Principe Libero: un ritratto difficile e un’occasione mancata

Il film su uno dei cantautori più significativi della musica italiana restituisce il ritratto dell’uomo prima dell’artista ma rischia di mettere in ombra proprio il secondo aspetto. Le storie d’amore, la gavetta, il rapimento… ma perché non analizzare meglio anche la poetica di Fabrizio De André? 


_di Nicola Bovio

In un palazzo della Genova-bene vive la famiglia De André. Giuseppe è proprietario di un istituto tecnico e ha due figli: Mauro e Fabrizio. Fabrizio si dimostra indolente quando il padre lo manda a lezioni di violino, così il genitore decide di regalargli una “più audace” chitarra. Dopo questo importante momento della sua adolescenza Fabrizio non si separa mai dallo strumento, se lo porta sempre in giro la sera quando bazzica le osterie e i bordelli nei vicoli genovesi insieme al suo grande amico Paolo Villaggio. Con quest’ultimo inizia a partecipare a qualche spettacolo finché non gli propongono di incidere un disco. Inizialmente Fabrizio è titubante ma il suo spigliato amico lo convince che quella è la strada da intraprendere. Da lì inizia la carriera durata più di quarant’anni di uno dei più grandi cantautori di tutti i tempi che vivrà anche l’angoscia del rapimento in Sardegna.
Proprio da questo singolare quanto drammatico episodio inizia il film prodotto dalla RAI ed interpretato da Luca Marinelli.

Il film uscito al cinema racchiude le due puntate che andranno in onda su Rai Uno: la differenza tra la prima parte e la seconda si nota molto. Nella prima si dà ovviamente spazio al giovane De André, protagonista di alcoliche serate condite da montagne di sigarette, trascorse insieme al suo carissimo amico Villaggio, durante le quali intrattiene gli avventori delle osterie con la sua chitarra. In una di queste esibizioni canta una canzone di Luigi Tenco, anche lui facente parte della scuola genovese, che poco dopo andrà a cercare chi si faceva bello con la sua canzone. Tra i due nascerà una forte amicizia purtroppo interrotta prematuramente dal suicidio del cantautore in un albergo di Sanremo, che turberà molto Faber. Durante una di queste serate all’insegno dell’ebbrezza avviene anche la conoscenza della prima moglie Enrica detta “Puny”, che darà alla luce il figlio Cristiano.

Un talentuoso attore come Marinelli e la figura fondamentale di Faber
meritavano senza dubbio un film
che guardasse
più “all’interno” dell’artista e meno al di fuori

Fabrizio rimane impiegato presso la scuola del padre fino a che il brano “La canzone di Marinella” viene scelto da Mina per interpretarlo in un varietà televisivo, tre anni dopo la sua incisione. Dopo questa esibizione la sua fama diventerà nazionale e De André comincerà ad produrre dischi che godranno anche di successo commerciale, tanto da farlo propendere per la carriera di cantante a tempo pieno.

Verso la metà degli anni ’70 ancora non si è mai esibito dal vivo quando incontra Dori Ghezzi grazie ad un sorprendente amico comune: Cristiano Malgioglio. Dopo che inizia una relazione clandestina con la cantante milanese, decide in seguito di separarsi dalla prima moglie per convivere stabilmente con Dori in un casolare in Sardegna, dal quale verranno poi rapiti dall’anonima sequestri.

La storia con Dori Ghezzi fu sicuramente di enorme importanza per il cantautore genovese, infatti monopolizza la seconda parte del film nella quale la musica viene meno, tolta la splendida versione de “Il Pescatore” eseguita con la PFM nel 1979 interamente cantata da Marinelli.

Sicuramente una scelta, quella di dedicare ampio spazio alla storia tra i due cantanti, che trova un suo senso soprattutto in funzione della parte in cui viene raccontata la permanenza dei due sulle montagne sarde in mano ai loro sequestratori. Qui il sostegno datosi a vicenda li aiuterà a superare i quattro mesi passati sul Monte Lerno. Il tempo dedicato alla liaison tra i due è sicuramente il risultato della decisione degli sceneggiatori Francesca Serafini e Giordano Meacci di approfondire l’ambito personale del cantautore, seguendo il più classico e banale percorso per i film biografici sugli artisti.

Quello che si può contestare a chi si occupa di questo tipo di adattamenti è che ciò che ci interessa di un artista sono le sue opere, non la sua vita privata. O meglio: bisognerebbe trovare una sintesi sensata tra questi due aspetti. 

Nel film vediamo De André alle prese con il rapporto tra le due donne della sua vita e le difficoltà a riavvicinarsi al figlio Cristiano che sulle prime fatica ad accettare la sua relazione con Dori Ghezzi. In questo la sua storia è comune a quella di molti altri uomini, ma ci si dimentica ad esempio che nel frattempo aveva registrato il disco “Volume 8” con la stretta collaborazione di De Gregori.

Altri due personaggi fondamentali non solo nella sua carriera musicale furono Fernanda Pivano e Mauro Pagani. La prima ha il merito di aver tradotto i libri della generazione beat permettendo al pubblico italiano di beneficiare delle opere di scrittori quali ad esempio Ginsberg, Kerouac e Burroughs. Inoltre ha tradotto i racconti di Spoon River, che in seguito verranno usati come spunto da De André per il disco “Non al denaro non all’amore né al cielo”, ma lo spazio a lei dedicato è di una sola scena. Al secondo, autore di tutte le musiche di “Creuza de ma” e “Le nuvole” – oltre ad essere una colonna della musica italiana degli anni ’70 e collaboratore di De André per 14 anni – non è stato concesso neanche un solo secondo dei 193 minuti del film. Un po’ poco..

Principe Libero è un film ben diretto da Luca Facchini e magistralmente interpretato da Luca Marinelli. Il regista ha l’unico difetto di non aver imposto una scelta linguistica ben delineata, con personaggi che usano accento e termini liguri e altri, come il protagonista, che parlano in un italiano senza inflessioni: una scelta valida per tutti avrebbe funzionato meglio. L’attore romano invece è bravissimo nel restituire le movenze e la personalità del suo personaggio. Le scene in cui è lui a cantare testimoniano quanto un’ottima interpretazione possa sopperire al timbro di voce diverso dall’originale (e, secono alcuni, pericolosamente tendente al romanesco).

Le discutibili decisioni prese in fase di stesura della sceneggiatura minano indubbiamente la qualità complessiva di un prodotto che rimane comunque coinvolgente e gradevole da guardare. Il fatto di aver preferito raccontare ciò che è accaduto al cantautore ligure senza approfondire più di tanto il suo pensiero, mai banale, sulla realtà politica e sociale e la difficoltà intrinseca di un film biografico di dare il giusto spazio agli aspetti fondamentali di un’esistenza pregna come quella di De André lasciano un po’ di amaro in bocca per l’occasione persa. Un talentuoso attore come Marinelli e la figura fondamentale di Faber meritavano senza dubbio un film più profondo, che guardasse più “all’interno” dell’artista e meno al di fuori.