lanciato dagli Animal Collective. Uno che, almeno sulla carta, dovrebbe raccogliere il consenso di hipster dell’ultima ora e di più attempati retromaniaci psichedelici. Lui stesso non è più un ragazzino, ma sotto i riflettori insieme alla sua ciurma sgangherata di cinque elementi, con quel piglio lo-fi neanche troppo ostentato, ma certamente innato, sembra un Peter Pan anarchico e schizofrenico. Come da disco, ci si aspetta un po’ di tutto. Ballate dal sapore seventies? Cavalcate pop figlie degli ’80 con ritornelli appiccicosi? Garage scazzato? Scatenate urla proto-punk? All-in e tutti accontentati in questa unica data italiana a carburazione lenta, che parte faticosamente in salita, viaggia a velocità media con la sognante e slacker “Feels Like Heaven” (che potrebbe essere il tormentone di fine estate dell’anno 1982 come 2020), preme l’acceleratore con la frizzantezza surf/punk di Bubblegum Dreams e poi supera ogni limite (e ritegno) in un’orgia freak di passaggi melodici seppelliti da riverberi, distorsioni, salti e urla scatenate. Insomma, una divertente caciara colorata che forse non acchiappa chi scalpita per la band di Birmingham, ma è anche questo il bello del TOdays: inanellare combo folli come Ariel Pink + Editors o, come nella prima serata, King Gizzard + War on Drugs (clicca qui per leggere il report della prima giornata).

«Il TOdays festival non è più una speranza per il futuro, ma una certezza su cui poter contare. Imperfetto e umano, come tutte le persone che lo hanno reso possibile ma “vivo”, sincero e magnifico»

A guardarsi intorno, quella di domenica sembra la serata con il maggior numero di presenze, perlomeno quando è tutto buio, la luna piena risplende sopra il palco di via Cigna 211 e arriva l’ora degli Editors.

Dopo l’eclettismo del bizzarro showman americano, qui bisogna fare i conti con dei “quasi” giganti – si può dire, superati i 15 anni di carriera internazionale e dopo aver fatto capolino nelle classifiche di tutto il mondo? – dalla doppia identità: ci sono gli Editors degli esordi, figli degli Echo & the Bunnymen (clicca qui per leggere il report del secondo giorno di festival) e fratelli meno spigolosi degli Interpol, e gli Editors degli ultimi anni, quelli che “via la chitarra e dentro i synth”, che hanno insomma imboccato l’autostrada del pop-rock da classifica che conduce a palazzetti e stadi senza provare troppa vergogna e conservando alcuni tratti distintivi della dark wave e del post-punk degli anni che furono. Uno su tutti: il timbro profondo del leader Tom Smith, rimasto immutato tanto quanto il suo essere il tipico animale da palcoscenico. Il concerto è quindi, un mix perfetto e bilanciato di questi due volti e, cercando di non essere di parte, è difficile fare un qualsiasi appunto. Fila tutto liscio sia con i riff veloci di “An End has a Start” e “The Racing Rats” sia con la cassa dritta della recente “Violence” o con le morbidezze pianistiche di “Ocean of Night”. Gli Editors sono gli unici di questo TOdays a concedersi il bis, dopo la deflagrazione di luci e chitarre di “Smokers Outside the Hospital Doors”, la più attesa della serata e suonata senza una sbavatura, quasi come fosse stata scritta ieri.

Ma il meglio arriva alla fine, con due pezzi voce (e che voce!) e chitarra acustica da pelle d’oca (“No Sound but the Wind”, solitamente eseguita al piano, e “A Ton of Love”), un altro regalino per i fan di vecchia data (ma che tiro aveva “Munich”?), l’epica e magniloquente “Papillon” seguita, sulla falsariga della precedente, da “Magazine” con meritato scroscio finale di applausi. Non per tutti i palati, e siamo d’accordo: ma non si può certo negare che gli Editors sappiano intrattenere e coinvolgere un pubblico eterogeneo, compresa la frangia più ostile di indie kids radicali.

Si chiude così, in un clima da stadio senza curve o posti a sedere, questo quarto anno di TOdays.

Ci si potrebbe dilungare, come sempre, su quanto sia importante un appuntamento del genere per la città, sulle aspettative totalmente ripagate, l’impeccabilità dell’organizzazione, la qualità degli artisti and so on. Ma noi, che ci nutriamo di musica, lo sapevamo già. Sapevamo che ci saremmo divertiti, che avremmo bevuto qualche birra di troppo davanti a un nuovo artista da scoprire, che avremmo avuto da ridire sulla band assente e poi accolto la new entry con grande approvazione. Lo sapevamo che sarebbe stato bello. Così come sappiamo che ci sarà un TOdays 2019 e che sarà come o meglio del 2018, nessun dubbio a riguardo. Il TOdays festival non è più una speranza per il futuro, ma una certezza su cui poter contare. Imperfetto e umano, come tutte le persone che lo hanno reso possibile (a proposito: un abbraccio a chi ha mandato in stampa i due immensi banner con quei “2017” corretti a mano, e qualcuno dica a Rock Burger che si scrive “Morrissey”), ma “vivo”, sincero e magnifico.

All pics by Miriam Corona