10 pezzi +1 per svarionare insieme ai Flaming Lips

Lunedì 30 gennaio i Flaming Lips suoneranno all’Alcatraz di Milano per la loro unica data italiana: si tratta di una band che ha saputo continuamente reinventarsi, dagli esordi psych fino alla recente collaborazione con Miley Cyrus.

di Silvio Bernardi – Fare ordine in una discografia variegata e imponente come quella dei Flaming Lips è un’impresa piuttosto ardua, tanto più che ormai i tempi dei loro esordi sono lontani trent’anni e non sono certo il classico gruppo che dopo uno o due dischi azzeccati si limita a fare il compitino.

Abbiamo tentato di compilare una mini-guida all’ascolto che attraversi tutto l’arco temporale della carriera della formazione guidata da Wayne Coyne, in attesa di poterli ascoltare dal vivo lunedì 30 gennaio all’Alcatraz di Milano (unica data italiana) nell’evento organizzato da Barley Arts. Ecco dunque dieci chicche (più una) da ascoltare per entrare nel loro strano e coloratissimo mondo.

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“Staring at sound/With You II” da “Hear It Is”, 1986

Il percorso musicale dei Flaming Lips parte abbastanza in sordina, con un sound non lontano dalle band neopsichedeliche del Paisley Underground. Questo pezzo chiude il primo full-length “Hear It Is”, e mette insieme due grandi pregi della band che perfezionerà nei successivi lavori: i contagiosi riff di chitarra, che strizzano l’occhio anche all’hard rock, ovviamente rifritto in olio acido (“Staring at sound”), e (con “With You”, ripresa del pezzo omonimo) l’amore per le ballatone, melodiche ma sempre un po’ sghembe, volutamente, che nelle fasi successive della carriera li porterà in territori qui appena esplorati.

 “UFO Story” da “Telepathic Surgery”, 1989

Con “Telepathic Surgery” la sperimentazione diventa una componente più decisa nei lavori dei FL, e un bell’esempio è questa “UFO Story”, che tanto per non farsi mancare nulla comincia con due minuti abbondanti di chiacchiere, poi finalmente via a una bella bordata di rumore, batteria lasciata andare libera e chitarre che si squagliano una nel feedback dell’altra, per altri due minuti. E poi il rumore finisce ed entra il pianoforte, con una minisonata di quelle che farebbero felici tanti registi di cinema. Ha tre temi, un suo sviluppo emozionante, e chiude nella maniera più classica possibile. Insomma, cambiamo tutto perché nulla cambi.

“Shine on Sweet Jesus With Me” da “In a Priest Driven Ambulance”, 1990

 Arduo scegliere un brano da quello che è probabilmente il capolavoro dei Flaming Lips, di cui piuttosto andrebbe consigliato l’ascolto integrale. Però una scelta va fatta e allora andiamo su questa “Shine”, brano di apertura che è già una dichiarazione di intenti, con quel vocione gospel-freak che sembra uscire dallo Zappa più irriverente, la chitarra in feedback sparata, la melodia ancora una volta super che se ne frega altamente di essere intonata e le distrazioni psichedeliche che deflagrano in ogni dove, per poi tornare sulla strada principale e ricominciare ancora a deflagrare.

“Halloween on the Barbary Coast” da “Hit To Death In The Future Head”, 1992

Un altro riff di chitarra da applausi a scena aperta, che ammicca neanche troppo nascostamente ai raga tanto cari a George Harrison. Manco a dirlo annacquati in una distorsione soverchiante che, in anni in cui il grunge la fa da padrone, consente a Coyne e soci di essere sempre à-la page senza rinnegare se stessi. Il cantato segue una linea melodica altrettanto forte, che non si incrocia mai con le chitarre e prepara per l’arrivo dell’azzeccatissimo ritornello. Un lavoro di incastro assolutamente certosino.

“She Don’t Use Jelly” da “Transmissions From The Satellite Heart”, 1993

Una band folle come i Flaming Lips ha avuto un singolo di successo? Ebbene sì. Il pezzo in questione è questa “She Don’t Use Jelly”: suona sicuramente più ordinaria rispetto ad altri loro brani, ma ciò non toglie che funzioni alla grande. Tant’è che li ha portati ad apparire persino in un episodio di “Beverly Hills 90210” (in quegli anni, il telefilm top dei top per i teenager). C’è in giro anche una bella cover di quel manico di Ben Folds.

“Riding to Work in the Year 2025 (You’re Invisible Now)” da “Zaireeka”, 1997

Qui entriamo nel campo delle genialate: “Zaireeka” è un disco che i nostri pubblicano nel 1997, che si compone di quattro dischi da ascoltare contemporaneamente su quattro lettori diversi, perché composti delle varie tracce separate. Ovviamente farli partire insieme è praticamente impossibile, in questo modo l’esperienza di ascolto sarà unica ogni volta. C’è che chi comunque ha provato a sincronizzarli, prima che gli stessi Flaming Lips facessero finalmente uscire, qualche tempo dopo, “Zaireeka” in un unico cd. L’effetto è abbastanza straniante anche ad ascoltarlo così, ma ciò non toglie che contenga ottime canzoni: “Riding…” è una di queste.

“Race For the Prize” da “Soft Bulletin”, 1999

E dopo “Zaireeka”, il vento cambia. Il pop entra di peso nel sound dei FL: basta sentire gli arrangiamenti di questa “Race For the Prize”, affogata in un arrangiamento di archi, tastiere, theremin che uno si aspetterebbe più dalla Electric Light Orchestra. Ai tempi, probabilmente, l’effetto che l’album “The Soft Bulletin” deve aver fatto sarà stato simile alla svolta dei Tame Impala col terzo disco. Quindi, semplicemente, divide: di oggettivo qui però c’è una melodia killer, e non a caso il pezzo è diventato uno dei cavalli di battaglia dei concerti, novanta volte su cento collocato in apertura.

“Do You Realize??” da “Yoshimi Battles The Pink Robots”, 2002

Se cerchi su YouTube e Spotify i Flaming Lips è la prima canzone che viene fuori, e infatti è sicuramente la più nota del loro periodo pop: è comparsa in vari spot americani e nel 2009 è persino diventata l’inno rock ufficiale (WTF?!) dello stato dell’Oklahoma. Ancora archi, cori celestiali e una progressione melodica più convenzionale del solito: ma solo una band come loro poteva riuscire a trasformare in una hit un brano il cui verso chiave del ritornello recita “Do you realize / That everyone, you know / One day, will die”. E te lo dice con un sorriso sardonico sulle labbra.

“I Found a Star On The Ground” da “Strobo Trip”, 2011

Ecco, fai una guida (pur parzialissima) alla produzione dei Flaming Lips e vuoi non metterci “il pezzo di sei ore”? Tra virgolette nel senso che ormai è conosciuto così, non che non dura veramente sei ore! 360 minuti secchi di deliri psichedelici, distorsioni, tribalismi, flash vocali e chitarristici, pensati per un ascolto più frammentario ma che si possono prendere anche come esperienze sovrannaturali da sciropparsi tutte in una volta. Vedi sempre alla voce: genialate.

“The Castle” da “Oczy Mlody”, 2017

Il 30 gennaio i FL saranno all’Alcatraz di Milano per un’unica data, e sicuramente suoneranno qualche pezzo del loro nuovo disco, uscito proprio in questi giorni. Il primo singolo, che l’aveva anticipato qualche mese fa, è questo “The Castle”: tastieroni e vocoder, un languido arpeggio di chitarra soffuso dall’eco, loop, tempi dilatati e tono malinconico da fairytale in acido. Biglietto da visita assolutamente niente male per “Oczy Mlody”.

Miley Cyrus – “Doooo It” da “Miley Cyrus & Her Dead Petz”, 2015

Siccome i FL sono un gruppo postmoderno, che non ha paura di nulla men che meno di compromettersi agli occhi dei fan duri e puri, nei ritagli di tempo fra un disco e l’altro (ma quali?) si dedicano ai divertissement, come per esempio rifare completamente “The Dark Side Of The Moon” o “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts’ Club Band”. Proprio lavorando a quest’ultimo sono riusciti a coinvolgere Miley Cyrus, e la collaborazione ha ingranato talmente tanto che hanno deciso di produrre e suonare il di lei nuovo album. Ovviamente tuoni e fulmini dall’etichetta RCA che si rifiuta di finanziarlo, ma Miley e i nostri dritti per la propria strada, ed ecco “Miley Cyrus & Her Dead Petz”: basta dare un’occhiata al video di “Dooo It” per farsi un’idea del progetto, in cui dire che si senta la mano di Coyne e soci è piuttosto riduttivo!