Guido Catalano da record al Teatro Colosseo

Sabato 4 febbraio, al Teatro Colosseo di Torino, si è svolta la prima tappa del “Se mi baci muore un nazista Tour” in cui Catalano ha presentato il libro eponimo, uscito presso Rizzoli il 2 febbraio e già alla seconda ristampa.

_ di Gaël Pernettaz

Guido Catalano, per chi non lo conoscesse, è un poeta moderno itinerante, continuamente in tournée per tutto lo stivale a recitare le sue poesie. Si esibisce spesso in piccole librerie, circoli o locali, dove le centinaia di persone che accorrono a vederlo stanno strette in stanze anguste, accalcandosi attorno al poeta che con i libri in una mano e un Negroni nell’altra recita i suoi versi: latmosfera, estranea a ogni forma di ufficialità, ricorda piuttosto quella di un centro sociale occupato o del concerto underground.

Uno spettacolo al teatro Colosseo è stato quindi un salto nel vuoto, un esperimento: vedere se “l’effetto Catalano” funzionava anche in un importante teatro, con un grande pubblico (1400 persone, “il mio record personale” come racconta a inizio serata), in un’atmosfera totalmente diversa.

«L’amore è una cosa seria, ma non troppo»

Una scommessa che si è rivelata vincente. Prima dello spettacolo infatti, guardando il palco enorme e quasi spoglio, la grandezza del teatro e lo spropositato numero di spettatori, ci si poteva aspettare che questa volta no, Catalano non sarebbe riuscito a instaurare la solita confidenza e familiarità fra lui e il pubblico, e lo spettacolo avrebbe perso di vivacità. Invece, dallo spegnersi delle luci in sala e le prime note di “It’s raining men” di Geri Halliwell che hanno accompagnato il suo ingresso sul palco, sino alla lettura finale di “Teniamoci stretti, che c’è vento forte” (uno dei suoi pony di battaglia, come li definisce) con cui lo spettacolo si è concluso, questo grande omino di un metro e sessanta (o sessantacinque? Il numero esatto non si trova da nessuna parte) è riuscito a riempire il teatro, a sovrastare ogni altro oggetto, immagine o pensiero, instaurando quasi un dialogo personale con ognuna delle 1400 persone presenti. Le distanze fra pubblico e performer si sono annullate, e allora, come ha fatto per tutta Italia negli ultimi 13, 14 o 15 anni (non se lo ricorda bene) Guido Catalano ha iniziato a recitare le sue poesie.

Partendo dalla nuova raccolta di poesie “Ogni volta che mi baci muore un nazista”, ma servendosi anche di altri libri, Catalano ha iniziato a leggere e a parlare d’amore col pubblico. Fra poesie nuove e vecchie, storie di amori felici e storie di amori conclusi o ancora agonizzanti (raccontate queste ultime in quelle che il poeta ha battezzato PFR, ovvero poesie di fine rapporto), l’autore attraverso i suoi versi ha calato il pubblico in un’atmosfera surreale, fatta di sentimenti teneri e fragili, piccole attenzioni e minuti particolari. Catalano parla dell’amore come un bambino; ne coglie gli elementi ancora freschi dopo migliaia di anni e li sfiora con grazia, lasciando a noi di approfondirli, di farli nostri e legarli alla nostra esperienza.

A intervallare il reading, inoltre, due scenette comiche. Nella prima, intitolata “La posta del Colon”, Catalano ha risposto in modo scherzoso ma non troppo a un paio delle mail ricevute da persone che gli confidavano i suoi turbamenti amorosi, aiutato da una “valletta” d’eccezione, la cantautrice Levante.

Nel secondo intermezzo, invece, il gruppo “Il grande fresco”, composto dal poeta e dai musicisti Matteo Negrin e Federico Sirianni, ha cantato “Every breath you take” dei Police, ma non in lingua originale, bensì nella traduzione italiana di un Google di 10 anni fa, con un testo senza senso e a-grammaticale.

Lo spettacolo, in conclusione, che aveva come scopo la promozione del libro, si è rivelato essere molto di più: uno spiraglio attraverso cui è stato possibile spiare le idee, il modo di vedere le cose e la vita di Catalano, fatta di pongo, gatti, donne bellissime e solitudine.