Messa in pausa l’attività concertistica con Il Teatro degli Orrori, l’instancabile Capovilla torna sul palco di Zo con il suo primogenito progetto, i marcusiani One Dimensional Man, saggiando dal vivo la resa di alcuni nuovi pezzi che vedranno ufficialmente la luce in un full length di prossima pubblicazione. In apertura il blues incalzato da un’attitudine punk degli autoctoni Rough Enough.
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_di Raffaele Auteri
Il concerto dei One Dimensional Man è sostanzialmente visto da due categorie di persone. I primi, fan accaniti del Teatro degli Orrori, scoprono il fu Pierpaolo Capovilla bassista con la sua storica formazione d’esordio. I secondi, invece, sono i fedeli conoscitori del progetto nato negli anni ’90, finalmente tornato a rumoreggiare sui palchi d’Italia. Non importa, dopo tutto, se sia arrivato prima l’uovo o la gallina, perché quando il trio sale sul palco non si può che rimanere incredibilmente stupiti dallo spettacolo che viene proposto.
Il live dura, infatti, più di un’ora. Un’ora di distorsione assordante di basso, di chitarre rudi e crude e, soprattutto, di tamburi che vengono percossi a più non posso. Viene proposta una scaletta che rievoca i brani più celebri dei cinque dischi finora pubblicati dal trio di origine veneta, con l’aggiunta di quattro brani inediti che andranno a far parte del nuovo lavoro, ancora in fase di sviluppo. La musica dei One Dimensional Man è più che mai viscerale e potente. Per più di quaranta minuti si viene presi a sberle in faccia dalla potenza del basso di Capovilla, che per intensità di esibizione si dimostra decisamente più d’impatto con questo progetto che con la band che lo ha consacrato definitivamente nel circuito della musica italiana. È un continuo affondare, spinti sempre più giù, canzone dopo canzone. Chi si perde nel pogo a centro sala, animati come burattini dalle melodie rozze e prepotenti, e chi rimane assorto in prima fila, spiaggiato sul palco, inerme di fronte alla violenza musicale che si sta consumando a pochi centimetri dalla propria faccia. Valente, come suo solito, punta tutto sulla forza fisica, caricandosi sulle spalle l’intero gruppo e comandando, di fatto, l’esibizione.
La batteria, infatti, fa da colonna portante, pestando in modo costante e ossessivo per tutto il concerto. Si è perso il conto delle schegge di legno che hanno preso il volo durante la serata. Carlo Veneziano, invece, risente leggermente dei volumi del basso, non potendosi esprimere al meglio a livello sonoro. Chi era ben posizionato, però, può aver sentito chiaramente tutta la bravura di questo chitarrista, capace di passare da melodie blues al noise di ottima fattura. Capovilla non perde le sue abitudini e si ritrova, come sempre, in veste di predicatore (semi)folle durante le sue esibizioni. Non mancano quindi le sue tipiche invettive – quanto mai calzanti visto il nome della band – contro un sistema sociale, politico, giudiziario, che continua a sollvare molti dubbi in (e su) questo Paese.
Se non fosse per questa rabbia non avremmo, probabilmente, la sua musica. E allora eccolo, che (per poco) suona delicatamente il suo basso e parla di come, in fondo, sia la musica a salvarci, a tenerci vivi e, soprattutto, vigili. Questo meraviglioso scorcio di teatro è l’unica pseudo pausa del concerto. Ecco che subito riparte la cavalcata folle del trio che, nonostante cominci ad accusare la stanchezza, continua imperterrito a farsi sentire a gran voce, per la gioia del pubblico, che successivamente li costringerà a risalire sul palco, non ancora del tutto saturi.
Essere in presenza di Capovilla è sempre trascinante. Si potrebbe stare ore ad ascoltarlo parlare, di qualunque cosa. Vederlo con i One Dimensional Man lo pone totalmente su un nuovo piano: “intrappolato” dalla cinghia del suo basso, si trasforma in una macchina da guerra. Sprigiona energia, rabbia e, in un certo senso, amore. Amore per la musica, amore per i rumori forti, amore per quello che fa, riuscendo in modo naturale a trasmettere tutte queste emozioni, a renderci davvero partecipi durante il concerto, di quella che è la sua voglia di emergere, di farsi sentire, e se con il Teatro è un fiume di parole in piena, stavolta si suona e si urla, si urla tanto.
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GALLERIA FOTOGRAFICA A CURA DI CARMELO TEMPIO