[REPORT] Elvira: fenomenologia del sentimento purissimo | Teatro Bellini

Il 24 Gennaio il palcoscenico del Teatro Bellini di Napoli ha ospitato Toni Servillo, per la prima dello spettacolo “Elvira” di cui egli stesso è direttore e interprete.

di Anna Maria Schirano – Piéce scritta da Brigitte Jacques sulle sette lezioni che Jouvet tenne a Parigi alla sua allieva Claudia tra il febbraio e il settembre del 1940, “Elvira” non è altro che la rappresentazione della seconda scena del “Don Giovanni” di Moliére, interpretata dall’allieva Claudia nel personaggio principale. Lo spettacolo firmato da Toni Servillo consiste nella prova dell’incontro tra Donna Elvira e Don Giovanni, durante il quale ella comunica il suo amore e la sua forte preoccupazione. Il pubblico si ritrova in un teatro chiuso ad origliare, osservando tra platea e proscenio il maestro e la sua allieva nel momento della creazione del personaggio. La stessa scena, ripetuta più volte durante tutto il corso dello spettacolo, introduce lo spettatore nel mondo del Teatro, quello dei sacrifici e della fatica, della passione grande, dei dubbi e del senso di inappropriatezza che spesso prendono piede di pari passo con le quotidiane difficoltà dell’artista, quello del sentimento, obiettivo ultimo nonché motore del lavoro stesso dell’attore.

“Elvira”, descritta come fenomenologia del sentimento purissimo, è un mezzo attraverso il quale Toni Servillo, nei panni del maestro, spiega con estremo ardore quanto fondamentale sia per un attore generare il proprio personaggio dal sentimento, confondendosi con esso e con le sue emozioni. Le parole vengono così prima pronunciate dal maestro alla sua studentessa, che a sua volta le ripete e le ripete ancora, fino a che non riuscirà nell’ardua e faticosa impresa del far uscire il personaggio di Elvira dal più profondo del suo sentimento. Il tormento e la successiva estasi di Elvira vanno di pari passo con il tormento di Claudia, sottoposta alla guida rigorosa, esigente e a tratti maniacale di Jouvet, qui Toni Servillo.

Sul palco del Bellini Petra Valentini non è altro che Claudia/Elvira, così come Francesco Marino non è altro che Octave/Don Giovanni. Il labirinto di generazione interiore del personaggio ha come sola via d’uscita il raggiungimento della perfezione voluta. La scenografia è estremamente minimale, occupata quasi esclusivamente dai personaggi, con le prime due file della platea coperte da un telo bianco, al fine di dare ancora una volta l’idea di un teatro chiuso, separato dagli spettatori, lì presenti a spiare le prove. Durante le lezioni di Jouvet alla sua allieva correva il 1940 e la Parigi dell’epoca attraversava un delicato momento storico, in quanto occupata dai nazisti. All’attrice, Paula Dehelly, venne proibito di calcare le scene, in quanto ebrea. Charlotte Delbo, che stenografò le sette lezioni, per la sua appartenenza alla resistenza fu deportata ad Auschwitz, da cui fortunatamente riuscì a tornare. Lo spettatore diventa testimone di una relazione maieutica, della fatica del lavoro dell’attore messa in scena in maniera eccellente da Toni Servillo servendosi delle parole dell’attore francese, omaggiato come l’Eduardo della Senna. Uno spettacolo che ogni attore così come ogni spettatore ed amante del teatro dovrebbe vedere, per comprendere a pieno il significato del lavoro dell’artista, assaporarne fino in fondo la grandezza ed apprezzarne la dedizione.