Siamo stati alla presentazione del primo libro di Giuseppe Berto, “Il Male Oscuro”, riproposto dalla casa editrice Neri Pozza. È l’occasione per guardare ad un malessere, ad una nevrosi personale e collettiva che in più di 50 anni non ha ancora perso la sua capacità di affliggere l’animo di un popolo troppo lesto a voltare le spalle al confronto con il “male oscuro” che cova dentro.
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_di Marco Patrito
GIuseppe Berto è un autore che ha subito l’ignobile pratica della damnatio memoriae da parte della critica a lui contemporanea, cosa che però non gli impedì di aggiudicarsi nel 1964, l’anno della pubblicazione del testo, il premio Viareggio e il Campiello.
Giuseppe Russo, direttore editoriale di Neri Pozza, modera l’incontro del Circolo dei lettori che vede la scrittrice Camilla Baresani e il giornalista Pierluigi Battista intervenire a proposito del romanzo e del suo autore. Il tutto al cospetto di un gradito ospite a sorpresa: nientemeno che Antonia Berto, la figlia di Giuseppe, giunta in città per la prima volta proprio per l’occasione.
«La rilettura del romanzo è l’occasione per conoscere o incontrare un grande personaggio e un eccelso scrittore colpevolmente dimenticato dalle antologie e dai più, ma non da grandi nomi dei giorni nostri come Emanuele Trevi, Antonio Scurati e Marco Missiroli che ne hanno fatto un proprio punto di riferimento»
Con la lettura di un brano selezionato dall’opera dello scrittore di origine veneta si apre la presentazione. La voce dell’attore Gianni Bissaca interpreta con capacità ed esperienza un passaggio dal ritmo serratissimo: partendo dalla percezione del proprio malessere il protagonista passa a parlare del padre, e poi del suo psicanalista. Da qui salta al suo senso di inadeguatezza, alle manie, le tensioni con la moglie. In un tempo che sembra dilatato, il pubblico si imbatte in quelli che saranno temi chiave della vicenda trattata da Berto, ma neanche in un punto d’arresto, dando l’impressione per un momento che questa narrazione torrente possa non finire mai, come infinite sono le possibilità di libera associazione della mente umana. E quando meno la si aspetta arriva l’interruzione. Automaticamente le mani dei presenti si consumano in applausi.
«Berto fu osteggiato dalla critica e la ragione è di stampo ideologico»
Al termine del tributo, Giuseppe Russo compie i ringraziamenti di rito, comunicando in aggiunta il progetto di Neri Pozza di ripubblicazione dell’opera omnia di Berto.
Dopodiché la Baresani passa a parlare di quello che è il meccanismo attorno cui ruota l’intera narrazione, cioè l’ironia. Il sentimento ironico, o auto-ironico, è un canale sottile che mette in comunicazione e dona senso ai vari pregiudizi che costellano le vicende che riguardano il protagonista e che altrimenti travierebbero il lettore verso una deriva falsamente polemica. Uno su tutti, quello contro il provinciale, figura che fece avvicinare il grande pubblico alla lettura del romanzo e al suo autore. Come detto in precedenza Berto fu osteggiato dalla critica e la ragione è di stampo ideologico, come sottolinea Pierluigi Battista.
L‘élite intellettuale dell’epoca era costituita dagli appartenenti al circolo romano di cui facevano parte scrittori come Moravia e Pasolini. Proprio questi due furono i principali detrattori di Berto, al quale non perdonavano l’appoggio al regime fascista durante la giovinezza. Un destino comune lega artisti come Berto, Indro Montanelli, Guareschi e Bianciardi: lontani dalle simpatie politiche che invece condividevano gli artisti dell’olimpo letterario a loro contemporaneo, furono costretti ad una immeritata penombra.
Ora la maturità postuma, come l’avrebbe definita Walter Benjamin, delle opere di Berto permette di ricollocare lo scrittore al posto che merita. Sua unica colpa, termina Battista, è stata quella di non compiere un atto mistificatorio riguardo il proprio passato, il rinnegamento e il rifiuto dei propri ideali, che se pur accantonati, non vennero sconfessati con troppa facilità, come fecero altri artisti tra cui Moravia, condannati per questo da fermi Anti-Antifascisti come Leo Longanesi e Berto stesso. L’intera opera poetica di quest’ultimo, compreso quindi “il male oscuro”, tratta di due importanti poli dialettici con cui si rapporta l’uomo: il tradimento e la gloria.
L’autore riflette, secondo la Baresani, sull’atteggiamento degli italiani, i quali avevano deciso di non affrontare il dramma costituito dal periodo fascista appena concluso, tradendo l’attesa di questo necessario momento di rielaborazione per potersi abbandonare alla gloria della “Dolce Vita” che caratterizzò gli anni 60.
Perciò la figura del protagonista, affetto da complesso di Edipo, e per questo in continuo conflitto con la figura di un padre scomparso, è metafora di un intero popolo alle prese con un’ombra, quella del proprio passato fascista, che rimane ancora agganciata ai piedi del presente recalcitrante al confronto.
Confronto che ha anche con sé stesso circa la produzione letteraria. Difatti, ulteriore ritornello narrativo, è il blocco dello scrittore con cui si ritrova a fare i conti: in continuazione si fa riferimento ad un romanzo in fase di lavorazione bloccato al terzo capitolo. Come un precursore del celebre personaggio creato dalla fantasia di Paolo Sorrentino Jep Gambardella, anche il protagonista si trova invischiato in una spirale di avvenimenti, problemi o situazioni che ritardano o rimandano la stesura del famigerato quarto capitolo.
Lo stile degli estratti è di una modernità disarmante. Berto lo definì “psicoanalitico”, accezione che però perde di forza in chiave di rivalutazione della sua figura a livello letterario. La sua è semplicemente una prosa da grande autore, povera di punti e interruzioni, dominata da un periodare lungo, articolato, che accumula cornici narrative in quello che potrebbe assomigliare ad un flusso di coscienza ma che è molto di più. Si è lontani dalle ragnatele cognitive di una Molly Bloom, più vicini alle confidenze magnetiche e prive di argini di un amico che si vuole portare nelle pieghe più recondite della sua vita.
A chiusura dell’incontro c’è tempo e spazio per un’ultima lettura, un estratto toccante che riguarda anche la figlia Antonia presente in sala, che prima del commiato definitivo si alza in piedi vincendo una timidezza che le appartiene genuinamente per indirizzare ancora qualche breve parola di ringraziamento ai presenti.
La rilettura del romanzo è l’occasione per conoscere o incontrare un grande personaggio e un eccelso scrittore colpevolmente dimenticato dalle antologie e dai più, ma non da grandi nomi dei giorni nostri come Emanuele Trevi, Antonio Scurati e Marco Missiroli che ne hanno fatto un proprio punto di riferimento. È l’occasione per guardare ad un malessere, ad una nevrosi personale e collettiva che in più di 50 anni non ha ancora perso la sua capacità di affliggere l’animo di un popolo troppo lesto a voltare le spalle al confronto con il “male oscuro” che cova dentro.