Mai come oggi il mondo ci sembra al collasso: allora recuperiamo l’atipica “storia collettiva” illustrata pubblicata sulle pagine Puck Magazine sul tema dell’Apocalisse – tra tragedia e ironia, satira e surrealismo.
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_di Francesca Marini
Circa quattro anni fa Puck Magazine, fumetto creato dal milanese Ivan Hurricane (all’anagrafe Ivan Manuppelli), giungeva al suo capitolo finale. Dopo più di dieci anni la rivista indipendente e autoprodotta cessava la sua attività, regalando ai fan un ultimo micidiale numero: “la più grande tragedia editoriale di sempre”. L’apocalisse sotto forma di disegno. Apuckalypse.
Apuckalypse è un fumetto collettivo. Hurricane ha chiamato a raccolta ben cento autori per questa opera finale, italiani ed internazionali. Non solo fumettisti, ma anche pittori, xilografi, maestri del collage: una comunità di creativi che, con sinergia e passione, ha realizzato l’apocalisse di Puck Magazine. Ed è proprio l’apocalisse il tema cardine di ogni singola pagina: ogni artista ha rappresentato la propria visione della fine del mondo, ciascuna ambientata in una zona diversa dell’Italia e del pianeta. L’unico limite, il bordo della pagina. Perchè Puck Magazine è stata una rivista libera, senza censure, e ha voluto esserlo fino all’ultima goccia di inchiostro.
«Allucinato ma dannatamente reale, acido e cattivo ma avvolgente e affascinante: Apuckalypse è un vortice che vi cattura; e che vi farà divertire. Macabro, brutale, impetuoso»
In poche parole, in Apuckalypse gli artisti immaginano il termine di tutto, l’arrivo del caos finale o del nulla più totale come vogliono. E lo fanno con ordine, dal giorno zero (The Beginning Of The End) fino al centoquindicesimo (Grand Finale).
Apre le danze Pat Moriarity, illustratore “punk”, che torna indietro nel tempo fino al 1963 e pensa che la fine sia in realtà già cominciata dalla morte di Kennedy, a Dallas (giorno zero). C’è il nostro Alessandro Baronciani (fumettista, illustratore, grafico) che disegna una Pesaro, sfera di Arnaldo Pomodoro compresa, avvolta nelle fiamme durante il cinquantunesimo giorno. C’è Winston Smith (sì, l’autore della cover di Insomniac, il disco dei Green Day) che con il suo coloratissimo e caotico collage spezza all’improvviso il bianco e nero del resto di questo lavoro, con una Statua della Libertà che sembra stare per crollare, l’arrivo dei Cinque Cavalieri dell’Apocalisse e il panico più totale. Lo stesso Hurricane rappresenta invece un luogo immune all’apocalisse e al cambiamento, condannato a rimanere così com’è per l’eternità: una Rozzano-dormitorio che continua la sua solita vita nell’immobilità sotto lo sguardo divertito di Satana, mentre il resto del mondo va verso l’inevitabile distruzione. La fine definitiva arriva con il caricaturista Tom Bunk: Dio che gioca a golf con la Terra e che la spedisce dritta in un buco nero e che appare decisamente sollevato di essersi liberato dell’intera umanità.
Disegni onirici, un incubo stampato, tremendamente lucido nella sua follia. L’inconscio, le paure ma anche le passioni di cento artisti che trovano libero sfogo in un volume che in realtà è il punto di incontro di varie arti incastrate in maniera perfetta tra di loro, così come i vari autori che sembrano legati da un patto misterioso, una strana e magica unione nonostante la distanza stilistica e geografica.
Personalità differenti che trovano continuità l’una nell’altra, dalle linee morbide di Enzo Jannuzzi al tratto inconfondibile di Antonio Tubino, dalle visioni cupe di Boris Pramatarov alla sensualità di Nik Guerra, per non parlare del surrealismo della copertina realizzata dal pittore Christopher Ulrich.
Ogni pagina è un’immagine spaventosa ed ironica ma in qualche modo fedele del periodo tormentato che stiamo vivendo, una grottesca fotografia allegorica che ritrae determinati comportamenti e situazioni sociali, una fotografia densa di ombre e contrasti in cui il nero spesso prevale sul bianco.
Allucinato ma dannatamente reale, acido e cattivo ma avvolgente e affascinante: Apuckalypse è un vortice che vi cattura; e che vi farà divertire. Macabro, brutale, impetuoso. Che sia rappresentata da una bottiglia di vino made in Castelli Romani che è “la fine del mondo” e al tempo stesso la sua origine come quella del vignettista Roberto Mangosi, dovuta dalle salamandre come pensa Laura Giardino o causata da insetti-burocrati che divorano qualsiasi linfa vitale come quelli di Bruno Bozzetto, l’apocalisse in questo lavoro cambia forma e aspetto ma la riflessione rimane sempre quella: ogni cosa ha la sua fine, tutto è fragile e mutabile e l’uomo deve fare i conti con questo fatto ogni giorno della sua vita, che sia nella Silicon Valley o nella provincia di Vicenza, non importa dove.
E qualcosa va cambiato ora per far sì che la fine non sia così vicina, o almeno che non sia così feroce. Ogni cosa ha la sua apocalisse, anche un bel fumetto rivoluzionario che ci manca. Aspettiamo una nuova genesi. Perchè se qualcosa finisce, qualcosa di nuovo arriva. Sempre.