[REPORT] Il Gran Ballo alla Corte di Club To Club 2017

Un evento internazionale all’interno di location mozzafiato, un concept che riesce a rinnovarsi e la musica al centro di tutto: Club To Club si conferma il Festival migliore d’Italia. Anche quest’anno. 


_di Edoardo D’Amato

Sgambettare qua e là tra il main e il Red Bull Stage di Lingotto Fiere coccolati dalle sonorità downtempo di Bonobo e pettinati dai droni di Ben Frost è solo una delle tantissime cose belle che possono accadere a Club To Club. La principale peculiarità di questo Festival, giunto alla sua 17esima edizione, è proprio quella di essere versatile e aperto a suoni e commistioni delle più svariate. Anche le location sono emblematiche in questo senso: puoi ritrovarti al Grand Opening della Reggia di Venaria mentre scali un Monte Fuji tridimensionale insieme all’ambient pop japanese di Visible Cloaks , oppure a chiederti quanto le OGR siano una venue davvero suggestiva per far suonare i Kraftwerk otto volte.

Ma andiamo con ordine: sono stati giorni incredibili per la città di Torino, che hanno innanzitutto posto il capoluogo piemontese come punto di riferimento dell’arte in generale (Artissima, la ContemporaryArt e la mostra di Mirò a Palazzo Chiablese ne sono il massimo esempio). Rimanendo in tema musicale, impossibile non notare la staffetta Movement/C2C: due modi di intendere l’elettronica meno distanti di quanto si possa pensare (pur con le dovute differenze), che hanno dato ancor più lustro ad una città che ha da sempre avuto la vocazione di capitale del genere in Italia, ma il livello raggiunto in questi dieci giorni la pone anche al centro dell’élite europea.

La Reggia apre i battenti

Come ogni anno, Club To Club ha scelto un hashtag per rappresentare al meglio lo spirito di questa edizione. #cheektocheek è stato il mantra che ha campeggiato un po’ ovunque in questa intensa settimana, a partire dall’inaugurazione di mercoledì scorso nella Sala di Diana, dove i succitati Visible Cloaks e Bill Kouligas hanno ufficialmente aperto le danze. Due set ostici, sicuramente non aiutati dal chiacchiericcio di fondo e dalla generale eccitazione per l’inizio del Festival, ma alla distanza usciti fuori egregiamente. Soprattutto il duo di Portland ha messo in piedi uno show molto penetrante, che ha confermato anche live la bontà di questo nuovo progetto e dell’esordio “Reassemblage”.

Dietro di loro visual di giardini giapponesi in 3-d curati dall’artista digitale Brenna Murphy: ruscelli, cespugli, sabbia e rocce vengono decomposti e riassemblati appunto, proprio come il loro sound in bilico tra ambient, new age ed elettronica pura. Pollici all’insù anche per il dj e producer greco, fresco di collaborazione con Amnesia Scanner, e fondatore della label PAN (di cui fa parte un certo Sean Bowie, di cui parleremo fra poco). Nella room 2 le cose si fanno più danzereccie con il set di Material, torinese doc, sulle cui sfumature techno e disco cala il sipario su questa passerella d’apertura dal sapore d’antan e d’avanguardia, gustoso antipasto dei giorni successivi.

Dancing cheek to cheek: ieri e oggi

Fred Astaire e Ginger Rogers
Fotogramma dal video “Gaiola Portafortuna” di Liberato

Swag Kamasi

Le OGR, che in questo mese sono ritornate prepotentemente al centro della scena culturale torinese, sono il teatro del day 2, che ha sicuramente in Kamasi Washington il fuoriclasse assoluto. In tutti i sensi, perchè si tratta pur sempre di jazz al Club To Club. E non di jazz declinato in maniera atipica o fuori dalle convenzioni del genere, ma assolutamente classico. A differenza di questo atipico giovanottone di Los Angeles, che è riuscito a far breccia nel mondo indie grazie ad una serie di fortunati fattori (oltre al suo innegabile talento). A scaldare i motori prima di lui Artetetra, etichetta-crew marchigiana specializzata nelle produzioni in cassetta, e che ha introdotto la serata alla perfezione con un set molto esotico e ricco di suoni weird e psichedelici. Da approfondire e rivedere sicuramente.

Kamasi invece sale sul palco insieme alla sua band (sette musicisti, comprese due batterie), e attacca fin da subito il suo groove che tanto ha fatto impazzire il jet set statunitense (le collaborazioni con Kendrick Lamar e Run The Jewels parlano chiaro) e che è entrato poi di prepotenza anche tra le grazie del popolo indie e hipster di tutto il globo. Anche sul palco non gli manca nulla: ha il physique du rôle giusto, una band che trasuda swag da ogni poro e un padre (Rickey) che fa la sua comparsa, viene introdotto così “colui che mi ha insegnato tutto” e suona insieme al figlio, a cui scatta pure un sacco di foto ricordo con il suo smartphone.

La ricetta è servita, c’è anche lo storytelling familiare! Musicalmente, come si diceva, è jazz tradizionale, quello di “The Epic” e dell’ultimo ep “Harmony Of Difference”: anche live i pezzi sono delle suite molto lunghe (i dodici minuti di “Change of the Guard” sono davvero tanta roba), in cui ovviamente è il sax ad esaltarsi. Meno originale rispetto ad un progetto come quello targato Yussef Kaamal, quello messo in piedi da Kamasi Washington è però uno show probabilmente più fruibile, dove il contorno e la spiccata personalità dei The Next Step (la sua band, che conta anche Patrice Quinn, vocalist davvero di spicco) è importante tanto quanto la musica. E’ “The Rhythm Changes” a chiudere un concerto che è stata l’ennesima scommessa vinta da Club To Club.

E il ritmo cambia nuovamente poi con i due set che chiudono la serata alle OGR, ovvero quelli di Richard Russell (che presenta il suo progetto Everything Is Recorded, che in pratica è il suo nuovo moniker) e Powell (ormai ospite fisso del festival sabaudo), in coppia con il fotografo tedesco Wolfgang Tillmans. La selezione del primo pesca un po’ dappertutto (hip hop, reggae, r&b, dance), e ci fa ballare che è un piacere; stesso discorso per il secondo, che si conferma come il vero outsider del festival. Nulla suona come lui, è bene ribadirlo ancora una volta. E i visual di Tillmans fanno il resto, andando davvero a braccetto rispetto alle campionature techno-folli del producer inglese.

Kamasi Washington & his band

Rose bianche per te

Dalle OGR venerdì si passa a Lingotto: parte così la due giorni più intensa e ricca del Festival. Arrivare ad Amnesia Scanner a set quasi terminato è un errore da matita blu, ma questo personalmente mi ha permesso di tastare sotto cassa, e con una certa discrezione, il potentissimo impianto di Club To Club (non sempre impeccabile nell’arco della due giorni forse, ma d sicuro impatto). Si rimane volentieri nel main stage per assistere al live di quel matto di Arca: catwalk da vera diva, il producer venezuelano presenta il suo ultimo omonimo disco. Insieme ai corpi uniformi e ai mondi onirici dei visual firmati dal fedele Jesse Kanda, Alejandro Ghersi regala al pubblico di Club To Club un vero queer show: c’è molta teatralità nella sua performance, sia per i suoi sorprendenti outfit (per chi non avesse ancora visto nulla, su Youtube c’è il suo intero set al Sonar di quest’anno) che per la voce, meravigliosamente calda e imperfetta. Come avevo avuto modo di dire qui,  la sua discesa in mezzo alla folla con tanto di “trampoli” e le rose bianche lanciate sul pubblico sussurrando “One for you, one for you and one for you” rimangono forse la cartolina migliore del #cheektocheek di cui sopra.

Arca

Giusto il tempo di constatare la presa bene generale per il live di Bonobo (pur non essendo un suo grande ammiratore, bisogna ammettere che con band al seguito pezzi come “Bambro Koyo Ganda” e “Kerala” fanno il loro dovere), ed è giunto il momento di esplorare il Red Bull Academy Stage. La sala gialla degli scorsi anni non c’è più: un addio non indolore (era indubbiamente piuttosto suggestiva), ma necessario per far spazio a quello che si è rivelato essere un padiglione più funzionale e che ha permesso il flusso del pubblico più spedito da un palco all’altro.

Bonobo

 

Droni, incubi e cervelli spappolati

Il set di Ben Frost finisce dritto nella mia personalissima top 3 di questa edizione: un’ora abbondante di droni e noise da ascoltare rigorosamente ad occhi chiusi. E pensare che ero partito un po’ prevenuto, perchè su disco lo avevo sempre percepito come un po’ ripetitivo: forse questa sensazione ascoltandolo in cameretta rimane, ma live il suo suono così lacerato e potente ti fa andare letteralmente in poltiglia il cervello.

Dall’altra parte sta per iniziare il live di Nicolas Jaar, che si conferma come uno degli artisti più interessanti della sua generazione. One man band, il compositore statunitense presenta sul main stage l’ultimo “Sirens”, senza però dimenticare i pezzi più importanti della sua già straordinaria carriera (classe ’90, tre dischi all’attivo). Tra il pubblico non sono tutti contenti, la cassa dritta non sempre c’è, ma Jaar se ne frega di tutto: pianoforte distante, sassofono glaciale, arpeggi storti e una dote da crooner  davvero invidiabile (“Space Is Only Noise If You Can See” e la latineggiante “No” ne sono un esempio) contribuiscono ad alzare il livello di stile e classe dell’artista dalle origini cilene. Intanto nel Red Bul Stage Jlin sta presentando il suo ultimo “Black Origami”: top tra le uscite di questo 2017, il disco della musicista di Chicago suona benissimo anche on stage. Ne sentiremo parlare.

E mentre sta per iniziare il set di The Black Madonna, decido di spostarmi definitivamente nell’altro padiglione per Not Waving, scelta che si dimostra azzeccatissima perchè il producer di Vasto ci ribalta totalmente. Sound folle sulla scia a quello di Powell (su Diagonal ha pubblicato il suo primo ep), con un mix di techno ed EBM che ci investe come un treno.
Non ci spostiamo di lì perchè sta per esibirsi uno degli act più interessanti del lotto: già il suo esordio “Serpent Music” è un qualcosa di folle e profondissimo, ma il live di Yves Tumor (all’anagrafe Sean Bowie) diventa una specie di rito voodoo. Basti pensare che la sua esibizione inizia in mezzo al pubblico, mentre incatenato si dimena governato da una misteriosa figura mascherata dietro di lui. E il resto è un’esplosione di sciamanesimo strumentale, esoterismo e turbamenti interiori. Immaginate un Tricky posseduto dal demonio. La buonanotte delle cinque del mattino.

Yves Tumor

L’omaggio al Maestro Battiato

Il day 3 è quello di Liberato (di cui abbiamo parlato approfonditamente qui), ma non solo: nel main stage la scena se la prende innanzitutto Mura Masa. Il producer di Guernsey sale sul palco insieme alle sue vocalist, con una piccola batteria e chitarra elettrica oltre ad un discreto numero di strumentazioni appositamente imbastite per il suo beatmaking: trascinato da alcuni singoli davvero ben confezionati (” All Around The World” e “Love$ick” su tutti), il tutto acchiappa e non poco anche live. Lo scorso anno si era esibito per il suo debutto italiano al Festival Moderno di Milano (c’è sempre lo zampino di Club To Club), stavolta approda a Torino con il suo omonimo esordio già pubblicato ed entrato nella testa dei moltissimi che lo hanno ballato e cantato sotto palco. E bisogna dire che Alex Crossan, a 21 anni, ha già messo in piedi uno show che rispecchia a pieno il mood generale del suo disco, tra momenti più danzerecci (ovvero la maggior parte) e quelli più intimisti. Sicuramente uno dei migliori esempi attuali di come si possa fare ancora un pop di qualità (benedetto da mister Damon Albarn) intriso di trap, dance e ritmi caraibici ed etnici.

Mi perdo i set bomba di Jacques Greene e Lanark Artefax per assistere al Richie Hawtin “CLOSE Spontaneity and Synchronicity”: forse il nome più accostabile a Kappa FuturFestival e Movement (ciò dimostra ancora di più la versatilità di Club To Club), lo storico dj canadese si presenta con un arsenale di sintetizzatori modulari e strumentazione analogica. E mette tutti in riga con la sua techno made in Detroit. Dopo di lui Helena Hauff e Nicolas Jaar, che fa doppietta e omaggia il maestro Franco Battiato mettendo come intro del suo set “L’ombra Della Luce”. Da brividi.

Mura Masa

Un astronave sotto la Mole 

Sabato però è anche e soprattutto il giorno in cui prendono ufficialmente il via gli otto concerti dei Kraftwerk alle OGR. Come ogni gigante del proprio tempo, anche il gruppo di Düsseldorf è riuscito a precorrerlo con un racconto che rimane attualissimo anche a 40 anni esatti dall’uscita di “Trans Europe Express”. Ho avuto l’occasione di vedere in particolare lo spettacolo dedicato alla pietra miliare del 1977 tra quelli che i quattro pionieri tedeschi hanno presentato a Club To Club con il loro show “The Catalogue – 1 2 3 4 5 6 7 8“.
E bisogna ammettere che ogni tanto vale davvero la pena spendere aggettivi come “incredibile” (che forse di questi tempi vengono un po’ abusati dappertutto): quello messo in piedi dai Kraftwerk è un live che sa colpire ogni sinapsi del nostro sistema nervoso. Siamo tutti seduti e con un paio di occhialini 3-d per assistere al meglio anche alle proiezioni e animazioni dietro di loro: immagini e musica si mescolano e diventano una sola cosa. In due ore di performance suonano tutto il disco che dà il titolo alla serata più altri capolavori che li hanno consegnati alla storia: tra questi “Autobahn”, “The Man Machine”, “Tour de France” e “Radioactivity”.

Il Catalogo

I visual dietro di loro, tra astronavi in giro per lo spazio infinito, treni noir e vecchi filmati in bianco e nero delle prime edizioni del Tour de France si sposano alla perfezione con i pezzi. Quello che sembrerebbe uno spettacolo per pochi, in realtà diventa un gioiello pop universale, proprio come il linguaggio che i Kraftwerk seppero creare nei primi anni ’70 e che influenzò parecchie cose che sarebbero esplose di lì a poco. L’encore è affidato a “The Robots” e vede salire sul palco al posto loro i quattro celebri automi con tanto di camicia rossa, cravatta nera e pantaloni grigi. Per l’epilogo si palesano nuovamente Ralf Hütter e soci, che attaccano “Musique Non Stop”. E’ l’ennesimo slogan perfetto per questo Club To Club.

Purtroppo, causa atterraggio dei nostri robot preferiti, ho dovuto dare forfait per il set della Gang of Ducks durante Dance Salvario in Piazza Madama Cristina, ma alcuni mi hanno riferito che si è rivelato una bomba. E non c’erano dubbi. È stato un onore partecipare al Gran Ballo #cheektocheek di Club To Club!

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