Come suona il jazz del futuro? Ce lo insegnano Thundercat, GoGo Penguin, BadBadNotGood e gli altri alfieri dell’ondata nu jazz degli ultimi anni. All’insegna della contaminazione.
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_di Stefano D. Ottavio
In occasione dell’annunciato ritorno in Italia dei BadBadNotGood per due concerti estivi e della data di recupero targata Jazz:Re Found dei GoGo Penguin, ne approfittiamo per parlare di alcune delle giovanissime band che in questi ultimi anni, con un occhio rivolto alla sperimentazione ed un altro al passato, sono riuscite ad emergere dal mare magnum del jazz rendendolo nuovamente uno dei suoni più attraenti in circolazione.
BADBADNOTGOOD
Uniti dall’amore per l’hip hop e da una solida formazione jazzistica, in pochissimo tempo i canadesi BadBadNotGood sono arrivati a collaborare con Tyler, the Creator (il loro primo vero supporter, che li notò per alcuni video in cui facevano delle cover degli Odd Future), aprire i concerti di Roy Ayers e suonare come backing band di Frank Ocean. Dal loro debutto su Bandcamp con l’album “BBNG” nel 2011 hanno pubblicato 5 album che possiamo liquidare senza mezzi termini come delle vere e proprie bombe, nei quali il nu-jazz elettronico diventa pane per strumentali hip hop stilose ed eleganti, osannate da critica e pubblico, che li hanno decretati come l’ “hip hop jam band” più di successo del momento. Come highlight della loro ancora breve carriera potremmo scegliere “Sour Soul” (2015, Lex Records), frutto di una collaborazione con Ghostface Killa del Wu Tang Clan, ma ovunque si peschi nella loro discografia, si pesca bene.
YUSSEF KAMAAL
Ci muoviamo nelle stesse acque nu-jazz con gli Yussef Kaamal, di cui abbiamo già avuto modo di parlare da queste parti in occasione della loro recente esibizione al Jazz:Re Found di Torino. Il duo londinese composto dal pirotecnico batterista Yussef Dayes e dal tastierista Kamaal Williams, conosciuto anche come Henry Wu nei suoi lavori precedenti, è unito già da parecchi anni ma solo nel 2016 è uscito l’album di debutto “Black Focus” (Brownswood Records), promosso a pieni voti da Gilles Peterson. Il loro sound, rispetto a quello dei BadBadNotGood, è molto più tradizionale e assimilabile al jazz-funk suonato dagli anni ’70 fino ad oggi, ma anche qui è molto forte il gusto da strumentale hip hop/ broken beat, quindi non è improbabile una futura collaborazione con qualche rapper illuminato.
GOGO PENGUIN
I GoGo Penguin sono sicuramente il gruppo più soft e delicato di questo elenco, dal momento che il perno del loro jazz sperimentale è il pianoforte sognante e melodico di Chris Illingworth, ma non per questo son meno degni di nota. Formatisi a Manchester nel 2012, al piano jazz più classico uniscono elementi di elettronica ed una batteria frenetica, tra Brian Eno, Ludovico Einaudi ed i Massive Attack. A conferma del fatto che si stan muovendo nella giusta direzione, basti sapere che il loro terzo album, “Man made object” (2016), è stato pubblicato dalla Blue Note Records, label “cult” che di jazz dovrebbe saperne qualcosa.
VULFPECK
Dal jazz/hip hop si passa ad un suono che prende a piene mani dal soul della Motown e dalle registrazioni R&B classiche, senza nessuna pretesa di modernità o rivisitazione ma con tanto gusto e divertimento: in poche parole, gli Vulfpeck. Insieme dal 2011, vengono fondati dal tastierista Jack Stratton con l’intento di riprodurre fedelmente il suono dei sessionmen che negli anni ’60 musicavano dal vivo i programmi televisivi americani, cosa resa possibile da una maniacale attenzione al lavoro in studio di registrazione ed ad una maestria unica nel maneggiare i propri strumenti. Infatti varrebbe la pena di amare questo gruppo solo per il fatto di aver messo sotto i riflettori uno dei giovani bassisti migliori in circolazione, ovvero quel figo di Joe Dart, capace di omaggiare il Jaco Pastorius di Teen Town con un brano bello quanto l’originale. “The Beatiful Game”, uscito l’anno scorso, ha raggiunto le vette della classifica R&B di Billboard, ed è uno dei migliori album del 2016.
HIATUS KAIYOTE
Sono labili e indefiniti i confini del genere di cui stiamo parlando. Neo soul? Nu-jazz? Future soul? Hip Hop alternativo? Le etichette si sprecano per cercare di descrivere questo suono che sta sbarcando le classifiche sia indie che mainstream e pian piano si sta diffondendo anche in Italia (ma si sa che dalle nostre parti le cose belle ci mettono un po’ ad arrivare). Se si parla di giovani musicisti, praticamente emergenti, di formazione jazz che si lanciano in incursioni nel mondo hip hop e ridefiniscono l’R&B, allora non possiamo non menzionare gli Hiatus Kaiyote, a nome di molte band più o meno simili che stanno uscendo ultimamente (vedi The Internet). Nati a Melbourne nel 2011, nel giro di sei anni hanno sfornato due album, entrambi contenenti due brani nominati come Best R&B Performance ai Grammy Awards (senza mai vincere purtroppo), tra i quali figura Nakamarra, collaborazione con il leggendario Q-Tip. Per comprendere a pieno l’abilità tecnica del quartetto australiano, basta godersi l’esagerata esibizione live del brano “By Fire” qua sotto.
THUNDERCAT
Non sarà una band come gli altri protagonisti di questa carrellata, ma Thundercat, oltre ad essere ancora piuttosto giovane, è soprattutto uno dei massimi responsabili di questo incasinatissimo crossover tra jazz, soul ed hip hop di cui stiamo parlando. Stephen Bruner, avvantaggiato dall’essere figlio e fratello minore di grandi musicisti, ha uno dei curriculum musicali più clamorosi e random che esistano: solida formazione jazz nel quartetto Young Jazz Giants (in cui c’è anche Kamasi Washington), bassista per un breve periodo della band hardcore punk di culto Suicidal Tendencies all’età di 16 anni, tre album solisti all’attivo e turnista in una trentina di lavori altrui tra i quali devono per forza essere menzionati Cosmogramma di Flying Lotus e New Amerykah di Erykah Badu, due manifesti della sperimentazione jazz e soul che verosimilmente sono stati linfa vitale per tutte le giovani band qui citate. Come se non bastasse, è stato l’epicentro creativo del suono dell’album più importante del 2015, ovvero “To Pimp a Butterfly” di Kendrick Lamar (la linea di basso di King Kunta resuscita anche i morti e non finiremo mai di ringraziarlo per questa creazione). Da pochi giorni è uscito l’ultima fatica “Drunk” (2017, Brainfeeder), un altro grande capitolo nella storia di questo fondamentale musicista.