“La luna allo zoo” di Roberto Addeo: un romanzo di formazione di bruciante ironia

La seconda incursione nella narrativa dell’eclettico autore campano racconta lo spaccato di vita di un giovane del Sud che si trasferisce a Bologna in cerca di fortuna. O quanto meno di lavoro. Una storia nella quale è facile immedesimarsi praticamente per la maggior parte dei millennials in cerca di nuove prospettive in questi tempi dove occorre navigare a vista, spesso perdendo completamente la bussola.

Bologna, esistenzialismo dai risvolti rock’n’roll, giovani in cerca di un’emozione sempre più indefinibile che ingannano l’attesa tra lavori (pochi, precari), amori (alcuni, bruciati) e errori (tanti, troppi). Sembra per un attimo di tornare ai tempi di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, quando Brizzi tratteggiava la sua  “maestosa storia d’amore e di rock parrocchiale” in terra emiliana. A cambiare non è soltanto una città più disillusa, cinica e “svuotata” ma anche i giovani protagonisti: altrettanto scapestrati forse ma più scafati e fatalisti, meno romantici.

Roberto Addeo, classe ’82, è nato a Nola: conosce la vita di provincia quindi, nella fattispecie quella della provincia campana. Ma sa bene – si intuisce – anche cosa vuol dire spostarsi, trasferirsi, avere una vita itinerante. Dalla vicina Napoli infatti si è poi spostato al Nord (Brescia) e al Centro (proprio a Bologna) per poi finire anche in Sardegna, a Porto Torres, dove attualmente vive.

Come un cronista coinvolto ma non troppo (il racconto è, in parte autobiografico), Addeo racconta la routine del suo alter-ego letterario senza filtri, tra lavoretti più o meno improbabili (quando non squallidi), serate nei locali notturni della movida bolognese, finite magari in scene di sesso “caserecce”.

Edito da Il Seme Bianco per la collana Magnolia, “La Luna allo Zoo” segue per certi versi un copione già visto, ma con un umorismo dalla vena grottesca che potrebbe fare breccia tra gli appassionati di scrittori “outsiders” come Irvine Welsh. Senza contare che il filone sarà pur un tantino saturo ma dall’appeal immortale: perché in fondo gli errori si ripetono – sempre uguali e sempre diversi  – in quell’eterno loop di emozioni che si chiama giovinezza. E noi siamo naturalmente recidivi.