Teho Teardo e Blixa Bargeld tornano a Catania per il decimo appuntamento della 42a Stagione Concertistica organizzata dall’Associazione Musicale Etnea. Il Cineteatro Odeon li accoglie riempiendosi copiosamente.
di Simona Strano – Nerissimo come il concept che avvolge l’album, come gli abiti degli 8 musicisti sul palco, come il violoncello solista: si inizia con la title track in italiano. Il duo è accompagnato da Martina Bertoni al violoncello e Gabriele Coen al clarinetto basso. Alle loro spalle il quartetto d’archi Cesar Frank.
Bargeld è addolcito nella pronuncia e nei toni della sua voce in italiano. Scarno l’arrangiamento con il violoncello della Bertoni, la chitarra e le campane di Teardo. L’elettronica dell’armamentario sul lato destro del palcoscenico fa la sua comparsa con The Beast: tra violoncello e incursioni di clarinetto c’è un archetto elettronico per la sfavillante Jaguar di Teardo. I riconoscibilissimi versi da gabbiano del frontman fanno il resto in una canzone-specchio: la bestia segue e imita, attentando alla sua gola, il protagonista, rassegnato dopo un’orribile fuga dal suo alter-ego.
Mi scusi è accolta da un applauso scrosciante. Proprio qui iniziano a farsi assai persistenti le basi lanciate da Teardo mentre costruisce delicati tappeti sonori con la sua chitarra. La presenza degli archi nelle stesse basi e l’assenza del quartetto reale (che si trova però sul palco coi musicisti fermi a tenere gli strumenti sulle ginocchia) non convince molti dei presenti. Anche per questo motivo le atmosfere del disco tardano un po’ ad arrivare. Ma il quartetto si unirà presto alla Bertoni che, insieme a Coen, è una vera e propria macchina da guerra. Entrambi precisissimi.
Una breve introduzione su Caetano Veloso è d’obbligo prima di iniziare con The Empty Boat, cover del compositore brasiliano già proposta dal duo nell’EP “Spring” di qualche anno fa. È questo il primo momento del live in cui ci si rende conto dello stile di composizione (che ricorda tanto le soundtrack cinematografiche) del buon Teho che suonando trova anche il tempo di dirigere gli archi.
Bargeld si consulta brevemente sulla traduzione di “Animelle” in italiano, riassunto con un duro “guts” prima di iniziare. Il martelletto delle campane batte sulla chitarra. I bassi sono assordanti e di colpo si piomba nel silenzio con la voce che si contrappone al violoncello: una danza vera e propria in cui Bargeld e lo strumento sono entrambi – ancora una volta – nerissimi e soli. “Cantano” insieme, sublimando in una personificazione sempre più evidente del caro Blixa con quel pezzo di legno alla sua sinistra. Vortici di violini e “Vieni, vieni, stai, stai […] Devi essere gentile con gli spiriti”. Tra rotative meccaniche metalliche e reminiscenze Industrial che solo chi ha fatto la storia può usare con leggerezza, fa capolino l’armonica a bocca. Le atmosfere si fanno sempre più oscure. Teardo gioca col delay in un botta e risposta con la Bertoni; Bargeld arbitra il duello. Still smiling è perturbante nel finale mentre è sempre più chiaro come violoncello e clarinetto rappresentino le controparti speculari di Bargeld e Teardo. È proprio quest’ultimo a far vibrare copiosamente l’intero teatro con l’intro di Axolotl: vocalizzi acquosi e fruscii, effetto Doppler sul microfono e siamo insieme a Bargeld in apnea, proprio come la salamandra messicana costretta a passare tutta la vita nel corpo di un neonato. La Città Eterna offre ispirazione e nasce così, sulla terrazza di un hotel, metà di Come up and see me; guardando distese di tetti a vista d’occhio. L’idea della “foresta di antenne” rimane impressa mentre Teardo dirige i violini chiudendo un cerchio con le mani, rallentandone i trilli. Una nota, una sola, riapre i giochi.
La scaletta si chiude con una Nerissimo, stavolta in inglese. La voce di Bargeld cambia di nuovo colore e sembra donare armonia nel confronto con gli archi (stavolta tutti presenti). Il clarinetto di Coen sovrasta e compensa gli alti mentre Teardo diventa più rumoroso e molesto nei movimenti. La canzone mostra il vero carattere rispetto alla versione scarna suonata prima. Alla fine i due non dicono una parola e si inchinano di fronte al pubblico. Escono dal palco seguiti da tutti i musicisti, uno ad uno.
Saranno cinque i minuti di applausi ininterrotti prima del ritorno sulla scena con Nocturnalie (bilingue) e Soli si muore (cover del ’69 di Patrick Samson che, guardacaso, proprio l’anno precedente pubblicava il disco “Sono Nero”). Bargeld balla raggiungendo il suo bicchiere poggiato sull’amplificatore e il turbinio noise diventa un pizzicato di violoncello minimale. Infine rientra il quartetto Cesar Frank per Una vita tranquilla, introdotta da un’ironica presentazione del brano, prima della conclusione con la teatrale Defenestrazioni.
La musica sale, Teardo si dimena. Bargeld declama mentre gli effetti della base salgono e vanno in sync perfetto col live , fino a ritornare sulla Terra.
E così “Giubilo, Clamore” e buonanotte.