“Japan Unveiled. Viaggio nell’universo underground nipponico” è il titolo della conferenza tenuta da Pier Giorgio Girasole al Centro Sakura di Torino. Abbiamo sviscerato alcune tematiche emerse durante il confronto.
di Jacopo Lanotte — L’esperienza di Girasole (che effettivamente più che torinese potremmo ormai definire giapponese naturalizzato) arriva fin nei più oscuri meandri della società nipponica, lontano dalle spesso mistificate relazioni occidentali, tra il Kabuki cho e le scorribande motociclistiche dei Bosozuku.
Il racconto come una cronaca diaristica vivace e attuale, è il mezzo di cui Girasole si avvale sabato 19 novembre per narrare la sua storia costruita fin dalla giovane età, di ciò che secondo i sensi di un attento esploratore, appare oggi il Giappone delle megalopoli, della subcultura che ne anima i quartieri. Che siano la nota Shinjuku o le stazioni di Shibuya e Arajuku. Ci addentriamo così in un viaggio al termine della notte raggiungendo le nostalgiche e poetiche abitazioni del microcosmo “Golden Gai”.
«In Giappone ovviamente esistono pub, sedie e letti ma la tradizione permane come un’alternativa sempre disponibile»
Si apre un mondo che seppur possa apparire patinato da una cura per la forma essenziale ed immancabile nasconde un’anima spesso tormentata, contraddittoria. Sotto i flash abbaglianti della stazione di Arajuku infatti troviamo giovani ragazze pronte a rivelarci la loro particolare e self-made moda d’abbigliamento, altrove prevale la curiosità verso le mode occidentali e soprattutto americane, che i giapponesi hanno però interpretato secondo canoni estetici in cui non si annulli mai la tradizione.
Come lo stesso Pier Giorgio mi rivela in una breve intervista condotta dopo l’incontro: “E’ assolutamente vero, bere Sake sotto i ciliegi è considerato normale come mangiare inginocchiati o dormire sul tatami. In Giappone ovviamente esistono pub, sedie e letti ma la tradizione permane come un’alternativa sempre disponibile. E tutto senza vergogna di essere fuori moda.” Il rituale del Sake di cui spesso si è sentito parlare sussiste insieme alla cerimonia e alla celebrazione della fioritura dei Ciliegi primaverili.
Pure in città come Tokyo o Osaka (considerata dai giapponesi, pensate un po’, la “Napoli” del Giappone), dove i neon hanno invaso il paesaggio notturno costringendo gli abitanti a vivere una realtà alienante e spersonalizzante, il rituale ritorna, il brindisi e il “Wabi-sabi” continuano a vivere.
Ma prima di parlare più approfonditamente di ciò che l’accettazione verso il destino rappresenta, attraverso questo termine esclusivo della lingua e della cultura giapponese, torniamo tra le strade notturne per le quali il solitario traduttore torinese ci introduce fin da subito.
“Tokyo la tentacolare” è il capitolo che apre la conferenza e il racconto ci cattura proprio come i tentacoli di quel mostro luminoso. L’antica Edo (il nome passato di Tokyo) appare infatti come luogo dove plausibilmente tutto sembra potersi realizzare. La povertà non si respira, le regole del consumo sono rigidamente imposte e gli spiriti della notte vagano tra un divertimento e l’altro. Ciò che apparentemente non dimostra per nulla la capitale durante le ore diurne, accade senza troppi freni inibitori, di notte. E Girasole ammette di aver fatto esperienza anche di luoghi e situazioni di cui non avrebbe mai sospettato l’esistenza. Come il “Kabuki-Cho” il quartiere che sebbene venga dallo stesso Pier Giorgio definito a “luci rosse”, in realtà ospita parallelamente locali per tutti dove trascorrere serate tra amici. “La prostituzione effettivamente, come il gioco d’azzardo sono illegali” rivela Pier Giorgio, ma i meccanismi per evadere la regola in maniera pulita sono molteplici e ogni notte Kabuki Cho ne diventa il teatro più particolare. Basti pensare al termine “Fuzoku” usato per indicare i rapporti sessuali a pagamento ma che nel suo concetto originario significa “morale pubblica”.
Ecco quindi trasformarsi i clienti meno sospettabili in galanti corteggiatori. Perché anche qui il legame con la Storia persiste. La donna che si presta al servizio infatti non si concede direttamente al richiedente ma secondo le pratiche seduttive che questi attua nei suoi confronti, decide di accordare un secondo appuntamento (questa volta veramente sessuale) consumabile legalmente in uno dei tanti “Love Hotel” (che il film “Tokyo Love Hotel”, girato da R. Hiroki in cui alcuni amici dello stesso Girasole hanno preso parte, ben rappresenta) ai bordi della città. Simile contraddizione si scorge nel mostruoso Pachinko, dove se è vero che le sferette metalliche con cui i giocatori combattono in rocambolesche partite sotto i neon perennemente accesi (guardare “Tokyo-Ga” di Wim Wenders per rendersene conto) non costituiscono alcun oggetto di lucro, è una realtà nota il fatto che queste possano essere cambiate in tanti Yen sonanti al primo rivenditore organizzato. La legge, la forma, le apparenze sono luccicanti e sembrano non fare una grinza ma quando si vuole barare le menti più insospettabili agiscono indisturbate.
Uno dei tanti aneddoti che Girasole mi racconta personalmente dopo la conferenza di sabato riprende ancora una volta queste stranezze tipicamente nipponiche: “Ricordo che stavo bevendo la mia solita birra con un contorno di spiedini e tofu (mai bere senza mangiare in Giappone!) quando a fianco a me, in uno spazio strettissimo, si siede un signore da solo […] I giapponesi spesso si comportano in questa maniera. Dapprima apparentemente restii alla comunicazione si trasformano poi in simpaticissimi interlocutori. […] A fine serata mi allunga un biglietto da visita, altra cosa tipica del Giappone, e scopro che si tratta di uno dei dirigenti più importanti di una nota azienda. Mi invita a fargli visita. Declino perché capisco di chi si tratti ed in questi casi per i giapponesi l’invito è pura formalità. In quel momento ho capito come sia grande l’umiltà del popolo nipponico. […] nei vicoli stretti vicino alla stazione (siamo a Shinjuku) si può essere molto più rilassati e più giapponesi”. Prendiamo a soggetto i tanti Karaoke di cui l’intera città è disseminata e potremo trovare personaggi importanti dell’alta società esibirsi senza timore di essere giudicati in sperticate performance canore. Cosa che in Occidente apparrebbe quanto meno ridicola, imbarazzante.
«In Giappone ogni fenomeno è spunto per una commercializzazione estrema e quindi parlare di indie risulta un po’ complesso»
Quando poi ci s’imbatte in veri e propri uffici della Yakuza (la mafia giapponese distribuita oggi in tre forti clan tra l’area del Kansai ad Osaka e la regione del Kanto tra Nagoya e la stessa Tokyo) la contraddittorietà si presenta apertamente. E per questo non stupisce il fatto che il governo giapponese talvolta abbia ricorso ai servigi della Yakuza per assolvere compiti troppo sporchi perché se ne occupasse direttamente. Gran parte del Kabuki Cho è infatti in mano alla criminalità organizzata che oggi sta diventando sempre più violenta rispetto alle antiche tradizioni (risalenti al 1600, il periodo Edo). Dalla seconda guerra mondiale i grandi capi della mafia nipponica hanno letteralmente preso le redini di specifici circuiti affaristici legati alle attività ai bordi della legalità. Ultimamente proprio in una piccola zona del quartiere “a luci rosse”, la Yakuza ha deciso di appiccare il fuoco alle abitazioni come segnale d’avvertimento. Siamo nel Golden Gai, teatro di ristorantini e bar che spesso abbiamo apprezzato nella loro rilassante atmosfera (non a caso è proprio qui che Girasole termina il suo viaggio notturno, godendosi una scodella di Ramen fumante) in film, manga e anime (tornano subito i ricordi alla cinematografia di Ozu o agli anime di Satoshi Kon ma non solo. E’ ricorrente il tema del ritrovo a fine giornata dei lavoratori instancabili di Tokyo in questi minuscoli locali, per sorseggiare Sake o fresca birra Asahi).
Con le Olimpiadi in arrivo, il governo ha pensato bene di radere al suolo questa piccola realtà storica, unica nel suo genere, per edificare un parcheggio multipiano. La Yakuza non ha perso tempo nell’avvertire i frequentatori e i gestori delle attività. “Speriamo che ciò non avvenga” sostiene Pier Giorgio, seppur consapevole di quanto spesso la società giapponese sia una divoratrice delle novità e distruttrice degli oggetti passati.
Fortunatamente però non è sempre così, anzi molto spesso il mercato del vintage in Giappone diventa moda e stile quasi competitivo con quello contemporaneo. Così si anima uno dei paradisi per gli amanti del genere soprattutto in campo musicale e artistico. Stiamo parlando della particolarissima zona di Shimokitazawa dove brulica ancora oggi la vecchia scena Hippie giapponese che proprio qui negli anni 70 aveva iniziato ad aggregarsi. Giovani alternativi popolano le strade poco trafficate e strette del quartiere, tra negozi di vestiti, locali in cui poter esibire la propria arte o suonare dal vivo. Tra queste vie è comune incontrare bizzarri abbinamenti estetici che spesso non corrispondono ad una vera e propria nicchia indie, ma siano comunque parte di un contesto più ampio: “In Giappone ogni fenomeno è spunto per una commercializzazione estrema e quindi parlare di indie risulta un po’ complesso. Per lo meno in generale”, mi spiega Girasole. Ma lo scenario musicale non è soltanto questo.
Band come i Toe o i Lite, veri e propri alfieri del post-rock, (che rappresenta una delle influenze musicali alternative più vive in Giappone) si distanziano dai clichè commerciali nipponici. Che pure agli occhi di un occidentale non smettono di sorprendere. Ciò che infatti appare inflazionato in Giappone può risultare bizzarro, alternativo, ad un europeo. Le realtà di nicchia anche sulla terra del Sol levante esistono eccome, solo come forse anche da noi è più difficile scovarle e spesso si animano nelle notti insonni della città tentacolare.
Recentemente insieme a Lavinia Sardi (cantante e chitarrista dei Flamingo progetto musicale Tokyo-milanese) si parlava proprio di questo fattore e di quanto in un altro meno noto quartiere, Koenji, riviva la vera anima indie nipponica. Se infatti Shimokitazawa è il quartiere storico dei “figli dei germogli di bambù” (traduzione giapponese per “figli dei fiori”), Koenji oggi appare uno dei poli di riferimento in campo musicale alternativo (per chi volesse approfondire consiglio la lettura dell’articolo edito online sulla rivista Rumore scritto dalla stessa Lavinia).
Ma gli elementi ai bordi della società non finiscono qui, ed è sempre la notte che ne sviscera le più incredibili essenze. Due dei più appariscenti movimenti in questo senso legati al mondo dei mezzi di trasporto sono sicuramente: i camionisti impazziti del “Dekotora” e le donne in sella del “Bosuzoku”. Sulle “Autostrade Volanti di Tokyo”, come Mario Vattani (amico di Girasole e autore di un bellissimo libro sulla Tokyo “Sin City” dal titolo “Doromizu”) definisce le principali arterie della viabilità della città, corrono questi mezzi stravaganti. Se i “Dekotora” stupiscono per la loro eccentrica decorazione (come suggerisce il termine) esterna ed interna (una breve ricerca su internet vi farà balzare gli occhi ai primi risultati), i motociclisti del “Bosuzoku” appaiono un gruppo sociale senza dubbio più interessante. La donna, solitamente chiusa in un ideale maschile severo, durante la notte si trasforma in una biker spericolata seguendo quello che è un tratto distintivo della cultura nipponica: la sua a volte estrema mutevolezza di forme e tendenze. Se infatti per un periodo una diligente lavoratrice decide di correre sulle motociclette come nel capolavoro sci-fi “Akira” di Otomo o nel divertente e salace “Great Teacher Onizuka” (entrambi famosi anime giapponesi) lo può fare senza troppi ripensamenti. La metamorfosi avviene molto più frequentemente che in Occidente dove il costume sociale appare o meglio deve apparire sempre collegabile ad un determinato ruolo e livello. Il Giappone pur nella sua apparente rigidità si scioglie in un flusso sensibile sotterraneo e soprattutto femminile: perché sia nella musica che tra i seguaci del “Bosuzoku” sono proprio le donne ad essere le più curiose ed interessate. Questo forse soltanto negli ultimi vent’anni da quando l’emancipazione dall’universo maschile sta sempre più diventando realtà (Pier Giorgio consiglia la lettura di libri come “Real World, Grotesque o le Quattro Casalinghe di Tokyo” della talentuosa scrittrice giapponese, Natsuo Kirino).
Pertanto se qualora ci recheremo in viaggio a Tokyo, che sia l’occasione per un soggiorno più duraturo o un impegno lavorativo, non perdiamo di vista gli ambienti vivi della subcultura nipponica. Nel bene e nel male, come d’altronde in tutte le esperienze di vita all’estero. Il Giappone ci catturerà per il suo fascino ancora oggi di microcosmo esotico ed estraneo ma sempre empaticamente vicino. Con Pier Giorgio Girasole voltiamo pagina ed arriviamo al termine della notte, proprio tra i riservati Izakaya del “Golden Gai” per fermarci e ringraziare con umiltà nipponica le meraviglie che la notte ha offerto. Perché senza dubbio attraverso l’autocontrollo e la perseveranza il nostro rapporto occidentale nei confronti dei giapponesi può regalarci frutti di notevole sapore… aspettando ancora l’arrivo di una nuova primavera e la fioritura dei ciliegi (“Sakura” in Giapponese).