Lucia Poli e Milena Vukotic: tornano le Sorelle Materassi

Per la regia di Geppy Gleijeses, Ugo Chiti propone una commedia tratta dal romanzo di Aldo Palazzeschi, al Teatro Carignano dal 31 gennaio al 12 febbraio 2017.

di Giorgia Bollati  –  Dalla rivoluzione dell’avanguardia alla pacatezza della tradizione: Aldo Palazzeschi parve rientrare nei ranghi nel 1934, quando pubblicò con Vallecchi Sorelle Materassi, un delicato romanzo di ambientazione familiare, che corrisponde a uno spaccato della società borghese di inizio secolo. Dopo lo sceneggiato televisivo del 1972, supervisionato direttamente da Palazzeschi che era rimasto molto affezionato alle sue dolci Teresa e Carolina, il regista Geppy Gleijeses (interprete, tra gli altri titoli, di Filumena Marturano, Il bugiardo di Carlo Goldoni e L’uomo, la bestia e la virtù di Luigi Pirandello) propone la commedia tagliata e cucita da Ugo Chiti per vestire le attrici Milena Vukotic (zia Carolina) e Lucia Poli (zia Teresa).

Con il sostegno di Marilù Prati nei panni della sorella minore e di Sandra Garuglieri, la frizzante e premurosa Niobe, le due artiste protagoniste conducono un’azione tutta svolta entro le quattro pareti del salotto di casa Materassi, al centro del quale è posto il tavolo da lavoro delle due donne, sempre coperto di stoffe, pizzi e merletti, simbolo della ricchezza di famiglia interamente frutto delle loro abili mani.

L’adattamento risulta quasi essere un grande “capitolo fantasma”, di cui sul palco sono portate le emozioni e le parole delle due donne, che ripercorrono, analizzano, ricordano e rivivono le vicende legate a Remo, e introducono, tenendolo per mano, il pubblico nel loro mondo malinconico e sentimentale.

«Alla bellezza si perdona ogni cosa»

Solo la scena iniziale si colloca al cospetto del Papa, il quale, tuttavia, al pubblico non è dato vedere: tutto è nascosto da un telo bianco che separa il palco dalla platea, e delle tre figure in scena, il pontefice e le due sorelle, si scorge solo l’ombra proiettata contro lo schermo; giochi di luci e proiezioni delineano gli esili e gentili profili delle donne, di cui si intravede solamente il lungo velo di pizzo che ne copre il capo, producendo un effetto suggestivo e delicato, che le personalità di Lucia Poli e di Milena Vukotic inteneriscono ulteriormente costruendo con ironia i loro fragili personaggi.

Una ventata di energia e disillusione è portata in scena dalla sorella minore Giselda, interpretata da una vigorosa ma, forse, vagamente retorica Marilù Prati, unica capace di vedere la reale natura del nipote Remo, interpretato da un giovane Gabriele Anagni, reduce da Un medico in famiglia e Un posto al sole, perfettamente crudele quanto approfittatore nei panni del bello di casa. Chiave della commedia dolceamara risultano le parole pronunciate dalla domestica Niobe, un’eccellente (e dal credibilissimo accento toscano) Sandra Garuglieri, “alla bellezza si perdona ogni cosa”: lo spregiudicato nipote fa, infatti, leva sulla sua bellezza e sul suo fascino, comprendendo la portata del proprio ascendente sulle due ingenue zie e dimostrandosi capace di manipolarle e manovrarle fino all’autodistruzione pur di ottenere i propri scopi.

Solo la smaliziata Giselda si mostra immune da ogni incantamento e si permette di smascherarlo in privato, in un ballo di cui solo loro due conoscono i passi, danzato intorno al tavolo che garantisce un tetto a entrambi e che costituisce l’orizzonte delle due Zi Te e Zi Ca, come le chiama il giovane, che sempre si ritrovano sedute e intessere le lodi di Remo ammirando la sua bellezza o leggendo le sue distaccate lettere.

Nient’altro che un mucchietto di fotografie e di lettere rimane alle due povere donne coccolate dalla buona domestica: dopo il riuscito matrimonio con la frivola e facoltosa americana Peggy, interpretata da un’assai credibile Roberta Lucca, e le critiche delle malelingue in sottofondo che disprezzano gli esagerati e ridicoli vestiti di Teresa e Carolina, casa Materassi viene abbandonata dalla ribelle e ancora piacente Giselda. Ormai in miseria, le due sorelle non possono che continuare con la loro vita ingabbiata nel garbuglio dei rami dell’albero sullo sfondo, la cui figura nera è tutto ciò che si vede prima della chiusura del sipario.

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