Il grande amore per il mondo, con i suoi abitanti e i suoi alberi, tutto concentrato nei versi di Franco Arminio che al Circolo dei Lettori sono stati il pretesto per creare una comunità formata da tutti i presenti.
_di Giorgia Bollati
Mille sono i tipi di amore che viviamo ogni giorno: Franco Arminio, il 16 febbraio al Circolo dei Lettori, ha coinvolto il pubblico in una celebrazione dell’amore universale, quello primordiale dell’avere care le cose. Presentando il suo nuovo libro Cedi la strada agli alberi, Arminio ha colto l’occasione per parlare del mondo, dapprima con il regista Davide Ferrario, e poi con l’intero uditorio, che ha interpellato con domande sulle rispettive famiglie, sui paesi di origine e sulle diverse occupazioni; a fronte dell’autodefinizione di “egocentrico che sa ascoltare”, l’artista si è mostrato capace di creare uno spirito di gruppo a partire dai tanti pezzettini concentrati nella sala, portando il pubblico a parlare con un’unica voce, fino alla conclusione con le parole di Bella ciao, cantata con orgoglio da tutti i presenti.
Arminio ha raccontato il suo amore per i luoghi, per i piccoli paesi dell’Italia, e ha parlato del libro come di un lungo gesto d’amore per i posti in cui è stato; ritiene che per vivere bisogni fare buon uso delle cose che ci dà il destino: il dono da lui ricevuto è stata una grande inquietudine, che sfrutta per scrivere le poesie e che cura guardando il mondo, perché l’amore per i luoghi è il miglior farmaco. Ha raccontato delle sue tristezze e delle sue ipocondrie, che tuttavia gli permettono di leggere le ferite del mondo, le quali di fronte alla delicatezza di chi giunge in punta di piedi si mostrano, consapevoli di poter ricevere l’attenzione necessaria, la stessa attenzione che Arminio ha dedicato singolarmente ai presenti, chiamandoli a uno a uno a parlare di fronte a tutti, per condividere una piccola parte di loro stessi.
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Ogni albero del nuovo libro è una piccola occasione per dedicarsi all’ascolto dell’altro, senza bisogno di sacrificare parole per lasciargli spazio, ma semplicemente restando se stessi. Alternando la lettura di briciole delle sue poesie ad aneddoti, racconti o riflessioni, Arminio ha mantenuto l’attenzione del pubblico commuovendolo, facendolo ridere e gioire e lo ha invitato a mostrare le proprie ferite: l’appello rivolto ai presenti è stato quello di condividere, di mostrarsi con spontaneità nella propria semplicità, senza per forza ricercare la scontentezza, per giungere alla vera profondità. Il poeta di Bisaccia ha ricordato a tutti che ognuno è importante allo stesso modo e che tutte le cose hanno il loro posto nel mondo, cui bisogna dedicare la giusta attenzione facendo almeno un esercizio di ammirazione al giorno.
Franco Arminio ci ha parlato della prima poesia da lui scritta, a 16 anni, con la penna rossa, immerso nel turbamento adolescenziale tra le mura di casa sua, in un freddo pomeriggio nevoso di gennaio, quando provò la grande gioia di tracciare sulla carta la linea della sua inquietudine, che, prendendo avvio in quel momento, non si è più fermata. Una scrittura che costituisce per lui un bisogno, una necessità di espressione dettata dal fisico che fa sì che le sue poesie nascano quando è necessario, e soprattutto con lo scopo di consolare le persone: componimenti semplici che parlano con sincerità in un momento storico che, a suo modo di vedere, non può trarre giovamento dalla forma chiusa e dal gioco linguistico quanto dalla spontaneità e dalla naturalità.