Il Jazz:Re Found, a pochi mesi di distanza dalla sua edizione migliore (per partecipazione e qualità della line up), nei suoi “Heydey” primaverili continua a portare a Torino alcuni dei nomi più illustri della musica black in tutte le sue possibili diramazioni.
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_di Stefano D.Ottavio
Lo scorso venerdì 21 aprile abbiamo avuto il piacere di assistere al concerto degli Snarky Puppy, collettivo americano guidato dal geniale Michael League, che per più di due ore ha lasciato senza parole il numeroso pubblico con un’esibizione che è stata una vera e propria lezione di stile.
Alcune cose nella vita riescono a farti credere che non tutto sia perduto e che si possa coltivare ancora un po’ di speranza nel futuro: la fine di un conflitto dopo anni di guerra e distruzione, la pacifica convivenza di etnie diverse nello stesso ambiente, una grande conquista scientifica oppure una folla che si accalca all’ingresso del Teatro Concordia di Venaria e lo riempie (quasi) fino all’orlo per assistere ad un concerto jazz/fusion a pagamento. Beh, c’è da dire che stavolta l’occasione era ghiotta: gli Snarky Puppy, collettivo originario dal Texas in attività dal 2004, hanno suonato per la primissima volta a Torino nella prima delle quattro date italiane del loro ennesimo tour in giro per il mondo. In più, come una squadra che non smette di vincere un campionato dopo l’altro, la band del bassista e compositore Michael League è fresca di conquista del secondo Grammy Award consecutivo (terzo in totale) nella categoria Best Contemporary Instrumental Album grazie a quelle due bombe strumentali che sono Sylva (2015), pubblicato dalla leggendaria etichetta discografica Impulse!, e Culcha Vulcha (2016).
Dopo il dj set d’apertura offerto dal producer italiano Filo Q (già membro di Magellano e Tarick1) inizia il live degli Snarky Puppy che, così come il loro sound, è difficilmente descrivibile a parole.
La definizione più affidabile del genere musicale del collettivo la danno loro stessi sul sito internet ufficiale:
“La band rappresenta l’incontro tra la cultura musicale americana bianca e nera, con vari accenti da ogni parte del mondo. Ma più che la diversità culturale dei vari membri del gruppo, la caratteristica principale della nostra musica è la gioia di suonare insieme nella continua ricerca di una crescita creativa”
Questo è ciò che effettivamente traspare assistendo al concerto, che oscilla senza sosta tra gli assoli jazz della chitarra di Chris McQueen, il funk nero con i tipici temi suonati dai fiati e gli schiaffi batteristici di Larnell Lewis, passando per la musica argentina con le percussioni frenetiche di Marcelo Woloski, la “quota” sudamericana della band. League è il direttore d’orchesta che coordina gli altri 8 musicisti sul palco dettando gli stacchi dei pezzi mentre suona il basso e (così sembra tra il pubblico) anche scegliendo sul momento i brani della scaletta. Nelle due ore di concerto vengono pescati, tra le varie cose, alcuni brani dall’ultimo Culcha Vulcha come l’irresistibile Tarova e parecchia roba dall’album live We Like it Here, per poi chiudere il set con i loro pezzi forse più popolari, ovvero Lingus e Shofukan, accolti con un boato del pubblico come si fa con classici delle band rock. Proprio il pubblico è stato l’altro grande protagonista della serata, dal già citato quasi sold out al calore che tipicamente si riserva in Italia nei confronti di una band amata ed attesa da tempo, ma soprattutto per l’aver battuto le mani sempre a tempo (anche seguendo la clave dettata da League) mostrando una spiccata sensibilità ritmica, alla faccia di quello che diceva Faso di Elio e Le Storie Tese in un video di qualche tempo fa.
Oltre la bellezza e la varietà stilistica dei brani, il concerto ha toccato vette di perfezione nell’esecuzione (com’è piuttosto prevedibile se raccogli una decina tra i produttori e turnisti migliori del mondo sullo stesso palco) tanto da sembrare, più che un semplice live, una grande masterclass. E’ stato uno di quei rari concerti talmente ricchi d’ispirazione e di spunti da porre ogni musicista, professionista o impedito che sia, davanti a quel terribile dubbio che entra in testa quando hai la fortuna di assistere alle esibizioni dei grandi della musica : “O divento bravo a suonare come gli Snarky Puppy, o butto via il mio strumento e cambio mestiere”.
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