La Verità sta in Cielo: il film di Faenza sul Caso Orlandi convince solo in parte

Roma, bische clandestine e lussuosi appartamenti del Vaticano: tra malavita patinata e ammiccamenti dandy, il film di Roberto Faenza finisce per essere una versione meno riuscita di Romanzo Criminale?

di Carlo Montrucchio  –  Che cosa ha determinato la sparizione di una giovane cittadina dello stato del Vaticano nel giugno dell’83? Qual è la verità sul caso Emanuela Orlandi? Domande che da trent’anni ancora attendono risposta, e sulle quali questo film intende fare luce.

Tutto ha inizio con un’inchiesta londinese su “Mafia Capitale” e le indagini di due abili e affascinanti giornaliste (Maya Sansa e Valentina Lodovini) che, grazie alla testimonianza della pentita Sabrina Minardi, vogliono andare all’origine del vecchio, ma non sepolto, mistero italiano: una dura realtà raccontata dalla Minardi nei suoi flashback, fatta di intrallazzi tra esponenti della banda della Magliana e oscuri prelati più vicini al diavolo che ai santi.

«Passato e presente, verità e pathos, finiscono per cozzare e travolgere lo spettatore, con un eccesso di informazioni e di irruenza emozionale»

Il film fa coesistere così due elementi: quello di indagine, legato al presente e alle figure delle due giornaliste, e quello più lirico ed emozionale, legato al passato e ai personaggi del boss Enrico Renatino De Pedis (Riccardo Scamarcio) e della sua amante Sabrina, interpretata intensamente da Greta Scarano, sia nella versione trasgressiva e giovanile, sia in quella pentita e sfatta dagli eccessi. I due elementi però, passato e presente, verità e pathos, finiscono per cozzare e travolgere lo spettatore, con un eccesso di informazioni e di irruenza emozionale.

La figura dell’ambizioso delinquente testaccino, dandy amante del potere e delle belle donne e capace di passare con disinvoltura dalle bische clandestine ai lussuosi appartamenti del Vaticano, è sicuramente molto attraente, come già hanno intuito De Cataldo, Placido e Sollima, ma, a differenza di questi ultimi, Faenza non ha saputo trattare il personaggio, offrendone una brutta copia di Romanzo Criminale. In altre parole, il personaggio dell’ennesimo De Pedis con tanto di ammiccamenti “pulp” e musica italiana di serie B in sottofondo, stona di fronte al nobile pretesto di voler portare a galla una verità, che a dire del Santo Padre “sta in cielo” e rischia di fare del film l’ennesima visione stereotipata di un Bel Paese cupo e corrotto, che neppure la fede in Dio potrà salvare.