Flamenco a Corte!

Nel cortile dei Reali passa El Duende del Flamenco ad infiammare i cuori. Nòmada di Manuel Liñán porta via ogni pensiero a ritmo di musica gitana. 


_Valentina De Carlo

Nel silenzio inaspettato di piazzetta Reale che ospita per l’ultima serata gli eventi di Torino Estate Reale 2017, si leva il canto, quello hondo, profondo e graffiante delle terre spagnole, quello vibrante e patetico dei cantaores gitani, che sgorga direttamente dalle profondità dell’anima, come la lava da quelle della terra. E subito un brivido ti trafigge la schiena, inchiodandoti là, sulla punta della sedia, in trepidante, ansimante attesa di scendere giù, nei meandri del flamenco, quello puro. Nómada è iniziato, portato in scena dalla compagnia di Manuel Liñán, totalmente spagnola, con la collaborazione di Arte y Flamenco, sabauda doc.

Il connubio delle corde di chitarra, delle palmas e del canto, trasforma il cortile dei sovrani piemontesi in un tablao di Siviglia, dove la freddezza del nord sta per essere risucchiata dal fuoco del flamenco, intreccio di tutti gli opposti, felicità e dolore, amore e odio, vita e morte. La vida es un momento è l’urlo iniziale del cantaor, lungo, trascinato, striato di dolore, come quasi tutte le letras di questa arte antica e popolare, che si è abbeverata alle fonti di diverse culture, quella cristiana, quella islamica, quella gitana, diventando quello sguardo che incrocia preghiera e poesia, sacro e profano e che scuote inevitabilmente chi si trova lì a vedere ed ascoltare.

Nómada inizia così, con una schiera di tre ballerini, tre ballerine, tre cantanti e due chitarristi, pronti a viaggiare nel destino nomade dell’uomo, che tra necessità e desiderio, si sposta cambiando luoghi, emozioni, culture, ma conservando con sé sempre una pezzetto di radici, in questo caso quelle che escono da sotto i tacchi picchiettando sul legno, in una serie infinita di zapateados e dalle punte delle dita, che volteggiando tracciano scie luminose e spandono i sentimenti della storia che stanno raccontando. Una storia che cammina sulla passione infuocata di questa giovane compagnia, che guidata da un Liñán tuttofare, regista, coreografo e interprete, ci porta una ventata di calore, quello travolgente che può bruciare. Alternando coreografie di gruppo, a baile in solitario, canti drammatici e frammenti frizzanti, i gitani creano con la danza un universo intero, dove le emozioni prendono vita e ti saltano addosso, ti si infilano tra i vestiti, per uscire dalle dita che tamburellano sulle ginocchia e dalle spalle che ondeggiano imitando quelle sinuose delle bailaoras, che dal palco raccontano amori dal sapore agrodolce, fatti di passione e tradimenti, vite spezzate, ma sempre vissute.

«A regnare incontrastata è la gioia, quella inarrestabile per la vita e l’unica parola che riesce a uscire dalla bocca  è un “Olè!” liberatorio,
che proviene direttamente dal cuore»

Il dolore apre un varco di tanto in tanto e nelle musiche tradizionali si insinuano suoni di sottofondo spiazzanti, come fiati che ansimano, respiri affannosi che sembrano tanto sussurri di piacere, quanto soffi di affamate fiere del bosco, e che si mescolano alle schioccanti dita che scattano nel buio. Un viaggio come tanti, tra stazioni di vita differenti, tra lamenti e risate, in una ricerca inarrestabile di un battito, di un’emozione, un soffio, un bacio…

Sia gli artisti che gli spettatori sono prede del duende, quel folletto, quella forza sconosciuta e magica che anima ogni arte, tanto cara ai popoli gitani e che, in un’ora e mezza di ritmo e passi, tra ventagli, manton (i tradizionali mantelli a frange) e bata de cola, (le tipiche gonne con la coda, solitamente abito femminile, ma.. non sempre!) si dimenticano ogni pensiero, annebbiati, ebbri di musica e ballo che ipnotizzano e fanno solamente sognare tutti ad un unico ritmo: quello del flamenco. A regnare incontrastata è la gioia, quella inarrestabile per la vita e l’unica parola che riesce a uscire dalla bocca è un “Olè!” liberatorio, che proviene direttamente dal cuore.

Clicca qui per sfogliare la gallery a cura di Franco Rodi