Saliscendi emozionali tra elettronica e violoncello nel cantautorato eccentrico delle nostrane Kitchen Machine.
Mattia Nesto – Le Kitchen Machine nascono dall’incontro la cantautrice e producer romana Chiarastella Calconi e la violoncellista e cantante trentina Adele Pardi. Mercoledì 1° febbraio si esibiranno presso L’Altro Spazio di Bologna in Via Nazario Sauro 24F, nell’ambito della rassegna di concerti “La Fabbrica Live”.
Abbiamo raggiunto al telefono Chiaristella per farci dire due cose in più su questo particolarissimo duo.
Una producer romana, Chiarastella Calconi ed una a violoncellista e cantante trentina Adele Pardi, in una parola le Kitchen Machine: ma come vi siete conosciute?
“Tutto merito di un’amica in comune, Carmen Giordano. Con le tre-quattro anni fa parlavo molto di un progetto che volevo imbastire, ovvero coniugare la mia esperienza di producer di musica elettronica con una cantante/artista dalla formazione più classica, magari acustica anche. Carmen non mi ha fatto neppure finire la frase e ha fatto il nome di Adele. In men che non si dica siamo diventato un duo che ha fatto un album: miracoli dell’amicizia!”
La musica classica applicata alla pop-music sta vivendo, da qualche anno a questa parte, una vera e propria epoca d’oro, come ci conferma il successo strepitoso di gruppi quali 2Cellos od anche Clear Bandit: che cosa hanno di diverso e, perché no, di simile le Kitchen Machine?
“Guarda ti confesso che è una domanda che anche noi ci siamo fatte molte volte. Voglio dire, eravamo e siamo ben consce di avere intrapreso un percorso già battuto da altri, l’esempio di Björk, tanto per fare un nome da niente, parla chiaro: unire la musica elettronica con gli archi, seppur non sia il genere più battuto è anche un territorio già esplorato di altri. Detto questo, almeno io spero, venga fuori anche il nostro animo cantautoriale, di un cantautorato un po’ anomalo: non il classico con la chitarra e tutto in acustico, ma un pochetto più eccentrico. Ma in fondo questo siamo noi: un po’ eccentriche. E questo, spero, è anche un po’ il nostro bello!”
“26, the plaza apartmentz, Venezia, Hawaii” è il vostro primo album: innanzi tutto come vi è venuto in mente un titolo così figo? Da un lato “La dote”, molto danzereccia e con una paccata di groove, dall’altra un pezzo come “Le infermiere”, quasi una sessione di chamber-music: come fare per tenere unite insieme queste due anime diverse, ammesso, e non concesso, sia anime differenti?
“L’idea era quello di associare degli indirizzi paradossali, impossibili eppure, in qualche modo, legati alla nostra comune esperienza. Il fatto di avere registrato il disco un po’ a Roma, specie nelle prime battute, poi a Trento e quindi, per quanto concerne i missaggi, avere lavorato tra l’Italia e Dublino, dove io mi sono trasferita da qualche tempo, ha riflettuto sulla scelta del titolo. Questo album è un album che ci piacerebbe possa essere inteso come qualcosa di colorato, di molto colorato, con tutti i colori di cui siamo composte e che siamo in grado di donare all’ascoltatore. Anime che sono bene espresse dalle canzoni che hai citato tu e che ci portano anche alla scelta, pensata appositamente per i live, di proporre magari una canzone tutta aulica e sognante cantata da Adele e poi, subito dopo, arrivare io con la mia cassa dance. Ecco ci piacciono i contrasti.”
Avete musicato lo spettacolo “1914 Terra di nessuno”, debuttando con il coro maschile Sant’Ilario al Teatro Zandonai di Rovereto e presentandolo il 19 giugno scorso, in occasione delle Feste Virgiliane, vi siete esibite in Piazza Cesare Battisti a Trento: cosa ha significato, mentre si stava realizzando un disco, diciamo così, pop, doversi occupare anche delle musiche di uno spettacolo teatrale?
“In realtà la colonna sonora dello spettacolo ci è stata richiesta nell’intervallo tra la pubblicazione del nostro primo ep e l’inizio dei primi, per così dire, vagiti dell’album. Per noi è stato un momento creativo eccezionale quello di poter musicare uno spettacolo così particolare. Per altro non ti dico l’emozione di avere avuto la possibilità di dividere il palco con un coro alpino, per di più così affiatato. Canzoni come “Monti Scarpazi” o la già citata “Le infermiere” vengono proprio da lì ma le abbiamo sentite, sin da subito, talmente nostre che le abbiamo volute riproporre.”
Avete scritto che “il manifesto programmatico delle Kitchen Machine” è racchiuso in “Kitchen outro”, l’ultima canzone del vostro album: perché?
“Beh guarda in quella canzone ci sono le nostre voci che s’intrecciano, si inseguono, cambiano velocità, gli intarsi di archi e la presenza dell’elettronica più marcata. Insomma ci siamo noi e questo credo che sia molto importante. Poi il pezzo è nato come una sorta di sigla degli spettacoli delle Kitchen Machine e il passo da sigla a, inno, è breve. Un po’ come la vita, giusto per esagerare con i concetti, ci piace pensare che questo album sia un saliscendi emozionale: in un posto della Terra si soffre e si fatica e magari da un’altra parte si fa festa. Senza i contrasti non c’è vita!”