Gli Afterhours compiono 30 anni e festeggiano al Teatro Greco di Taormina la loro unica data in Sicilia del tour #30afterhours, organizzata da Puntoeacapo Concerti.
Chi conosce gli Afterhours sa bene che la retorica, con convenevoli e preliminari di rito, non si accompagna mai a loro sul palco. Non saranno di certo i 30 anni trascorsi da “All the Good Children Go to Hell” a fargli cambiare attitudine.
Quindi, dritti al punto, Manuel Agnelli e compagni salgono sul palco puntando al godimento massimo del pubblico nel più breve tempo possibile. E non ci sono dispersioni di energia.
Col senno di poi l’intero concerto è stato un lunghissimo spasmo di piacere.
Strategie a luci accese fa tremare le fondamenta del Teatro Greco di Taormina e consente di vedere in quanti siamo i fiori urlanti adunati a festeggiare il trentennale. La location non è piena ma la fascia centrale dei vari settori è foltissima.
Se ancora c’era qualche indeciso se star seduto o in piedi, le successive Germi e Male di Miele hanno perentoriamente declamato la risposta.
Manuel si concede un momento di romanticismo prima di Il sangue di Giuda, rendendo merito alla Sicilia che ha covato “Ballate per piccole iene” al The Cave di Catania, suggestionandone la forma finale.
L’introduzione a Il paese è reale dà l’assist a un divertente siparietto tra Manuel e Dell’Era sul parallelismo tra il teatro “floreale” di Sanremo in cui è stato presentato il pezzo e il teatro di Taormina “dove un tempo si esibirono i Sofocles e gli Aristotelis”. Dell’Era è la mina vagante del gruppo, si sposta di continuo e sente e cerca il contatto con il pubblico, mentre i guizzi dalle mille nuances del violino di D’Erasmo si muovono sinuosi nei brani, impreziosendoli. La forza del live è chiaramente frutto della caratura dei singoli componenti ma anche della loro coesione interna. I “fronteggiamenti” di Manuel e Iriondo sembrano dei veri e propri appassionati combattimenti a suon di chitarra, mentre Stefano Pilia seppur più in disparte, non smette di cantare con trasporto mentre suona, come se prima di tutto fosse fan, e poi membro, della band.
Sul tracciato della scaletta non viene trascurato nessun album – alcuni brevemente accennati, altri esplorati più a fondo – mentre per l’ultimo “Folfiri o Folfox” viene ritagliato uno spazietto a sé, collocato a metà concerto.
Lo strazio della vocalità lacerante di Grande con Manuel solo sul palco durante la prima strofa diffonde brividi a tappeto, per poi amplificarli nel momento dell’esplosione sonora corale con la band al completo. Da “Folfiri”, viene riproposto anche l’altro lato della stessa medaglia, il dolore che stavolta trova una sublimazione nel piano jazzy di L’odore della giacca di mio padre.
Dopo la prima pausa sale sul palco il guest di questo tour, lo storico batterista degli Afterhours Giorgio Prette. Un po’ anomalo il tipo di coinvolgimento – di cui non è facile scorgere il criterio – che lo vedrà allo strumento in qualche pezzo tra il primo e il secondo bis, come: La sottile linea bianca, Ballata per piccola iena e Voglio una pelle splendida. Sul finale di quest’ultima, Prette ha il suo momento di gloria, mentre resta da solo sul palco con le attenzioni del pubblico tutte per sé, prima di un’altra pausa che rivedrà Rondanini alla batteria.
Per quanto Prette manchi, in quanto volto stabile dei primi 25 anni degli Afterhours, non si può certo dire che Rondanini sia stato accolto con la freddezza del “sostituto” dai fan, tutt’altro.
Questo è un tour speciale e quindi i bis saranno ben tre e annideranno alcuni dei pezzi più significativi dell’intera carriera degli Afterhours, come Bunjee Jumping, Bianca, Non è per Sempre, Quello che non c’è – queste ultime due suonate da Prette prima dell’abbandono definitivo della batteria coronato da un abbraccio con Rondanini che ha un bel valore simbolico.
Dello sprint finale stenteremo a dimenticare la splendida Ci sono molti modi e Bye Bye Bombay, quasi sempre presente in scaletta ma pur sempre richiesta a gran voce dal pubblico, durante la quale riappare Prette col cembalo.
Sono passati 30 anni e di acqua ne è passata sotto i ponti: dipartite, ritorni, nuovi ingressi, scelte extra-musicali prima impensabili.
Eppure la sostanza, ciò che davvero dovrebbe importare, è sempre quella, anzi, migliorata perchè ha il fascino della storia.
Un volto solcato dalla traccia del tempo racconta molto di più di uno che non reca con sé neanche l’ombra di una ruga.
A concerto concluso viene da sperare che “non è per sempre” sia solo una meravigliosamente tragica bugia.
GALLERIA FOTOGRAFICA A CURA DI GIUSEPPE PICCIOTTO