Il nuovo capitolo della saga in bilico tra sci-fi e horror convince solo a metà.
–
_di Pier Allegri
“Nello spazio nessuno può sentirti urlare.”. Era il 1979 quando per la prima volta uscì “Alien”, capolavoro fantascientifico a tinte horror nato dal genio di Ridley Scott. Sono passati 38 anni, e questo stupefacente franchise è passato di mano in mano, da regista a regista, cambiando spesso e volentieri la propria pelle: dall’azione, al dramma, al film di guerra, nelle mani di registi del calibro di James Cameron e David Fincher. E dove tutto cambiava, l’unica costante della tetralogia è stata la figura modernissima e inarrestabile dell’eroina al femminile Ripley, interpretata dalla leggenda del cinema Sigourney Weaver.
Sarà solo nel 2012 che la serie tornerà in mano al proprio creatore, Scott, con il discusso prequel “Prometheus”, incentrato sull’equipaggio della nave spaziale Prometheus (appunto), che, alla ricerca della chiave dell’origine della vita sulla Terra, s’imbatte in una minaccia biologica che potrebbe causare l’estinzione della razza umana, con un cast eccezionale comprendente Noomi Rapace (la nuova protagonista femminile), Charlize Theron e Michael Fassbender nel ruolo dell’ambiguo androide David.
A 5 anni di distanza, il prequel vede un sequel in “Covenant”, anch’esso intitolato come la nave spaziale del film , Covenant, una moderna arca di Noé con 2000 coloni a bordo in stato di ipersonno, in cerca di una nuova vita su un pianeta abitabile al di là delle stelle. Quando una tempesta ai neutrini provoca numerosi danni e vittime sull’astronave, tra cui il capitano della spedizione (James Franco), l’equipaggio (formato esclusivamente da coppie, molto idoneo) è costretto a uscire dalle capsule criogeniche e a riparare i danni prima di ripartire.
Mentre riparano l’astronave, la Covenant riceve una interferenza radio che scoprono essere di natura umana da un pianeta vicino, apparentemente in grado di supportare la vita. Il neo-capitano Oram (Billy Crudup) decide di visitare il pianeta, supportato da tutto l’equipaggio al di fuori del vice Daniels, moglie del defunto capitano (la nuova Ripley, interpretata da Katherine Waterson) che ritiene la coincidenza troppo perfetta per essere vera. Accompagnati dall’androide di ultima generazione Walter (Michael Fassbender), una parte dell’equipaggio atterra sul pianeta in cerca dell’origine del segnale e lì scoprono i resti di una nave aliena e l’androide David, perfettamente identico a Walter e unico superstite della Prometheus. Quando improvvisamente due membri della missione vengono infettati da un virus sconosciuto e orribile che provoca la loro morte e la nascita di orripilanti creature umanoidi, è l’inizio di un incubo che noi conosciamo bene.
E’ curioso considerare una cosa di questo ambizioso sequel dell’altrettanto ambizioso “Prometheus”: migliora in ciò che mancava al film precedente e viceversa.
Dove prima c’erano momenti di pura filosofia, (a tratti un poco spicciola e pedante) che però caratterizzavano il fascino del primo film, “Covenant” tralascia l’aspetto esistenzialista e filosofeggiante, tornando a essere un’odissea d’azione e di horror ai limiti del gore, rimanendo in quello spazio claustrofobico e pericoloso che ha fatto la fortuna della serie. Al tempo stesso però, pur accompagnata da una regia capace e armonica, la frenesia dello svolgimento e la rapidità delle morti (inevitabili, eh…) lascia poco spazio al fattore umano e all’evoluzione sentimentale dei personaggi, (al di fuori del doppio ruolo di Fassbender, agghiaccianti facce meccaniche della stessa medaglia) il che è un peccato, visto il cast eccellente.
Inoltre, nonostante si ritrovi perfettamente nello spazio della saga, questo nuovo capitolo non aggiunge niente alla mitologia horror extraterrestre di Scott, cosa che, invece, il meno fortunato “Prometheus” aveva fatto.