Nel tugurio mentale di Danny Brown 

Il rapper di Detroit pubblica su Warp il suo lavoro più ambizioso e riuscito: uno spiazzante concept album che frulla (g)rime, distopia e droga. 

Danny Brown – “Atrocity Exhibition” 

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I’m sweating like I’m in a rave
Been in this room for 3 days
Think I’m hearing voices
Paranoid and think I’m seeing ghost-es, oh shit
Phone keep ringing but I cut that shit off
Only time I use it when I tell the dealer drop it off
 
di Lorenzo Giannetti — Sudicio come ad un rave party,  in preda al delirio della dipendenza, circondato da voci e fantasmi. Sin dai primi versi di “Atrocity Exhibition”, Danny Brown ci trascina nel suo freak show fatto di eccessi d’ogni tipo. Una cronaca senza filtri. Una rocambolesca discesa agli inferi. Quello che vuole mostrarci, non è tanto il ghetto: quello lo hanno già fatto in tanti. Il degrado suburbano è lì fuori, a pochi metri, ma Danny è chiuso nel suo personalissimo tugurio mentale.
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Così, “Atrocity Exhibition” diventa un misto tra il diario di bordo dei trip causati dal quotidiano mix di droghe assunte e uno zibaldone delle ossessioni del rapper sdentato (il sesso e i soldi, ok, ma anche l’escalation di violenza nella società disumanizzata che abitiamo). Del resto il titolo rimanda – oltre che all’indimenticabile rituale voodoo dell’omonima traccia contenuta in Closer dei Joy Division – a “La mostra delle atrocità” di J.G. Ballard, sorta di catalogo distopico delle ossessioni del Novecento.
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Brown riesce ad in(can)alare queste suggestioni in un concept album ambizioso e spiazzante. Il disco si avvicina più alle sonorità borderline del vecchio “XXX” che al filtro EDM del precedente lavoro “Old” e viene pubblicato dalla prestigiosa label britannica Warp (in questo senso Brown perfeziona sempre più il suo approccio ibrido tra hip hop americano e grime inglese).
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Basta il trittico “Pneumonia“, “Really Doe” e “When It Rain (primi tre singoli estratti) per rendere l’dea: è come trovarsi davanti ad un murales apocrifo di Hieronymus Bosch. Danny declama invasato, come una marionetta assassina; con quella voce inconfondibile e grottesca, quel flow altalenante, quei movimenti scomposti. Ruba la scena a tutti i big chiamati a raccolta per i featuring, da Kendrick a B-Real, passando per Earl Sweatshirt.
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Per togliersi dalla testa le basi del disco, poi, servirebbe un esorcismo: tappeti sonori sporchi ma curati nei minimi dettagli, minacciosi e irresistibili, con sample sinistri e urticanti che squarciano il buio come lame, tra incubi industriali e groove cyber-punk. In sottofondo, sembra di sentire la perenne risata malefica del nostro anti-eroe del 2016, sotto quel groviglio di capelli crespi e gli abiti sgargianti: un Joker With Attitude (“Ain’t it funny?” se la ghigna lui…) nonché uno dei migliori rapper in circolazione.
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