“The Weak” è l’esordio di Lorenzo Mazzilli aka The Giant Undertow: abbiamo chiacchierato un po’ con lui del suo disco.
di Erika Zolli – Incontriamo Lorenzo Mazzilli, veneto della bassa padovana trapiantato a Bologna, dopo il suo live al Circolo Gagarin di Busto Arsizio: è qui pronto a parlarmi del suo ultimo progetto The Giant Undertow. L’atmosfera sospesa delle sue canzoni prende vita da una voce profonda e sabbiosa, e il tutto sfocia in un deep folk che onora i maestri americani. “The Weak” è il suo primo lavoro discografico, nato dalla collaborazione con diverse etichette: In The Bottle Records, Shyrec, Indipendead, PoPe V e la canadese Death Roots Syndacate.
Il nome del tuo ultimo progetto “The Giant Undertow” riprende il finale di “I’m the ocean” di Neil Young, contenuta nell’album Mirror Ball. Quanto questa immagine metaforicamente si adatta al mood del tuo nuovo album?
“Il finale di quel pezzo “I’m the ocean, I’m the giant undertow” mi piace particolarmente. L’immagine di questa risacca gigante, di questo moto di ritorno dell’onda che urta contro un ostacolo e torna indietro, è una visione oscura di un qualcosa che è rimasto in sospeso. Qui l’oceano, che è sempre stato inteso come bestiale, è rappresentato come un’enorme risacca. A questa immagine di estrema potenza ho voluto contrapporre Il nome del disco “The Weak”, il debole, che in questo caso sono io e può essere anche chiunque altro. Per chiudere il cerchio, in spagnolo la traduzione di “risacca” significa anche hangover, a volte prima di fare i concerti da solo, la sera prima, se non ho altro da fare, cerco di ubriacarmi per non pensare alla tensione del giorno dopo (che poi si sa, se il giorno dopo sei reduce da un’ubriacatura violenta la tua voce ti ringrazierà)”.
In “The Weak” ci sono otto brani che raccontano otto storie a metà, dove l’altra la deve immaginare chi ascolta. Un ipotetico ascoltatore che si trova davanti al tuo album viene immediatamente a contatto col suono, con le sensazioni e in seguito col cripticismo del testo. Qual è il rapporto tra suono e significato in questo album?
“I miei pezzi generalmente nascono dal suono legato ad un’emozione. Parto con una melodia vocale, con suoni che non sono parole, in seguito scrivo le parole separatamente e più tardi adatto il testo giusto alla proto canzone che ho pronta. Cerco di fare un mix tra quello che ho scritto e i suoni che ho creato prima. Anche per questo i miei pezzi non sono delle storie vere e proprie in quanto ti puoi trovare una parola che in quel contesto può non avere senso, ma che ho voluto tenere per mantenere quell’esatto suono che volevo fin dall’inizio. Per tre quarti dei pezzi di “The Weak”, che sono pezzi ormai vecchi considerando che il primo brano “Lone” l’ho fatto tre anni fa e l’ultimo “Where is my Bedroom” un anno fa, sono partito anche qui dal suono, il testo è venuto dopo, lo scrivevo avendo già in mente la melodia. Per le canzoni che sono venute in seguito, ho avuto un modo diverso di crearle. Do molta importanza al suono, il testo è sicuramente importante, ma per me è appena sotto alla musica”.
La “debolezza” del titolo dell’album “the Weak” è collegata anche a una sorta di spaesamento?
“Sicuramente si. Prima di questo progetto solista ho suonato in varie band, cosa che continuerò a fare in parallelo. Quando sei da solo, quando hai un progetto unicamente tuo, capisci quanto sia difficoltosa l’auto promozione. Farlo attraverso una band è normale, invece quando sei solo tu rischi di passare irrimediabilmente per essere una persona boriosa, proprio per questo motivo mi capita di stare un po’ indietro. C’è gente che spesso mi chiede perché non mi promuovo a dovere. Questa è decisamente una debolezza che non so gestire in modo naturale come solista”.
Tre album che consiglieresti di ascoltare assolutamente?
L’album che avevo deciso sarebbe stato il mio album preferito già a suo tempo e che lo sarebbe stato da lì in avanti è “Damaged” dei Black Flag. Ultimamente sto ascoltando il disco di John Fehey “Dance of Death & Other Plantation Favorites”. Il terzo invece, che racchiude in sè sia romanticismo che psichedelia, è “Hot Dreams” dei Timber Timbre.