[REPORT] Giardini di Mirò: con gli occhi lucidi | sPAZIO211

Festeggiamo sotto palco i quindici anni di “Rise and Fall of Academic Drifting.

di Annalisa Di Rosa – C’era una volta, in un tempo lontano lontano, un paese dei balocchi chiamato Myspace. Era un luogo a metà tra Spotify, Facebook e Tinder, abitato per la stragrande maggioranza da musicisti, cantanti e attori. In questo posto incantato, dove anche una certa Lily Allen soleva pascolare serena, si condividevano passioni, canzoni e foto prima ancora che condividere passioni, canzoni e foto divenisse un dogma irrinunciabile. Diciamo che tra il 2004 e il 2008 era uno dei luoghi sull’internet in cui bisognava esserci, se non altro perché la quantità di musica che veniva caricata sul portale era pressochè infinita. Il proprio profilo Myspace dava la misura di ciò che si amava, che si ascoltava, che si seguiva.

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Io, arrivata lunga sull’onda del 2006 quando ormai mancavano un paio di anni soltanto alla chiusura definitiva del portale, seguivo tra gli altri il profilo di Nicolas Vaporidis, famoso all’epoca giusto per quel film tutto pariolino che è Notte Prima degli Esami, e poi per il matrimonio con Giorgia Surina. Vaporidis un giorno condivise un pezzo, ci cliccai su per ascoltarlo e mi arrivò come una sassata in testa: il pezzo era “Othello”, la band si chiamava Giardini di Mirò, e su Emule scaricai subito (si, illegalmente) quella gemma che è “North Atlantic Treaty of Love”, lo masterizzai e passai i successivi dieci giorni a chiedermi perchè cazzo la mia identità musicale avesse dovuto fare un giro cosi largo, passare addirittura da Nicolas Vaporidis per arrivare fino a Cavriago, dove fosse Cavriago, come recuperare tutta la discografia mancantestavolta legalmente.

Dieci anni, una sindrome adolescenziale, quattro dischi e diverse sonorizzazioni dopo, sono in fila per festeggiare il quindicesimo anniversario di quel “Rise and Fall of Academic Drifting che nel 2001 era per me ancora inaccessibile, ma che ritrovo in tutto il suo straniante splendore allo sPAZIO211. Un tour di nove date pensato per riproporre dal vivo un album che ha segnato, a giudicare dalla marea di persone presenti nel locale, parecchie coscienze, quando ancora si poteva parlare di “scena indipendente italiana” nella reale accezione del termine.

Non è un guardarsi indietro autocelebrativo, quanto piuttosto un lucidare Il Dono pubblicamente, cogliendone insieme ai fan i nuovi riflessi e le nuove possibili declinazioni

Tra quella marea eterogenea di persone commosse, perse in solitaria, perse abbracciate, con gli occhi lucidi, arrivi a riflettere sul fatto che ci sono cose da cui non esci vivo, che ti scorticano il centro del sistema nervoso e che tuo malgrado cambiano per sempre il tuo approccio alla musica. Da quel primo ascolto per il quale galeotto fu Nicolas Vaporidis, mi si aprì un mondo fatto di Notwist, Mogwai, Tortoise, Mono, Explosions In The Sky che ha poi definito i miei ascolti successivi. Chiedendo un po’ in giro prima del live, la sensazione generale è più o meno la stessa.

Nessuno ha poi troppa voglia di parlare quando il concerto inizia, c’è un’attenzione palpabile verso il palco, la curiosità di cogliere il “cambiamento dei Giardini di Mirò. L’attitudine non è diversa, il suono sì: tralasciando gli ovvi quindici anni di esperienza maturata, è anche – molto banalmente – una questione tecnica di strumentazione attualmente disponibile a fare la differenza. Cosi “Trompso is ok” è un’altra sassata in testa, “Pet Life Saver” è sempre delicata senza più essere fragile, “Little Victories” è se possibile ancora più squarciante. Non è un guardarsi indietro autocelebrativo, quanto piuttosto un lucidare Il Dono pubblicamente, cogliendone insieme ai fan i nuovi riflessi e le nuove possibili declinazioni. L’amalgama che compone i Giardini di Mirò è fatto di virtuosismi cosi come di angoli rotti, di detonazioni e di momenti refrattari, di sudore e compostezza, di Slowdive e Notwist.

La sofferenza – buona – in sala è visibile ad occhio nudo, si coglie un po’ di sindrome di Stendhal su alcune facce, l’ascolto è attento anche se bagnato di birre e il live scorre via tra muscoli morbidi e denti stretti. Per chi se lo stesse chiedendo quindi, Trompso is ok, i Giardini di Mirò pure: si esce frastornati, felici. Fuori è il 2016 e su Facebook e Youtube appaiono già i primi video del live allo sPAZIO.