Il teatro incivile, amorale e dionisiaco di Nicola Vicidomini

Nelle ore precedenti lo spettacolo “Un Satana” al Cicco Simonetta di Milano, Nicola Vicidomini ci accoglie e risponde alle nostre domande che spaziano dal suo attuale spettacolo “Scapezzo” fino al futuro “Fauno”. In mezzo c’è spazio per parlare di musica, dei maestri della comicità, del rifiuto per la Stand Up anglosassone, per la riscoperta della Commedia dell’Arte e per il recente passaggio del Papa a Milano…

_di Gerri J. Iuvara (con la collaborazione di Fjori Hoti)

Possiamo iniziare dicendo che, tramite la tua produzione teatrale e non, recuperi la tradizione della Commedia dell’arte? Se così fosse quali sono i tuoi maestri e i colleghi che più stimi?

“Non è che recupero. Sono la tradizione. Il mio maestro è stato Felice Andreasi, quello da cui ho appreso la sintesi nella scrittura umoristica. Per la precisione sono stati Felice Andreasi, mio fratello Rosario Vicidomini, Werner Herzog, Pasolini, Totó, Alberto Sordi, Petrolini, MarencoNino Frassica, Enzo Robutti, Franco Califano, Pino Mauro, Pasquale Squitieri, Klaus Kinski, Jannacci, Cochi e Renato, Bene e Cinieri, Vittorio Caprioli e Michele Monetta che mi ha insegnato ad agire in scena. Inoltre determinate sfumature ed un’indichiarata eleganza che viene fuori, soprattutto nei miei eccessi, mi è stata suggerita da tuo papà (dice indicando Attilio, figlio di Daniele Pace). Questi sono i miei punti di partenza e ce ne sarebbero anche altri. Io sono partito da anatomie che sentivo già parte di me, poi le ho digerite, superate, iniziando ad affrescare le mie visioni e individuando un linguaggio unico e senza precedenti.”

Hai colleghi da segnalare, qualcosa che ti piace, un collega che stimi? Conosci la tradizione degli Stand Up Comedians americani, tipo Carlin, Hicks, Louie CK?

“Ho un ottimo rapporto con Alessandro Bianchi. Abbiamo fatto uno spettacolo assieme intitolato Boaf al Douze di Roma. C’è grande stima reciproca. I nostri stili sono compatibili. Mi piacciono moltissimo RezzaMastrella, i grandissimi Maurizio Milani e Ivan Talarico... Qualcuno ha paragonato il mio umorismo alla pittura di Francis Bacon. Mi sento più vicino all’opera di Werner Herzog che a qualsiasi comico italiano o straniero attuale. Non conosco gli Stand Up Americani. Credo che un comico debba essere sopratutto un corpo comico. Molti si preoccupano di inseguire il quotidiano assorbiti dal reale. Cosa dichiarerebbero senza il reale? Bisognerebbe preoccuparsi di essere meno reali ma più veri. La realtà è un punto di vista, la verità sgorga da una necessità profonda. Chi fa stand up in Italia si aggrappa generalmente ad un immaginario comune, io affresco, invece, delle visioni incomunicabili, un mondo altro. Due lavori diversi. Il ragazzo che si arrampica sul microfono fa il compitino del giusto. Non vedo un lavoro sul linguaggio. La comicità non è un riflesso del sociale, è manifestazione indicibile, dionisiaca e amorale che sconquassa l’ordine proiettato dall’uomo sulle cose. Chi parla di giustizia, chi s’aggrappa a un’etica comunitaria, non è un comico, è solo un capuzziello che cerca l’affermazione del proprio ego, assai distante dalla dichiarazione di una poetica e di un mondo. Il comico è una delle cose più lontane dalla logica, dal senso e dal valore dei numeri. Dove nasce la comicità? Dal corto circuito tra quel caos che è la natura e il senso che l’uomo gli ha arbitrariamente impresso.”

Prima di accendere il microfono, cercavamo un mandante dell’omicidio della comicità italiana, eravamo arrivati al punto che forse sono tutti colpevoli no?

“Il vero delitto sono stati trent’anni di bombardamento di televisione, narrazione massificata, omologazione dell’immaginario e delle immagini. Tutto questo ha agito sulla maniera in cui la gente concatena i pensieri. La colonizzazione americana. Il vero mandante siamo noi. Nella nostra indolenza, pigrizia e passività. Tanti non hanno capito che è finito tutto. Semmai tutto sia mai iniziato…”

Quale differenza c’è tra il te uomo e te sul palco? Come fai a dividere Nicola dalla maschera?

“Ti potrei rispondere parafrasando Totò: io sono Vicidomini e mangio sulle spalle di un Zincaro. Anche se a Roma per strada mi chiamano Scapezzo. Come divido le due sfere? Beh è il mio lavoro. Ho studiato. Non credo che Arturo Benedetti Michelangeli a pranzo continuasse a prodursi in diteggiature sulle pietanze.”

«Chi fa stand up in Italia si aggrappa generalmente ad un immaginario comune, io affresco, invece, delle visioni incomunicabili, un mondo altro. Due lavori diversi»

Come funziona il tuo processo creativo e di ricerca? Cosa fai nella tua giornata tipo? Chi ti aiuta nell’allestimento delle tue performance?

“Faccio quello che mi state vedendo fare ora: impazzire dietro i teatri, girare l’Italia,caricarmi valigie piene degli oggetti di scena. La mia è un’attività sportiva, atletica, eroica. O vivere o morire. Viva Herzog! Lo spettacolo è, in pratica, l’ultima cosa. Gestisco in prima persona l’intera Baracca Vicidomini, quindi che faccio? Addetto stampa, segretario, impresario, malvivente, cavaliere del lavoro e Super Eroe.
C’è poi Deborah Farina, che trova soluzioni, si occupa del palco, delle luci e contribuisce all’estetica indecorosa e disadorna dello spettacolo. Supervisiona e fa quadrare gli aspetti tecnici: il mestiere del regista. Purtroppo per lei, è anche la mia compagna, quindi ci sono delle lotte, volano sedie in teatro (ride), può succedere che alcune soluzioni nascano anche così.
Sarò Zero si occupa dei costumi e di calmarci. Italo Vegliante fa versi. Il mio lavoro è ancora carta e matita. In qualsiasi momento mi appunto delle cose. Poi ci sono pezzi che nascono in scena completamente improvvisati. Alterno questi due metodi: la scrittura in senso stretto, quasi una partitura musicale, e il gioco sul palco. Tutto poi va necessariamente rapportato al pubblico, parte integrante dello spettacolo. Ad esempio, se stasera sono mosci sarò portato a velocizzare i ritmi per massacrarli e sperare in un loro trapasso definitivo.”

Il pubblico come reagisce a questa energia? Come si rapportano a questa verità?

“Ridono tantissimo e applaudono. Stasera a Milano non so, spero mi lincino. Io vado contro me stesso in quanto uomo. La bravura non mi serve. L’unico modo affinché si manifesti un mondo è sparire. Cerco sempre di corteggiare l’onestà, evitare mediazioni inutili e spesso dannose per l’opera. Ecco, se mi gettassero un gatto morto come in Roma di Fellini ci giocherei. Credo profondamente che il pubblico debba tornare ad essere più incivile. Il mio è un teatro incivile. Il pubblico deve uscire dalla sua passività, stare scomodo e attivo, recuperare una triviale onnipotenza assopita.”

Eventuali spettacoli in Piemonte ne vedremo? Ad esempio: è fattibile vedere Scapezzo o in futuro anche Fauno a Torino?

“Sono in contatto con la Fondazione Piemonte Dal Vivo e i primi di aprile ci risentiremo.”

Cambiando argomento, puoi dirmi qualcosa sui tuoi video su Youtube? Tra quelli che hai pubblicato ne hai uno preferito o che pensi sia più incisivo?

“I video sono assimilabili alla propaganda elettorale. Bisogna venire in teatro. Di quei video non me ne fotte niente. Sono contrario alle visualizzazioni. Quando mi accorgo che un video sta facendo più visualizzazioni del solito cambio volontariamente strada. Non voglio che il potere dei numeri e della vigente omologazione possa imbavagliare la portata lirica e poetica di quello che faccio.”

Personalmente, ritengo quello su Uomini e Donne il più completo rispetto, ad esempio, a quello su Pomeriggio Cinque, non credi?

“Quello è un video politico, distruttivo. Pomeriggio Cinque ha vuoti e rumori che lo rendono più poetico. In quei video c’è un assalto del reale. Il reale in quanto rappresentazione, narrazione comunitariamente condivisa, fatiscente punto di svista che attraverso l’arma del consenso è mercificato come certezza. La certezza è barbarie dell’arte perché è tra i fondamenti dell’immobilità borghese. Il massacro del reale avviene non remandogli contro ma scardinandone con un linguaggio iper reale, come nel mio caso, il totalitarismo strutturale e dialettico. Forse l’obiettivo ultimo di quei video è che il reale sia totalmente obliato. Con me l’altrove dissolve il reale. Non mi ritengo un’alternativa al reale ma un’alternativa all’assenza, a Dio.”

«Il mio è un teatro incivile. Il pubblico deve uscire dalla sua passività, stare scomodo e attivo, recuperare una triviale onnipotenza assopita»

Però hai pensato che molti, come il sottoscritto, non hanno mai visto la De Filippi o Barbara D’Urso ma hanno visto tuoi video, e quindi, si sono ritrovati involontariamente dentro quello squallido mondo?

“Questo mi dispiace molto: vuol dire che in qualche modo gli ho fatto pubblicità. Ciò che tutti mi hanno fatto notare è che, per quanto mi sia sforzato di essere mostruoso, viene fuori chiaramente che loro siano molto più mostruosi di me. Basta co’ sti video! Si muore ogni sera in scena, anzi siamo già muorti (citando il finale del video con la De Filippi).”

Quest’assenza di reale che si contrasta passo dopo passo mi ricorda un altro tuo video: la fantomatica intervista con Marzullo no?

“Quella è piaciuta molto a Nino Frassica anzi, è stato proprio Nino a consigliarmi di perseguire la via della demolizione, nel produrre altri video del genere. Poco dopo ho deciso di non farne più. Ho visto che stavano iniziando ad avere un certo “consenso”, piaceva agli “sciemi” e allora, riprendendo quello che ho detto prima, quando un video in rete inizia a funzionare, cambio e faccio altro. Non bisogna darsi in pasto ai numeri. Il valore dei numeri incide sulla nostra onestà.”

Sai che io uso i tuoi video come esperimento sociale per capire i livelli comici delle persone che ho accanto, se ride alla somministrazione ha raggiunto un alto livello di comprensione comica, sennò è ancora al livello Mr. Bean.

“Il pubblico che ama i miei spettacoli, in prevalenza non ha studiato, non è depositario di categorie sociali, scolastiche, psicanalitiche. Molti sono tardo proletari, ragazzi disoccupati e signori che non hanno frequentato quelle che noi terroni chiamavamo le “scuole alte” ma che posseggono una loro sensibilità. Quella non la puoi imparare. Capita molto di rado che alcuni falsi intellettuali, o ex studentielli universitari del DAMS, abbiano paura di quello a cui stanno assistendo. Questo accade perché non mettono in conto il fatto che siamo tutti destinati al fallimento. Chi vuole ancora vincere non capirà mai perché io mi deturpo sul palco e vado contro me stesso e contro l’umanità. Preferisce non prendere atto di questa proiezione fallimentare. Scappando da Scapezzo non accetta la propria essenza più intima e indicibile. Continua a vivere assorto in una perenne dissociazione. Tutti questi individui quindi sono agiti dall’Io e dal loro retaggio piccolo borghese. Ci vorrebbe un Pino Mauro che li riempia di mazzate ogni giorno.”

Oltre che umorista ed attore, tu sei anche un musicista. Ecco, quali sono le tue radici musicali?

“Le mie radici musicali sono Piero Piccioni, Piero Umiliani, Fred Bongusto, Bruno Martino, Riz Ortolani. E poi gli stranieri Antonio Carlos Jobim, Les Baxter, Dr. Samuel Hoffman, Lalo Schifrin, Duke Ellington, Chet Baker e tanti altri. Posso dirla però un’ultima cosa?”

Certo, fai pure (prende il registratore e se lo avvicina alla bocca.)

“Ci vorrebbe una terza guerra mondiale. A proposito, voglio citare una frase di Daniele Pace ospite di quel programma. Attilio come si chiamava quel programma dove tuo padre fece 38 Luglio al pianoforte?”

– Attilio: Era una specie di Domenica In (ndr: era il programma L’angolo del Paroliere)

Durante l’esibizione Daniele, in maniera così aristocratica e distaccata, si ferma dal declamare e, con la sua erre moscia, dice al pianista: “Maestvo, lo sente questo bombardamento imminente? Ecco, è proprio quel senso di bombardamento imminente del reale che bisogna corteggiare, per arrivare ad abbracciare Dio e cioè, L’Assenza. Il pezzo che interpretava era 38 Luglio. Bisognerebbe auspicare giorni incontenibili dai calendari, piuttosto che ritrovarci in esistenze già numerate. E questo l’ha capito bene Fulvio Abbate, tra i maggiori intellettuali e scrittori italiani.”

Quindi tu credi in Dio e secondo te Dio è l’Assenza?

“Sì certo, Dio c’è perché non esiste. Se esistesse sarebbe una grande tragedia: che senso avrebbe credere in qualcosa che già esiste? Dante ha scritto l’intera Divina Commedia pensando a Beatrice, alla sua assenza. Il mistero teologico è qualcosa di sacro. Noi ci muoviamo quando ci manca qualcosa, se avessimo tutto a portata di mano staremmo tutti a fetare sui nostri divani. Ergo, la maggioranza dei fedeli, in realtà non crede in Dio. Soprattutto questo Papa. L’assenza è tutto quello che si dovrebbe augurare ad un uomo.”

OUTsiders webzine si occupa di cultura a 360°.
Vuoi collaborare con noi? Clicca qui