Torna per la sua quinta edizione al Circolo Magnolia Unaltrofestival, rassegna organizzata dall’agenzia Comcerto, da sempre garanzia di act pop rock imperdibili. Insieme agli headliner Slowdive abbiamo così salutato alla grande un’estate di Festival in giro per l’Italia.
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_di Stefano D.Ottavio
Unaltrofestival, produzione eccellente di Comcerto e del Circolo Magnolia di Milano, è approdato alla sua quinta edizione in un giorno segnato da piogge e basse temperature che ha messo definitivamente una pietra sopra la torrida estate 2017. Sono stati tre mesi ricchi di Festival: nel mare magnum di eventi in giro per lo Stivale vi abbiamo raccontato il Siren Festival di Vasto, il Kappa Futur e i TOdays torinesi, ma anche il Ferragosto punk-rock del Bay Fest. Non possiamo poi dimenticare alcune proposte incredibili come quelle del Medimex e Viva Festival in Puglia.
Sabato scorso i numerosi spettatori accorsi al club di Segrate hanno tirato fuori dagli armadi maglioni e giubbotti per affrontare una serata di grandi live, tra i quali svetta per importanza l’attesissimo ritorno dei re dello shoegaze, gli Slowdive. La storica band di Reading è solo l’ultimo grande act nella fila dei prestigiosissimi nomi che dal 2012 hanno popolato il cartellone di Unaltrofestival, nel quale figurano gruppi incredibili come Tame Impala, Editors, Daughter, Edward Sharpe & The Magnetic Zeros, MGMT, The Dandy Warhols e Horrors. Prima dell’esibizione principale, il festival, come sempre, ha regalato una lunga serata di esibizioni di band italiane e straniere che si sono alternate tra il Main ed il Second Stage.
Con grande dispiacere, sia a livello personale sia per la conseguente incompletezza di questo report, perdo il primo act della serata, i Belize, a cui è toccato il compito di aprire le danze in quanto padroni di casa a Milano. Un vero peccato non aver assistito al concerto, soprattutto perché “Spazioperso” (Ghost Record), album di debutto della band uscito l’anno scorso, è veramente un disco moderno e ben fatto. Prometto di recuperare al primo passaggio della band nel Nord Italia.
La lunga serata al Magnolia per il sottoscritto quindi parte con Wrongonyou ed il suo breve set sul Second Stage. Il songwriter romano si dimostra anche in questo live un artista esportabilissimo all’estero, non solo perché canta in lingua inglese, a differenza del 90% dell’attuale cantautorato italiano, ma soprattutto perché, per dirla in modo banale, è veramente bravo. Non sfigurerebbe se sui grandi palchi stranieri ci fosse lui al posto di, ad esempio, un artista come Jack Garratt, il quale l’anno scorso ha riscosso successo nel mondo con un lavoro non molto distante dall’ep “The Mountain Man” del nostro Wrongonyou. Da solo sul palco, con chitarra acustica e gli effetti per la voce, Marco Zitelli ci regala una bella mezz’ora di intimità, non dimenticando di cazzeggiare col pubblico, tra un accenno a “Do You Believe” di Cher ed uno skrrrrrt alla Sfera Ebbasta cantato durante uno degli ultimi pezzi, “I Don’t Want to Get Down”, che tradisce, almeno nella mia immaginazione, un cuore da trapper sotto l’uniforme da cantautore.
Funziona bene il passaggio da Wrongonyou ai Seafret, duo acustico di giovanissimi capelloni provenienti dallo Yorkshire. “Tell me it’s Real” è l’album di debutto di Jack Sedman ed Harry Draper, presentato in questa occasione sul Main Stage del Magnolia con una certa timidezza e fastidiosi problemi al microfono del cantante. Dalla loro, i Seafret hanno belle canzoni folk ed una voce da paura ad interpretarle, ma la loro proposta sonora non gode sicuramente di una grande originalità, soprattutto in quest’epoca di dittatura del regime di Ed Sheeran e cantautori pop simili. Dov’è che ho già sentito la melodia di “Atlantis”, per esempio? Dai Seafret, da una qualsiasi audizione di X Factor o da altre dozzine di songwriter dalla faccia pulita? Dubbi e provocazioni a parte, il live nonostante tutto è molto gradevole e di alto livello, e poi non si può volere male ad una band che ha fatto un video con Arya Stark di Game of Thrones (“Oceans”, del 2015).
Non funziona altrettanto bene il nuovo passaggio sonoro tra i due palchi, poiché non si comprende a pieno il filo logico che dovrebbe legare Seafret e Gazebo Penguins, se non che sono entrambi appartenenti al genere umano. Ma ok, è la bellezza e l’eclettismo dei festival moderni, e non fa mai male vedersi un live dei nostri compatrioti. Capra e company, dopo ore di soffici chitarre acustiche negli altri set, alzano i volumi del Second Stage per presentare il nuovo lavoro per To Lose la Track, chiamato “Nebbia”, un altro sguaiato e martellante gioiellino nella discografia della band post hardcore di Correggio, che ormai da trio s’è trasformata in quartetto. Essendo quest’ultimo un bell’album, funziona anche la sua trasposizione live, arricchita qua e là dai classici dei Gazebo Penguins come “Senza di Te” e “E’ Finito il Caffè”, sparate come ultimi colpi del concerto. A discapito della band italiana, c’è da dire che è difficile seguire pazientemente il set senza pensare a cosa sta per arrivare a breve sul Main Stage, uno spettacolo che non capita tutti i giorni, anzi…
…Ci sono voluti giusto 22 anni per sentire qualcosa di nuovo da parte degli Slowdive, che, come se nulla fosse, dopo tutta questa attesa salgono sul palco nel silenzio assoluto del Magnolia, come teatranti, ed attaccano con “Slomo”, la prima traccia dell’ultimo “Slowdive”. Se la sono presa abbastanza comoda i ragazzi di Reading, con tre album pubblicati dal 1993 ad oggi, ma la mancanza di prolificità è stata inversamente proporzionale alla qualità dei lavori, visto che difficilmente gli hanno deluso i loro fan (la critica nei loro confronti richiederebbe un discorso a parte) nel percorso delineato a partire dal manifesto dello shoegaze “Souvlaki” fino all’ultimo album omonimo, meno sperimentale, arrivato nel maggio del 2017. La sfida del live era unire organicamente i brani dei diversi dischi in una scaletta, e la risposta a ciò è arrivata soprattutto con una splendida doppietta verso il finale che è filata liscia come l’olio, composta da “Alison” e “Sugar for the Pill”, singol(on)i dei rispettivi album.
«La mancanza di prolificità degli Slowdive
è inversamente proporzionale alla qualità dei loro lavori»
Passato e presente si amalgamano per una sera in cui si ferma il tempo, tornano d’improvviso giovani e con tutti i capelli gli spettatori che vent’anni fa ascoltavano le novità britpop e shoegaze provenienti dal Regno Unito, continua ad avere un incredibile fascino la frontwoman Rachel Goswell, ed anche chi non ha mai sentito gli Slowdive dal vivo per motivi anagrafici (come il sottoscritto) non può che godere dell’importanza e della classe di un concerto simile ed entrare tra le file dei fan della prima ora. D’altronde è anche questo l’intento del tour, tanto promozionale quanto celebrativo della storia di questa band (e del suono shoegaze in generale, attualmente protagonista di un diffuso revival).
Per due volte, o poco più, Rachel ha parlato tra un pezzo e l’altro: una è per salutare il pubblico nella lingua sbagliata (il solito ¡gracias! che abbozzano gli artisti che suonano in Italia, ma lei la perdoniamo); l’altra, invece, per annunciare un pezzo incredibile, “Souvlaki Space Station”. Fin dall’attacco di un brano così immensamente dream pop (ma anche durante altri momenti della scaletta), non riesco a smettere di pensare in modo ossessivo ad una frase che dà il titolo ad un altro grande album dell’epoca e che descrive a pieno la sensazione vissuta durante il live: “Ladies and Gentleman, we’re floating into space”.
Dopo un’ora abbondante di sogni, incastri vocali e chitarre fragorose, viene anche concesso il bis, con i brani “Blu Skied an’ Clear” e “40 Days”. Per i più temerari (e meno infreddoliti) dopo il live ci sono stati dj set con nomi di spicco dell’universo brit, Mike Joyce degli Smith su tutti. Gli altri invece si sono allontanati dal Magnolia, sapendo di poter contare su Unaltrofestival per tornare lassù, a fluttuare in orbita, alla fine dell’estate del prossimo anno.
Gallery a cura di Serena Gramaglia