La conferenza con cui il fumettista toscano ha presentato al Circolo dei lettori la sua nuova opera “La terra dei figli” è stata anche l’occasione per parlare di rapporto padre-figli, social network e post-verità.
di Edoardo D’Amato – “Il mondo dopo di noi”, senza facebook, youtube e internet, dove l’unico obiettivo fondamentale è quello di riuscire a sopravvivere, giorno dopo giorno: è questo quello che Gianni Pacinotti in arte Gipi ha voluto rappresentare nel suo ultimo lavoro “La terra dei figli”, uscito per Coconino Press – Fandango editore. Incalzato da Nicola Lagioia, l’autore pisano ha presentato la sua opera al Circolo dei lettori martedì scorso, momento perfetto per approfondire i tanti temi – attualissimi – che compongono il tessuto narrativo della storia. Premessa: c’era un sacco di hype intorno alla pubblicazione del libro, perchè anche questa volta Gipi ha rispettato il suo modus operandi, che prevede sostanzialmente di sparire dai radar per tutto il tempo necessario all’ideazione e stesura del fumetto. Ne è venuto fuori un racconto distopico, che rappresenta un post mondo apocalittico ispiratosi certamente a “La strada” di McCarthy o a “Il signore delle mosche” di Golding, ma con un’ambientazione molto più vicina a noi (questa terra desolata in cui si muovono i personaggi potrebbe essere un paesino della provincia italiana). I protagonisti sono un padre e i suoi due figli, tra i pochi sopravvissuti ad un disastro ecologico che ha decimato la popolazione mondiale.
Rispetto ai precedenti lavori non c’è la narrazione autobiografica: se negli scorsi libri c’era quasi una richiesta d’amore per la propria persona, ne “La terra dei figli” per la prima volta l’autore fa parlare i suoi caratteri: ci si affeziona a loro, non a chi li ha creati. E’ un Gipi nuovo, infatti c’è una trama ben definita in cui si muovono padre e figli: il primo è un vero e proprio eroe. Eroe nel senso che ha vissuto il tempo in cui il mondo era un posto migliore, ma evita sempre di descriverlo ai secondi. Non c’è scontro generazionale tipo il classico “Ai miei tempi…”: il padre vuole preservare i suoi figli da quel passato malinconico che loro non hanno nemmeno accarezzato. Tuttavia non vuole in alcun modo dimenticarlo: per questo la sua unica “fragilità” è tenere un diario assolutamente sincero, che nessuno, nemmeno i ragazzi, può leggere. Anche perchè loro sono analfabeti, e pur spiando il loro “vecchio” mentre scrive non riescono ad interpretare nulla.
Per capire gli altri personaggi che popolano le pagine della graphic novel bisogna prima spiegare qual è stata l’ispirazione che ha portato a “La terra dei figli”: la scintilla è il video “Gaia” della Casaleggio Associati. In sintesi: una guerra batteriologica mondiale stermina quasi tutta la popolazione esistente sul pianeta Terra, ne rimane solo il 30 % del totale. I sopravvissuti vivranno in un bunker per vent’anni fino a quando l’aria non si purificherà, ma quando usciranno potranno formare la cosiddetta “democrazia dal basso” ed eleggere grazie ad internet il governo mondiale. La domanda che si è posto Gipi è stata: quella popolazione, rinchiusa per due decenni sottoterra, cosa avrebbe fatto in una landa desolata? Ecco dunque l’ambientazione ideale per gli antagonisti del libro, tra cui spiccano i gemelli macrocefali, nati appunto da quel disastro, e che dietro a belle parole e falsi modi cortesi celano una violenza molto simile a quella che ogni giorno vomita una grandissima parte dei fruitori di facebook. Il loro è sentimentalismo inteso come pura pancia, che ha la capacità di togliere logica ad ogni conversazione. Ed è proprio qui che l’opera entra in tackle duro sulla nostra attualità e sul concetto di post-verità, sdoganato giusto l’anno scorso.
“Il disegno è una cosa santa, il talento è da proteggere”
Sono gli adoratori del dio “fiko” a rappresentare pienamente il presente: si tratta di un gruppo di fanatici che misurano il valore delle cose in like. Per introdurre questi personaggi parla anche del suo rapporto con la religione, e come accade spesso durante l’incontro non si può non ribaltarsi dalle risate: “Per me la bestemmia è come la batteria nelle canzoni rock, scandisce il tempo delle mie frasi“. Durante la conferenza Gipi si scaglia contro i “pensatori” 2.0, quelli delle scie kimike ma anche i sostenitori delle medicine alternative (fa riferimento alle teorie degli shock emotivi pubblicate da Hamer, pur senza nominarlo), per i quali è tutto un complotto e la scienza (definita dall’autore “fondamentale in questi tempi, credo ciecamente in lei“) è un qualcosa da buttare e addirittua sfottere. In questo senso “La terra dei figli” di Gipi è un libro sulla post-verità: per i cattivi del libro i fatti oggettivi sono meno importanti degli appelli a emozioni e credenze personali. Ragionano puramente con la pancia, e in questo quadro apocalittico i fact-checker non esistono.
Si capisce quindi come una storia che si svolge in un imprecisato futuro abbia piantate delle profonde radici nella nostra attualità. In tutto questo probabilmente sarà ancora una volta l’arte a salvarci. “Il disegno è una cosa santa, il talento è da proteggere“: disegnare purifica ogni atrocità, e tutto ciò che rientra nell’estro deve essere preservato, anche a costo di mettere costantemente in discussione la propria persona, quasi per proteggerla.
In conclusione, prendendo in prestito le parole di Nicola Lagioia, Gipi – a cui è stato dato compito di creare il prossimo manifesto del Salone del Libro di Torino – rimane un punto di riferimento per chi racconta storie in Italia, non solo per gli autori di fumetti. La sala gremita del Circolo lo ha confermato ancora una volta.