[INTERVISTA] Palo Alto Market: camminare in direzione opposta

Abbiamo visitato l’edizione di Palo Alto Market a Barcellona del 4 e 5 marzo, dedicata alle donne, per selezionare la nostra band, il nostro catering e il nostro designer preferito.

_di Roberta D’Orazio

Il Collegiate Dictionary Merriam-Webstiers offre una definizione del concetto di hipster diversa da quella dispregiativa a cui l’uso comune ci ha abituato. Si tratta, secondo i compilatori del vocabolario, di “un individuo cosciente del proprio interesse verso pattern nuovi e non convenzionali”.

Pochissime persone conoscono questo significato… ed è vero che alcuni hanno una percezione frivola di questa parola. Ma è esattamente questo il modo in cui descriviamo questa forma di cultura. Non si tratta di indossare una camicia a quadri e farsi crescere la barba, piuttosto si tratta di una parte del movimento hipster che ha a che fare con l’interesse per le nuove abitudini dei consumatori. Camminare nella direzione opposta, ecco ciò che cerchiamo di fare sempre.

A rispondere alle mie provocazioni, quando faccio notare che il loro progetto viene spesso associato a una forma di hipsteria collettiva, sono gli organizzatori di Palo Alto Market, durante una gioviale chiacchierata in occasione dell’evento di marzo, dedicato alle donne, di questo appuntamento con il design, l’artigianato, la gastronomia e la musica a Barcellona, con 130 espositori e 15.000 visitatori per ogni edizione.

«La sfida più grande che affrontiamo è quella di voler offrire un motivo per tornare ogni mese»

Il progetto di riabilitazione di Palo Alto è iniziato 25 anni fa, quando Javier Mariscal durante le Olimpiadi ha aperto il suo studio nella fabbrica del XIX secolo nel Poble Nou (un quartiere alla periferia della città di Barcellona, ​​ai tempi). Quando arrivarono i primi abitanti il complesso industriale era in fase di declino e iniziò a essere frequentato da designers che si installarono lì con diversi studi di progettazione, restituendo vita a questo spazio. Ora ​​è come un’oasi all’interno della città, un’isola verde!

Abbiamo voluto aprire la fabbrica alla città di Barcellona, con un evento di qualità. All’inizio eravamo solo tre persone legate al mondo creativo che volevano offrire la propria esperienza agli artisti emergenti. Oggi siamo un gruppo di 13 professionisti che dedicano il 100% del proprio tempo a questo progetto. In ufficio il lavoro è suddiviso tra cinque dipartimenti: produzione, commerciale, programmazione, marketing e finanza. Sotto la guida del Pedrín Mariscal (fratello e braccio destro del designer Javier Mariscal negli ultimi 30 anni), ci sforziamo di creare in ogni edizione un evento unico e sorprendente per il pubblico.
La sfida più grande che affrontiamo è quella di voler offrire un motivo per tornare ogni mese. Pertanto, lavoriamo da ogni reparto cercando i migliori designer, gli artigiani più creativi, i musicisti più speciali e la cucina più raffinata.”

E noi allora vi raccontiamo tre dei progetti che più ci hanno colpito ed entusiasmato al Palo Alto Market.

El Dios de los tres: design sospeso tra terra e astrazione

Palo Alto è un posto meraviglioso per esporre e vendere un’ottima vetrina per il mio lavoro. Ho molti clienti che mi hanno conosciuto il mio lavoro in mercati di questo tipo, nascono progetti interessanti. A Barcellona è la migliore piattaforma per avere una relazione diretta con il pubblico.” Javier Navarro Romero, classe 1985, è un artista trasversale capace di mescolare nel cocktail creativo dei suoi lavori stili e attitudini differenti, che generano un gioioso effetto estraniante. Astrazione e concretezza si intrecciano nelle sue immagini, e mi piace la maniera in cui in cui in parte mi contraddice quando gli chiedo da dove nasce il contrasto tra elementi vividi con dettagli macabri o irriverenti.

Nella mia vita credo. La vita non ha un senso definito senza la morte. Non considero il mio lavoro macabro. In nessun momento. L’irriverenza e il macabro sono negli occhi di chi guarda. Voglio che il mio lavoro sia uno spettacolo. Il colore e la luce, naturalmente, rappresentano la vita. Ma anche la morte. Sono del sud e nel mio sangue scorrono le immagini pregne di morte di Lorca o Picasso, ma si tratta semplicemente di qualcosa di naturale.”

Javier lavora anche su commissione, ed è inevitabile chiedergli quale sia il rapporto tra i lavori che gli vengono richiesti e la sua personale libertà creativa. “In questo senso sono abituato male e di solito i clienti che vengono da me cercano il mio stile e il mio marchio, il che mi lascia abbastanza libertà di lavorare. Comunque mi piace sempre affrontare nuove sfide ed evolvermi. Sempre cerco di non ripetermi, non mi diverte fare sempre la stessa cosa.”

 

Kinsale: verso l’oscurità del folk


Le Kinsale sfiorano a fatica i 21 anni ma, nonostante il loro giovanissimo aspetto dichiari apertamente la gioventù anagrafica, è difficile ricordarsi di questo data la matura consapevolezza con cui catturano con la propria magia folk l’attenzione del pubblico più esigente in sala, tra le tende rosse e gli enormi colorati dipinti di eroine che hanno fatto la storia.

Un bambino e una bambina, tenendosi per mano, si avvicinano intrepidi al palco e iniziano a ballare, mentre Raquel cantando all’unisono con la sua compagna e accarezzando le corde della sua chitarra scalcia sulla cassa ai suoi piedi, e Irene scambia la chitarra elettrica con un violino.

Una mamma chiede scherzando al figlio di 5 anni appena:
“Pol, andiamo via?”
“No. Voglio restare fino alla prossima canzone.”

Più tardi nel camerino, Irene e Raquel mi racconteranno, completando l’una il discorso dell’altra, in una sincronia che ben riflette ciò che è accaduto sul palco:

Per sentirci soddisfatte di un nostro concerto deve esserci gente, anche poca, ma che sia attenta, perché a volte ci sono molte persone, ma restiamo in sottofondo, come la radio. Se invece ballano, o chiedono altre canzoni, o ti registrano con il cellulare o muovono la testa, capisci che sta andando bene. Lo puoi capire dalla faccia della gente. Oggi è andata molto bene, ci sembrava che tutti fossero a loro agio. Abbiamo già suonato qui l’anno scorso, nel palco piccolo nel giardino.

Qual è stata la differenza tra i due concerti?” domando.

Il freddo! Quest’anno abbiamo conquistato il palco più grande. Anche a livello di suono fa la differenza stare in uno spazio chiuso. La realtà è che desideriamo suonare ovunque sia possibile. In qualsiasi luogo. Chiaro, il sogno di ogni artista è fare un tour mondiale (sorridono) ma ora come ora ci piacerebbe iniziare ad uscire un po’ dalla Catalogna. Abbiamo suonato a Bilbao, a un concorso molto ben organizzato che non abbiamo vinto, ma è stata un’esperienza molto bella, la città è piaciuta moltissimo e possiamo dire lo stesso della sala dove abbiamo suonato. Suoneremo ad Andorra con Litus tra un mese, ne siamo entusiaste. “

Riguardo agli inizi del progetto, mi raccontano: “Ci siamo conosciute a scuola quando avevamo 12 anni e a 14 abbiamo iniziato a suonare insieme durante la ricreazione ma anche durante le lezioni (ridono), quando potevamo! Ci chiedevano sempre a esibirci alla festa di fine anno, iniziammo così, perché ci piaceva. Fino a quando un giorno nel mio quartiere a Terrassa ci chiamarono per suonare alla festa locale, accettammo, ma non avevamo un nome, non eravamo ancora nessuno! Scegliemmo Kinsale, che è un paesino in Irlanda, dato che tutto quello che ci piaceva a quei tempi (e che ancora ci piace) come i Cramberries, i Corrs, la musica tradizionale, ma anche artisti quasi sconosciuti che scoprivamo su YouTube, era relazionato con questa isola, a quei tempi eravamo realmente ossessionate! Siamo state a Dublino una volta, ma mai a Kinsale. Ci piacerebbe suonare lì!

E sul futuro immminente: “Il prossimo disco sarà più oscuro.” Non a caso, le Kinsale mi rivelano di nutrire “un’ossessione quasi malata” per Chelsea Wolfe, regina del folk nella sua declinazione notturna ai confini con il drone e la schizofrenia sperimentale.

“Sarà un concept parzialmente ispirato a The Danish Girl, anche se poi l’idea si è un po’ spostata altrove. Abbiamo già le melodie e i testi, e ora stiamo lavorando con un produttore per definire meglio i suoni e dare una forma al tutto. Ci allontaneremo un po’, pur non abbandonandola, dalla struttura folk tradizionale con due voci e due chitarre che funziona molto bene ma rispetto alla quale desideriamo evolverci. Non escludiamo di poter suonare con un’intera band: l’idea è quella di registrare con altri due musicisti, un tastierista e un batterista. Sicuramente questo accadrà nel disco, ancora non sappiamo quale formula sceglieremo dal vivo, probabilmente ci saranno inserti elettronici, ma è ancora tutto molto embrionale. Siamo totalmente concentrate su questo, non vogliamo aggiungere elementi ai nostri live per ora perché tutte le nostre energie si rivolgono all’album.”

Clicca qui per ascoltare le Kinsale

Sisters catering: dai contest in famiglia a un’appassionata idea di ristorazione

Nel mondo di fast food emotivo, Palo Alto è una provocazione. Gli stessi organizzatori mi confermano che quella di non attenersi per la ristorazione al tipico formato della furgonetta è una scelta ben precisa, che privilegia la ricerca di soluzioni differenti. E a questa etica risponde, Sisters Catering, progetto di Eva e Mireia, che ci accolgono sorridenti per deliziarci con un ottimo semifreddo al cioccolato.

Attualmente siamo due delle tre sorelle. Abbiamo la fortuna di completarci a vicenda! Con una buona dose di fatica e di dinamismo tiriamo fuori tutto ciò che potete vedere e gustare.
I nostri primi ricordi legari alla cucina sono ambientati a casa, guardavamo nostra nonna. Tutti nella nostra famiglia sono appassionati di cucina da almeno tre generazioni. Tutte le nostre feste hanno sempre avuto il cibo come comun denominatore! Il nostro progetto è nato proprio in casa. In seguito alle numerose competizioni culinarie che sono attualmente di moda in televisione, abbiamo deciso di organizzare un concorso di tapas durante una delle nostre riunioni, in cui ciascuna di noi preparava qualcosa e la nostra giuria è stata la nostra famiglia che è molto critica per quanto riguarda il gusto e il design: tutti hanno un palato molto fine. È stato un successo e tutti erano piacevolmente sorpresi! Quando tutte e tre ci siamo trovate davanti a un tale volume di tapas, così carine, e ci siamo rese conto che piacevano a tutti, non so dirti da chi sia partita l’idea, ma è stato quello il momento in cui ci siamo domandate: e se allestissimo un catering? Detto fatto!
Per noi è un hobby, ognuna di noi lavora in proprio e dedichiamo qualche ora, spesso rubata al sonno, al nostro progetto! Stiamo considerando di fare il salto di qualità per un servizio più professionale, ma abbiamo dubbi e preoccupazioni sia a livello economico, sia per il livello di dedizione richiesto, siamo madri e questo è un settore molto impegnativo. Il nostro consiglio per chi volesse aprire un’attività del genere: una buona squadra, un sacco di dedizione ed entusiasmo, una grande dose di creatività e fantasia e, soprattutto, molto impegno per cercare di stupire il cliente in ogni servizio, in modo che possa gustare e raccomandare ognuna delle vostre tapas.

A ben vedere, se assumiamo come significato preponderante la tensione verso la novità, il desiderio costante di sperimentare nuove forme, il termine hipster ben si adatta agli artisti che con Palo Alto hanno stretto un vincolo di sostegno reciproco. Non resta che aspettare la prossima edizione per scoprire quali motivazioni ci forniranno gli organizzatori per varcare il recinto industriale – giardino non più segreto in cui sbocciano i fiori dell’arte – ancora una volta.

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