Trump: istruzioni per l’uso

Trump si insediato ufficialmente come 45° presidente degli Stati Uniti. Al Circolo dei lettori vengono chiarite le perplessità riguardo al suo mandato. Cosa dobbiamo aspettarci?

Matteo Billia  –  Che la campagna elettorale di Trump, dal punto di vista dei mezzi e dell’operato sia stata in tutto e per tutto un tuffo nel passato degli anni ’80, e che entrambi i candidati abbiano commesso errori strategici è fuor di dubbio. Gli errori madornali di Trump tuttavia (basti pensare ai suoi commenti sulle donne, e allo staff tecnico molto più ristretto e incompetente rispetto a quello della Clinton), hanno portato ad un esito per i più imprevisto. Ma se si pensa che molte statistiche indicavano la percentuale della sua vittoria del 30%, non era poi tanto improbabile.

Lo scorso 18 gennaio, al Circolo dei lettori di Torino, Francesco Costa, vicedirettore de “Il Post”, Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco (Youtrend), hanno spiegato chiaramente cosa è realmente avvenuto durante queste ultime elezioni in America, esponendo una realtà dei fatti non troppo di parte, e rincuorando anche i più scontenti.

L’incontro avvenuto, facente parte di un programma più ampio volto a chiarire molti aspetti della politica internazionale (potete iscrivervi alla newsletter per avere comunicazioni più dettagliate), ha ridimensionato le paure e chiarito i fatti, in un modo in cui spesso i media tradizionali non sono in grado di fare.

Francesco Costa ha tenuto gran parte del discorso, spesso dimostrando una convinzione forse fin troppo ostinata su alcuni argomenti, seguito dagli interventi interessanti di Lorenzo, e dalle osservazioni estremamente acute di Giovanni.

Innanzitutto si potrebbe dire che la campagna elettorale di Trump ha un “elemento estraneo” che potrebbe aver influenzato una parte dell’elettorato che precedentemente aveva votato per Obama. I discorsi alla base della sua campagna, se si eccettua i provvedimenti verbali bellicosi nei confronti del Medioriente (la cui messa in pratica è ancora da verificare), potrebbero essere messi in bocca a qualunque candidato della parte avversa, e facendo un piccolo sforzo, anche agli esponenti della nostra sinistra (in particolare populista) italiana.
Ciò che ha contraddistinto la sua campagna è stato un sentimento di insofferenza nei confronti dell’establishment e del politically correct, una tendenza questa, comunemente presente in scala europea e statunitense. Spesso Trump ha opposto la sua politica ad una elite mondiale che non ha nessun riguardo per i diritti dei ceti medi e dei lavoratori. La politica di Trump è essenzialmente isolazionista e contro la globalizzazione.
Così sono entrati a far parte dei suoi elettori i bianchi presenti nelle periferie, in particolare i colpiti dalla crisi finanziaria che ha portato alla chiusura delle fabbriche nel Midwest.

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D’altra parte la vittoria di Trump è stata anche portata da alcuni eventi fortuiti, come la vittoria inaspettata in Iowa. La Clinton, invece, deve in parte la sua sconfitta alla strategia adottata: ha dato infatti per scontata la sua vittoria in alcuni paesi, mentre forse non lo era, e come ha fatto notare Giovanni Diamanti, la mancanza di uno slogan significativo ha avuto le sue ripercussioni. Basti pensare al discorso di Obama passato poi alla storia, a quel “Yes we can” che pronunciato in vista di una quasi certa sconfitta, ha ribaltato le sorti delle elezioni. Obama aveva rischiato di essere una meteora, una delle possibili realtà ignorate dalla storia.

Trump, d’altro canto, sembra incarnare lo spirito del tempo, come fa notare Francesco Costa. Di un tempo in cui, come accennato prima, le sinistre dell’occidente sono in crisi. Ma come si spiega che, nonostante un difetto di circa 3 milioni di voti, Trump abbia vinto le elezioni?

La risposta sta nei grandi elettori, il cui numero – diverso per ogni stato – ha assicurato la sua vittoria. Quindi, il fatto di aver vinto per pochissimi voti in alcuni stati, non conta assolutamente nulla. Lorenzo ribadisce il carattere fortemente democratico di questo metodo, che nonostante abbia portato ad uno dei casi di vittoria più strani della storia, dà voce a molte zone dell’America che diversamente non sarebbero prese in considerazione.

Dopo aver analizzato altri aspetti della campagna di Trump, come il suo totale disinteressamento nel confronti dei big data, i tre dibattiti persi, i suoi dubbi rapporti con la Russia di cui già si parlava prima delle sue elezioni (e che probabilmente saranno molto più morbidi rispetto ad altri presidenti), la politica estera che dovrebbe risultare molto meno aggressiva e guerrafondaia rispetto a quella degli esponenti democratici, Lorenzo, Giovanni e Francesco hanno risposto alle domande di alcuni sospettosi riguardo il futuro con Trump. Tutti e tre risultavano d’accordo sul fatto che risulta comunque presto per allarmarsi, e la politica di Trump non sarà probabilmente quel disastro che molti profetizzano in maniera lapidaria. 

Illustrazione di copertina credits: Danny Hellman