[REPORT] Zanne 2017: la Terra è lontana

Dal 21 al 23 luglio si è tenuta la IV edizione di Zanne Festival al Parco del Castello D’Urso Somma di Catania, con headliner – ognuno a suo modo interstellare – Einstürzende Neubaten, Air e Soulwax. La nostra panoramica sull’evento. 

L’annuncio della IV edizione di Zanne Festival è giunto a fine aprile, proprio quando nessuno ci sperava più e proprio per questo accolto con fervore ancora più grande da tutti gli appassionati di musica del capoluogo etneo e non solo, che ne avevano già pianto l’assenza l’anno precedente.
Un cambio di location last minute dovuto alle nuove misure di sicurezza che non rendevano più possibile utilizzare gli spazi della Pineta Monti Rossi di Nicolosi, ha fatto dirottare lo staff organizzativo verso il Parco del Castello D’Urso Somma, alle spalle del litorale catanese. Una scelta che ha sollevato le obiezioni di tanti – per le dimensioni notevolmente ridotte rispetto a quelle della location originaria  e per coloro che avevano già organizzato la vacanza facendo base a Nicolosi – soppresse però a festival concluso.
Un allestimento – curato da Claudia Gambadoro – sobrio ma ben congegnato, ha annidato alcune sorprese all’interno del parco, contribuendo a creare un’atmosfera “boschiva”. Presenze volatili in strutture metalliche puntavano gli avventori con i loro occhi luminosi, mentre all’ingresso totem di legno e zanne luminose – che come aculei affioravano dalle palme – davano il benvenuto.

Il primo giorno prevedeva la line up più corposa, con ben 4 gruppi in programma, e il primo set previsto alle 20. Qualche intoppo organizzativo ha reso poco scorrevole l’ingresso di coloro che, nel frattempo, formavano una fila di cui non si riusciva a scorgere la fine. Ad essere penalizzati dal rallentamento sono stati i londinesi H. Grimace che si sono esibiti di fronte ad un pubblico ridotto, per quanto ciò non abbia impedito di apprezzare le loro sonorità noiseggianti, e di ravvisare come numi tutelari dietro la solida espressività della cantante, Kim Gordon nel suo spoken word e la suadente rabbiosità di Polly Jean.

Da Londra all’Islanda con i Fufanu il cui set, partito con dei pezzi accattivanti in cui l’elettronica sparigliava le carte di ritmiche post-punk, ha poi virato verso un più anonimo post brit-pop nella seconda parte dell’esibizione.
Molti di noi non lo sapevano ancora, ma di lì a breve ci saremmo trovati di fronte ad una delle più belle sorprese di questo Zanne 2017: il live degli Of Montreal. La personalità – o forse sarebbe meglio dire il personaggio – istrionico di Kevin Barnes si presenta sul palco in versione “Swinging London”, con tanto di mini gonna à la Mary Quant, calze a rete blu, parrucca dai boccoli d’oro e tanto trucco. Dietro, i musicisti vestiti in bianco sembravano degli psichiatri complici di una delirante pantomima, in cui l’impatto musicale restava assolutamente protagonista nonostante l’esuberante carisma di “Miss” Barnes. Un trasformismo vocale che solo un controllo e un’estensione non comune possono rendere possibile, hanno impressionato gran parte dei presenti, catturati al contempo dai suoi balletti coreografici. Impossibile ingabbiare gli Of Montreal in un’etichetta, perché ogni qualvolta si pensa di averli afferrati, la loro musica sbuca da tutt’altra parte rispetto a dove l’avevi lasciata: Beach Boys, David Bowie, gli anni 60′-70′-’80, tutto insieme, ma rielaborato con personalità e stile. Sicuramente il primo di una serie di grandi live spettacolari di questa edizione di Zanne.
L’atmosfera da stelle filanti dorate – regalate al pubblico chiamato a diventare parte attiva – del live degli Of Montreal lascia immantinente il posto a tutt’altri registri umorali e musicali.

Lo spettacolo inizia ben prima che gli Einstürzende Neubauten appaiano in scena, con l’allestimento sul palco del loro armamentario sonoro. Seghe rotanti, vasche metalliche in sospensione, molle, una batteria assolutamente non convenzionale con un foglio di lamiera piegato in due al posto del rullante, e dei piatti che sembrano delle tessere di un puzzle di metallo. Uno show dentro lo show. E poi arrivano, Blixa, l’uomo in grado di raggiungere lo zenit dell’espressività nella totale inespressività, e compagni, con la minimalista “The Garden”, dove l’incedere ossessivo del basso disegna la trama che la voce monocorde di Blixa tinteggia di nero. A poco a poco compaiono altri strumenti non-strumenti a dare sfumature “crollanti” sempre diverse, come la cascata cadenzata di chiodi, o il vinile suonato con trapano e bicchiere, radioline, o ancora dei tubi di plastica, tra i quali si inseriscono gli animaleschi acuti stridenti di Blixa. Estrapolare la musica – nel suo sottile confine con il rumore – che è racchiusa in qualunque oggetto, è la loro vocazione, creando dal vivo suoni che siamo soliti sentire in versione campionata dai gruppi che con i Nostri condividono il genere di cui sono stati pionieri, l’industrial. I momenti più solenni del live sono stati “Sabrina”, “Nagorny Karabach”, “How did I die”, “Die Befindlichkeit des Landes”, mentre in diritura finale “Let’s do it a da da da” ha scomposto l’ascolto fermo e concentrato del pubblico facendolo ballare.
A fine concerto sull’augurio “have a nice way home” e un bacio soffiato nell’aria Blixa con i suoi Einstürzende si congedano lasciando interdetti coloro che da quel luna park dell’orrore non volevano più andare via.

«È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale,
una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai»

Einstürzende Neubaten

Se gli intoppi del giorno prima erano stati abbondamente rimossi dalla mente dopo i live della prima serata, lo scorrere fluido all’ingresso del day 2 ha fatto il resto. Da prevendite, questa con gli Air in qualità di headliner, è la data più attesa.

I primi ad esibirsi sono i Limiñanas. Il duo francese si presenta sul palco con una formazione allargata di cinque elementi, tra cui la cantante Nika Leeflang, già voce in alcune tracce dell’album “Malamore”. Se la batteria senza piatti di Marie e la chitarra distorta di Lionel tracciano le coordinate musicali del gruppo, mappabili in un ideale western garage, la voce della Leeflang verga i loro pezzi di definitivo vigore o sognante dolcezza.

Cambio di sipario. Al groove della band di Perpignan subentra l’electro-pop del trio di Brighton Fujiya & Miyagi dove l’incontro tra marcate linee di basso e synth devia spesso su lidi dance che scaldano il pubblico, trasformando il parco del Castello in una piccola dancefloor.

L’attesa è palpabile e le transenne sono già state conquistate da un po’ da chi lo storico duo francese se lo vuole godere a un palmo dal naso. Scenografia essenziale, composta da tre superfici riflettenti e nient’altro. Tra i sintetizzatori in primo piano entrano sul palco, di bianco vestiti, accompagnati da un altro elemento alle tastiere e synth e da un batterista. È chiaro anche per chi li vede per la prima volta dal vivo, che sarà un concerto dove la componente “spettacolo” è affidata unicamente alla musica, persino loro sembrano essere ologrammi.

Il concerto che celebra il ventennale di carriera degli Air si snoda tra l’elettronica eterea di classici come “Cherry Blossom Girl”, “Remember” e “Alone in Kyoto”, la vellutata malinconia di “Playground Love” e il trainante pop elettronico di “Kelly Watch the Stars”, laddove echi anni ’70 attraversano trasversalmente gran parte della loro discografia. Nicolas Godin completa le linee melodiche delle tastiere e dei synth di Jean-Benoît Dunckel con il basso e la chitarra acustica, fondendo le proprie voci che sembrano dare origine a una terza, ultraterrena. Ci avviamo alla fine della scaletta quando un “Are you ready?” al vocoder preannuncia l’acclamata “Sexy Boy”, prima del gran finale con una lunga coda in cui tutti gli strumenti sul palco fanno il rush finale.
La poetica degli Air è sempre stata costellata da un immaginario da “space maker” e il concerto che chiude questa seconda serata di Zanne presta fede alla vocazione originaria del duo: Amour, Imagination, Rêve. Omen Nomen.

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Limiñanas

«A fine concerto sull’augurio “have a nice way home” e un bacio soffiato nell’aria, Blixa con i suoi Einstürzende si congedano lasciando interdetti
coloro che da quel luna park dell’orrore non volevano più andare via…»

Appena il tempo di rendercene conto e per quest’anno Zanne sta per concludersi.
La terza serata era quella dall’esito più incerto, dato l’headliner un po’ meno “popolare” degli altri, i Soulwax. Sarà però anche questo, ex post, ad aver contributo a renderla sicuramente la più straordinaria.
Inaugurano l’ultima serie di concerti i vincitori del contest “Nuove Zanne”, i salernitarni Törst che fanno elettronica senza rinunciare alla chitarra acustica, in una sorta di electro-folk trapuntato di glitch.
Sono i tanto attesi Mistery Lights – complice la canzone (“Too many girls”) scelta dallo staff di Zanne per uno dei trailer di questa edizione – a calcare le scene subito dopo, con il loro energico garage psichedelico che funge da richiamo a tutti i presenti sparsi per il parco, inclini a scaldarsi a suon di chitarre ruggenti, lasciandosi contagiare dalla carica adrenalinica della band.

Il passaggio di testimone avviene con il quintetto tedesco di nascita e inglese d’adozione degli Ulrika Spacek che poco dopo l’inizio del set incontra dei problemi tecnici che probabilmente avranno inciso sul resto del live. Il timbro vocale del cantante in parecchi momenti ricorda parecchio quello di Thom Yorke e diversi brani sembrano risentire dell’influenza di album come “Ok Computer”. Tuttavia la band di “Modern English Decoration”, a dispetto delle aspettative, dal vivo manca di quel mordente che la renda annotabile tra gli ascolti da approfondire.
Finita la loro esibizione cala uno dei teloni in fondo al palco e inizia a prendere forma parte dell’allestimento del palco per i Soulwax.

Come per gli Einstürzende Neubaten il primo giorno, anche stavolta sono gli occhi, ancor prima delle orecchie, a godere. Due celle coibentate ai lati del palco – ancora coperte dai teli – custodiscono due batterie Staccato dalle forme liquefatte, che danno l’impressione di osservarle sotto l’effetto di un trip lisergico, mentre al centro impera una terza batteria futurista, interamente in plexiglass. All’inizio, sul palco, solo il primo dei tre batteristi occupa la sua postazione centrale e pesta il rullante come a dettare i tempi di un corteo marziale, mentre i fratelli Dewaele conquistano la console centrale e la chitarra. A quel punto i teli che coprivano le altre due batterie cadono, svelando l’identità degli altri due batteristi: Igor Cavalera (Sepultura) e Victoria Smith (Jamie T). Adesso che si gioca a carte scoperte, parte una super-ritmata “Do you want to get into trouble?”. L’elettronica che i fratelli manovrano attraverso i synth viene contrappuntata da scariche ritmiche che a volte si sovrappongono, altre si incastrano con una precisione matematica forzando i limiti della nostra percezione sensoriale. Come se non bastassero tre batterie, anche Stephen ci mette del suo, suonando in alcuni frangenti i rototom. Tra giochi di luce a contrasto bianco/nero, la star percussiva di cui si celebrano le doti è Cavalera su cui i riflettori vengono puntati negli assolo, lasciando il resto del palco oscurato, come nell’intro di “Missing Wires”.
Il pubblico è in visibilio, trascinato dalla martellante ossessività dei brani, in una dimensione dove corpo e mente non si trovano nello stesso posto.
Il concerto si chiude con un crescendo su “NY Excuse” in cui il totem col cranio metallico della copertina di “From Deewee” posto a centro palco assieme al suo doppio gigantesco in fondo al palco iniziano a roteare a ritmo, sempre più velocemente, fino ad arrestarsi di colpo, quando tutto è stato dato e niente risparmiato.

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Soulwax

“È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai.” In queste parole tratte da “L’eleganza del riccio” è annidata l’essenza dei festival musicali, quelli belli, fatti con cura e passione, come Zanne, dove anche le imperfezioni sanno di umano e dove ritrovarsi è come ricevere una pacca sulla spalla che rincuora di aver creduto, ancora una volta, che un riscatto è possibile.

GALLERIA FOTOGRAFICA DAY 1/DAY 3

A CURA DI GIUSEPPE PICCIOTTO

 

GALLERIA FOTOGRAFICA DAY 2

A CURA DI CARMELO TEMPIO