L’indomito talento di Christopher Doyle premiato al TFF 2016

Il Torino Film Festival omaggia col Gran Premio Torino l’eclettico fotografo giramondo con la proiezione del documentario a lui dedicato (“The Wind” diretto da Saw Tiong Guan) e la presentazione del thriller poliziesco Port of Call” di Philip Yung (del quale Doyle ha curato la fotografia). 

di Jacopo Lanotte – Con la presenza di Christopher Doyle, lunedì sera in Sala 2 al Cinema Reposi l’atmosfera si fa apparentemente scanzonata e serena. Lo stravagante e vagabondo (a giudicare dal suo racconto sembra aver visitato quasi ogni angolo del globo!) fotografo australiano ma naturalizzato cinese da anni è una figura outsider e autoironica, pur avendo lavorato con autori quali Gus Van Sant, Jim Jarmush e cineasti cinesi del calibro di Zang Yimou e Wong Kar Wai. Si apre il sipario e salutato Doyle in carne ed ossa lo ritroviamo sul grande schermo nel documentario “The Wind” a lui dedicato.

Perché se infatti il fotografo australiano-cinese dimostra simpatia e si lancia in battute divertenti, il documentario, retrospettiva sulla sua vita e carriera, induce a riflessioni ampie e profonde. Cosa sia fare cinema oggi dopo un secolo di tradizione? Perché è nato in lui il bruciante desiderio di evadere dall’Australia entrare in contatto con plurime culture mondiali ed imparare perfettamente a scrivere e a parlare il cinese? Interpretato in primo piano da Doyle, “Il Vento” è un breve flash spontaneo, frutto di un’esperienza diretta con il suo attore, la sua vita “on the road” e l’accettazione del proprio mobile ruolo sociale.

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Con “Port of Call” di cui Doyle ha curato la fotografia, le trame da thriller poliziesco, impregnano lo schermo cinematografico.

“Daap Hyut Cam Mui” il titolo cinese del film di Philip Yung, si avvicina così ad uno dei più interessanti esempi sul genere, arrivati in concorso quest’anno al TFF. Stiamo parlando di “Lao Shi/ Old Stone di Johnny Ma” (Cina/Canada, 2016) premiato nella giornata finale del festival. Anche qui un poliziotto, Hongkongese, si trova a combattere con la critica posizione lavorativa che deve ricoprire. Alienato, tormentato dai macabri delitti su cui ha indagato in passato, è prosciugato emotivamente da quelle esperienze indelebili. L’ultima delle quali, si svolge con notevole uso incrociato di analessi temporali, che la organizzano in atti cruciali. La storia di una giovane ragazza e la sua ossessione per il corpo perfetto, naufraga nell’incontro con un umile lavoratore delle zone più degradate della città. L’incubo si compie con lo svelarsi del caso, come accennato, per piccoli flashback sul loro passato. Un dramma crudo e senza sconti, che sa essere anche evidente denuncia sociale, senza lasciarsi attrarre da facili conclusioni stereotipate. Cosa che effettivamente l’ultimo cinema cinese pare dimostrare con grande competenza drammatica.

Un grazie particolare a Christopher Doyle per averci messo in contatto con quel mondo distante dalle dinamiche occidentali; come lui stesso afferma prima della proiezione di “The Wind” (che riprende il nome da lui usato come cittadino cinese, “Du Ke Feng” = Come il vento):

“Hong Kong is disappearing, China is taking this city piece by piece… this film is like a cry in the dark”

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Gran Premio Torino a Christopher Doyle e proiezione di:“The Wind” (Malesia/HK, 2016, 33’) documentario su Doyle girato da Saw Tiong Guan e “Port of Call” di Philip Yung, fotografia di Doyle (Hong Kong, 2015, 121’)