Da Pantani al Drugo, passando per l’Australia: tutte le identità di Sebastiano Gavasso

Chiacchierata a tutto tondo con Sebastiano Gavasso, reduce dal successo de “Il Giocatore” al Teatro Bellini di Napoli. Il giovane e poliedrico attore ci racconta della sua formazione tra Roma e Perth, dello spin-off del Padrino che lo ha fatto finire sulle pagine del New York Times e di molto altro ancora. 

_di Luigi Affabile

Sebastiano Gavasso si forma all’Accademia Internazionale di Teatro di Roma e al Perth Actors Collective di Perth, Western Australia, dove ha avuto la fortuna di lavorare con il talent scout di Heath Ledger. E’ tra i fondatori delle compagnie Loftheatre, Les Enfants Terribles e Cattive Compagnie, con cui produce e interpreta gli spettacoli I grandi gialli del calcio, D5 Pantani, Toghe Rosso Sangue e Horse Head (vincitore del Roma Fringe Festival e ospitato a New York). E’ nel cast di Dignità Autonome di Prostituzione di Luciano Melchionna e de Il giocatore, alla sua seconda collaborazione con Gabriele Russo (dopo Arancia Meccanica).

Incontro Sebastiano sotto il sole di Napoli, a Piazza Bellini. Davanti a due caffè, iniziamo la nostra intervista, o meglio una piacevole chiacchierata su passato, presente e futuro.

Partiamo dalla genesi di Sebastiano. Da dove nasce questa tua passione per il teatro?

“Questa passione nasce da molto piccolo. Già da dagli spettacoli delle elementari. Alle medie come attività del pomeriggio, facevo pallavolo e teatro. Poi alle superiori ho proseguito sempre come attività extrascolastica, ma senza l’idea di farlo diventare un lavoro. Era più una cosa che mi piaceva, mi interessava. Finito il liceo, mi sono iscritto all’Universtità a Filosofia: mi sono laureato in quattro anni, tralasciando per un po’ la mia passione per il teatro. Dopodichè sono partito per Ibiza con un mio amico, con l’idea di aprire un campeggio sull’isola.
Non se ne fatto più niente, c
osì sono tornato a Roma e decisi con la mia ex compagna di partire per l’Africa come volontario per Amref. Qualche giorno prima di partire incontro un mio vecchio amico che mi dice che si stava iscrivendo in questa Accademia a Roma: si chiamava Il circo a vapore all’epoca. Così decido di fare una settimana di prova e cominciò a piacermi, soprattutto l’idea di entrare in un qualcosa di totalmente diverso. Nel frattempo mi ero anche iscritto, dopo l’Università, alla scuola che avrebbe in qualche modo formato i professori del futuro, ma oggi non c’è più. Pensa che mi capita lo stesso giorno sia l’esame orale, lo scritto già l’avevo superato, per entrare in questa scuola post universitaria, sia l’esame per entrare nella scuola di recitazione. Prima di fare l’orale ho abbandonato la scuola e sono andato a fare l’altro esame per entrare nell’Accademia. L’ho superato ed è cambiata la mia vita.”

Hai avuto la fortuna di studiare in Australia al PAC di Perth. 

“Alla mia ex compagna fu proposto di fare la tesi in collaborazione con l’Università di Perth; studiava geologia marina. Così metto in standby l’Accademia e parto con lei per l’Australia. Appena arrivo a Perth faccio un provino presso un’agenzia: avevo la barba di qualche giorno, ma mi consigliarono di tagliarla perché per fare pubblicità in Australia era preferibile avere un viso pulito, non trasandato. Dopo qualche giorno mi chiamano e mi dicono che mi avevano preso per questa pubblicità, abbastanza importante, tra l’altro pagata piuttosto bene. Quando vado a parlare con il regista, lui mi dice: “Sai perché ti abbiamo scelto?” ”Perché sei l’unico che si è presentato con la barba”.
Nel frattempo ho fatto molti lavori: lavapiatti, aiuto cuoco, poi studiavo la lingua. Grazie a questa agenzia continuai a lavorare, anche per spettacoli teatrali, cortometraggi, pubblicità. Dopo questi dieci mesi, sono ritornato in Italia con l’idea di finire l’Accademia e di ritornare in Australia. 
L’Australia comunque mi è rimasta nel cuore, anche perché li vidi uno spettacolo: Horse Head, la cui regia era di un mio insegnante della scuola. Era uno spin-off del Padrino. Così mi innamoro di questo spettacolo, prendo i diritti, lo traduco e lo metto in scena con un amico. Con questo spettacolo abbiamo vinto il Fringe Festival di Roma, il cui premio era quello per pagare le spese per portare lo spettacolo al Fringe Festival di New York. E’ andata molto bene, tanto che ci siamo guadagnati anche un articolo sul New York Times.”

Una volta in Italia, DAdP e Arancia Meccanica. 

“A vedere lo spettacolo Horse Head c’era un’agente: Luisa Mancinelli, la quale mi ha preso sotto la sua ala e mi ha fatto incontrare Luciano Melchionna. Feci un provino per Dignità Autonome di Prostituzione e andò benissimo. Qui mi videro anche i produttori del Teatro Bellini di Napoli che mi convocarono per un provino per Arancia Meccanica. Dopo un po’ mi chiamarono e mi dissero che ero stato preso per Arancia Meccanica, e mi ricordo che feci un urlo per telefono di gioia: il mio film preferito, già alle medie mi mascheravo da Drugo e quindi cosa c’è di più? Grazie a questo spettacolo ho conosciuto anche la mia attuale compagna: Martina Galletta. Da qui mi è cambiata nuovamente la vita. Lei è venuta a vivere a Roma, tra laltro siamo anche colleghi al di fuori del Bellini, abbiamo spettacoli nostri, facciamo corsi e laboratori per ragazzi. Abbiamo fatto tanti spettacoli insieme, prima DAdP, poi Arancia Meccanica, fino a Il giocatore.”

Sei impegnato particolarmente sulle vicende della vita di Marco Pantani. Com’è nata questa idea di farci uno spettacolo?

“È nata due estati fa. Chiara Spoletini – che avevo conosciuto a DAdP – aveva avuto per un festival estivo la richiesta di scrivere uno spettacolo sullo sport. Scelse di scrivere la vicenda di Pantani e così contatta me e Alessandro Lui per metterlo in scena. Mi sono messo a studiare il dialetto di Cesenatico e la storia della morte di Pantani. Siamo legati tantissimo a questa vicenda, a onor del vero siamo entrati in contatto con un giornalista di Gazzetta dello sport, Francesco Ceniti, che ha scritto il libro In nome di Marco con Tonina Pantani, la mamma di Marco. Così lo contattiamo per chiedergli se potevamo prendere spunto dal suo libro per lo spettacolo. Lui accetta e da lì inizia una splendida collaborazione, tra l’altro anche con Tonina Pantani. Siamo lo spettacolo ufficiale della Fondazione Pantani e debuttiamo a Dozza, il paese di Fausto Pezzi che è stato uno dei più grandi maestri per Marco e per l’occasione abbiamo avuto dal figlio di Pezzi la biciletta originale di Pantani. Un’ emozione indescrivibile.
Questo
debutto ci ha permesso poi di organizzare il nostro spettacolo lungo le tappe del centesimo giro d’Italia che inizia il 5 maggio. Il 5 maggio siamo in un festival a Reggio Calabria e chiudiamo a Milano il 28 al Teatro della Cooperativa, alla chiusura del giro d’Italia. Una grandissima vittoria per noi, che siamo innamorati di questa storia. Lo spettacolo si chiama D5 Pantani, perché Marco muore nella stanza D5 del residence e rimanda anche al D5 della battaglia navale, colpito e affondato. Con Martina, la mia compagna, tra l’altro abbiamo scritto un testo, tratto sempre da un libro di Ceniti I grandi gialli del calcio che parla appunto delle morti sospette nel calcio, doping e tanti altri lati oscuri.”

Quali sono secondo te le differenze tra l’Italia e il panorama internazionale per quanto riguardo il teatro, il cinema?

“Sia dal punto di vista culturale che recitativo l’approccio è totalmente differente. A Perth, che è una via di mezzo tra la cultura anglosassone e americana, molti spettacoli australiani vengono recitati come fossero film. L’idea è che ci deve essere di base una grossa credibilità. Noi, invece, attraverso un teatro più impostato abbiamo in passato creato una golden age del cinema. Quindi, diciamo che abbiamo semplicemente un approccio differente, soprattutto in fase di scrittura. Breaking Bad è una storia shakespeariana; e anche Dexter, che ha portato sullo schermo una sorta di Amleto.”

Sogni per il futuro?

“Mi piacerebbe lavorare un po di più al cinema. Magari una storia sugli anni di piombo, che è una mia grossa passione. Dopotutto, chi non conosce la sua storia è destinato a ripeterla.”