[INTERVISTA] Il cantautorato di Verano tra Bologna, il deserto e un “bombafragola”

Una cantautrice che da anni calca i palcoscenici finalmente alla prova “lunga” dell’album: abbiamo intervistato Verano su “Panorama”, un disco pregno di storie, di luoghi e di viaggi. Perché la vita non è altro che guardare altrove.


_di Mattia Nesto

Circa un anno a Bologna ho visto un tuo live in cui interpretavi, per altro in modo molto emozionante, “Però quasi” di Freak Antoni: ora scopro che questo tuo nuovo album “Panorama” è stato registrato e prodotto proprio all’Alpha Dept di Bologna: insomma una coincidenza o questa città conta molto per te?

Che bella cosa che mi hai ricordato. Quel tributo a Freak è stato fatto davvero con il cuore, e quella serata fu speciale. Devo dire che Bologna ricorre nella mia vita. Lì ho studiato per anni e alla fine non ho fatto l’avvocato. Lì ho vissuto il periodo Officina della Camomilla. E infine lì ho passato un anno davvero denso di emozioni per fare questo disco.

A proposito: non possiamo non farti la domanda sull’apporto che Colapesce ha dato alle canzoni che compongono questo album. Come è andata?

Come una spedizione ad alta quota, in cui impari a fidarti degli scalatori esperti perchè sai che da solo resterai senza ossigeno. Questo disco è stato per me, e penso anche per chi ci ha lavorato, difficilissimo e a tratti troppo sfidante come solo le cose importanti possono essere. Oltre a Lorenzo c’è stato al mio fianco Giacomo Fiorenza, che stimo all’inverosimile. E poi anche Andrea Suriani, che come poche persone sa entrare a piedi nudi silenziosamente, lasciarti una carezza e andarsene. Io credo che ci sia un solo modo di fare cose così importanti come un disco, e che sia quello di mettersi in gioco al 100% rischiando a volte anche di scottarsi. Lo abbiamo fatto con tutto il cuore, ci siamo incazzati e divertiti, abbiamo riso e pianto, ma alla fine sappiamo di aver fatto una cosa spero senza tempo, sicuramente autentica.

Passiamo ai pezzi. Il primo che mi ha fortemente colpito è stata la seconda traccia, “Bombafragola”. Ora, innanzi tutto, esiste questo cocktail da qualche parte (se sì, ci farebbe piacere assaggiarlo al più presto!). Scherzi a parte, pare che in questa canzone ci siano un sacco di riferimenti sul tuo modo, personale, di intendere la vita e i rapporti, anche, in un certo qual modo, il tuo modo proprio di porti con gli altri in generale. Qual è la “scintilla” del pezzo?

Il bombafragola è un cocktail semisconosciuto ai più ma fondamentale per una certa zona di Milano. La leggenda vuole che negli anni 80/90 il Bar Basso inventa il Negroni Sbagliato. A 200 metri c’è il bar Doria, che si trova a dover fare i conti con il fatto che tutti vanno al Basso. Il Cavaliere del Doria si inventa una pozione magica: un cocktail apparentemente innocuo, al gusto di fragola ma con un ingrediente segreto mai svelato. Posso dire che ne bevi uno e sei bello messo, ne bevi due e hai le allucinazioni. Per me Bombafragola è una metafora, a volte ci facciamo rapire da storie che durano il tempo di una allucinazione ma resta che staccarsene diventa difficile. Mi immagino nel brano una Milano deserta in cui saluto il mio ennesimo crash d’amore, in cui diamo importanza alle nostre ultime ore, sapendo nel profondo che non esisterà più nulla di tutto questo alla fine dell’estate, quando rientreremo dalle vacanze.

Nella title-track, la quinta canzone “Panorama”, canti “abbiamo cose di noi ovunque”. Mi ha molto colpito questa strofa: un po’ perché ha una nostalgica bellezza ma anche perché sembra un po’ un bignamino del tuo intero album, una serie di facce, paesaggi ovviamente, ricordi e emozioni in serie che hai raccolto in queste anni e poi hai messo in musica. E così oppure abbiamo sbagliato strada?

Mi fa piacere che tu abbia notato questa frase. Io credo che abbia una potenza enorme. A volte risulta difficile staccarsi da uno stato d’animo, o da una persona, perchè ogni cosa ti urla che è ancora lì con te. Ed è questo il senso di “abbiamo cose di noi ovunque, nei viaggi lunghi mentre guardi fuori, nei panorami che ce lo urlano”. Ci sono dei luoghi che controlleranno sempre il nostro ricordo, a cui non ci potremo mai sottrarre dal pensare a una determinata persona o situazione. Il disco è una specie di rapporto epistolare che ho con una persona a cui da un lato ribadisco quanto ogni cosa ci ricordi di noi, e dall’altro chiedo di attribuire un valore a questo “noi”. E stato molto complesso scrivere certe cose, ma sono molto orgogliosa di averle fatte uscire in questo modo.

Ci sono un sacco di chitarre in questo disco: ma non erano (detto sarcasticamente) definitivamente passate di moda?

Usciamo da un anno in cui non si è fatto altro che dire che questo era l’anno delle chitarre, ma sono usciti solo brani fatti con dei suoni di synth a mio avviso orribili. Aldilà delle mode, io volevo proprio questo, un disco che mi riportasse al mio essere una ragazzina che da quando ha 7 anni spende tutti i suoi soldi in strumenti. E penso che la produzione sia riuscita a mettere delle chitarre eleganti, senza scadere in un rock del tutto démodé e lontano da me.

Quanto ti affascina il deserto? Certo il tuo nome un indizio un po’ lo da ma in tante pezzi ci sono indizi che fanno comprendere come questo tipo di paesaggio per te rivesta un significato particolare. Che ne dici?

Non mi affascinava, mi sono resa conto che mi affascina. Sembra una risposta paracula ma non lo è. Mi rendo conto che spesso esce in quello che scrivo, che è una condizione emotiva prima ancora che geografica che sta nella mia testa.

Ne “Le piante”, forse la canzone che ho maggiormente preferito per la sua estrema eleganza e intimità, racconti, fondamentalmente, di crescita: possiamo dire che con questo tuo primo album da solista sei, in un modo come in un altro, definitamente cresciuta?

Definitivamente no. Anzi, fare questo disco mi ha fatto capire quanto sono piccola. Vengo da alcune esperienze rilevanti prima di Verano, so cosa vuol dire fare un disco, Ma fare un disco da sola, scrivendo da sola e assumendosi la responsabilità emotiva e non solo di tutto è un altro campionato. Questa esperienza mi ha fatto crescere tantissimo, e mi ha fatto capire sempre di più che vale la pena fare questo lavoro non per moda ma solo ed esclusivamente se hai qualcosa da dire.