Quasi 10 mila persone per la nona edizione del festival, la seconda a Torino dopo l’incubazione nel vercellese: Jazz:Re:Found si conferma una realtà abbastanza atipica nel panorama italiano.
di Lorenzo Giannetti – Pochi festival in Italia riescono a radunare sotto lo stesso tetto – come in una famiglia allargata che si riscopre ogni volta più numerosa – generi, stili, persone e suggestioni (apparentemente) distanti fra loro, mettendo in evidenza similitudini, collegamenti, intersezioni e sinergie. Tutto questo senza risultare un’accozzaglia informe e priva di identità.
Jazz:Re:Found invece dimostra di avere una sua personalità e sembra riuscire a trasmetterla sempre meglio edizione dopo edizione. Dà la sensazione di essere un festival fatto col cuore: non (ancora) perfetto ma dannatamente vivo e pulsante. Un festival che sembra trasmettere una passione bruciante, un’euforica (in)coscienza, una purezza disarmante.
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Quello che bonariamente potrebbe essere etichettato come un festival “fuori moda” – all’insegna della nostalgia, dell’amarcord e dell’old school – si configura invece come un festival “fuori dalle mode”, lontano dalla ricerca spasmodica del trend del momento o del futuro a tutti i costi; e più vicino ad un’idea di ricerca musicale trasversale alle epoche e ai generi.
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Sparigliare le carte, in quest’ottica, è una missione quanto mai virtuosa: ce ne accorgiamo nei salotti (e nelle piazze) borghesi dove viene ancora veicolata un’idea di jazz didascalica e vetusta (quando non dozzinale), nella miopia di un certo pubblico indie-rock anacronistico e analfabeta in materia di black music (salvo endorsement last minute, ovviamente…) o in una scena rap refrattaria ad andare a fondo nella riscoperta delle proprie radici in favore di uno swag di superficie.
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Forse proprio per questa sua “amalgama” forzata (dall’esterno) e perfettamente naturale (dall’interno), Jazz:Re:Found è qualcosa di imprevedibile, capace di uscire dal recinto dell’ordinario, all’avventura. Nel vortice del groove puoi trovare giovani e meno giovani, clubbers incalliti e famiglie con bambini, rapper barricaderi e virtuosi da Conservatorio.
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E così capita di osservare a bordo palco gli mc della rap battle tributo a The Get Down “scapocciare” sulle note della jam di Youssef Kamaal, quasi pronti a sputar fuori le rime direttamente sulla quella “base” cosmic-jazz suonata dal vivo. O ancora di vedere i breakers ritagliarsi autonomamente il loro spazio in mezzo alla pista durante il ghettoblaster di Grandmaster Flash.
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Ci sono poi tanti, tantissimi set da antologia (citiamo Sadar Bahar e Soichi Terada su tutti), capaci di alimentare la vena più curiosa di un pubblico festaiolo e nerd in egual misura: ecco allora le persone incollate al cellulare non per scattarsi selfie o controllare i messaggi su Whatsapp, ma per consultare Shazam alla ricerca del pezzo della vita da riascoltare in loop a fine serata.
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Ma anche lontano dal parterre, durante i momenti di analisi e riflessione, JRF alimenta il fuoco della curiosità quasi inconsapevolmente. Ad esempio, il panel “Stay Black” si rivela – ancor più del previsto – un momento di sincera condivisione e acceso dibattito, viscerale quanto coinvolgente, così lontano da buona parte degli abbottonati talk “istituzionali”.
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Informale ma impagabile per qualità dei contenuti e attitudine nel proporli è anche la lezione di James Holden alla Scuola Holden. Potendo attingere da un repertorio estroso ed eclettico, il producer britannico – affiancato da un ensemble di percussioni e fiati – sale in cattedra con tutta la disinvoltura del fuoriclasse e finisce per regalare un set perfetto: deliziosamente affine al mood di Jazz:Re:Found. Un rituale estatico e esaltante nonché un manifesto del groove ibrido del festival, in bilico tra strumentazione classica e computer.
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E che dire della folla oceanica che si è riversata al Cap10100 per il concerto del padrino Tony Allen? Una festa così euforica e – per certi versi – inaspettata da far dimenticare avversità di questa edizione come le defezioni last minute di De La Soul e GoGo Penguin.
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Tante, dunque, le suggestioni e i significati che possono fare grande JRF. Un festival che – al netto delle 9300 presenze registrate – sembra fatto di persone e non di numeri. Detto ciò, in un’annata che sta alimentando tanti talenti nell’orbita della black music (da Solange a Childish Gambino passando per BadBadNotGood) noi i numeri li iniziamo a contare: quelli dei giorni che ci separano dalla prossima edizione di Jazz:Re:Found.
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