La presentazione dell’ultimo album, Of Grog Vim, è anche l’occasione per celebrare i vent’anni di attività di una band nata e vissuta nel culto dell’esplorazione sonora. Grazie alla disponibilità del polistrumentista Fabrizio Modonese Palumbo possiamo proiettare uno spiraglio di luce sul loro passato, presente e futuro.
foto di Fabio Mereghetti
di Luca Richiardi – Come è nato Larsen? Chiediamo a Fabrizio. “Nulla di particolarmente interessante. Volevamo suonare.” ci risponde laconicamente. Ma poi approfondisce, parlandoci della nascita, nel 1996, del primo album No arms, No Legs : Identification Problems, registrato e prodotto a New York da Martin Bisi. All’epoca si affiancavano a Fabrizio il batterista Marco “Il bue” Schiavo e la bassista Silvia Grosso, fuoriuscita poi dopo il secondo album e mai rimpiazzata nella line-up, che oggi include Paolo Dellapiana alle tastiere e Roberto Maria Clemente alla chitarra.
Il sound dei primi Larsen nasce “dalla fascinazione per il suono e l’estetica di una certa New York, quella passata per l’appunto dai BC Studios dove andammo a registrare, la no wave, i primi Sonic Youth, Cop Shoot Cop, Swans , Foetus, amori e passioni giovanili”, ma è soprattutto dopo la collaborazione con Michael Gira (anima degli Swans e patrono della Young God Records) in veste di produttore del secondo album Rever che, rivela Fabrizio, i Larsen trovano “la nostra identità e il nostro suono che di lì in poi è stato il nostro unico focus”. Una collaborazione che, nel surreale resoconto di Gira stesso, prende pieghe mitiche e non fa che aggiungere fascino al mistero della band.
Quella con Gira non è certamente l’unica collaborazione eccellente della band, che ha sempre conversato con le formazioni più interessanti della musica sperimentale internazionale. Per Fabrizio, al quale chiediamo quali siano state le maggiori soddisfazioni di questi primi vent’anni di lavoro, è indubbiamente fondamentale l’apprezzamento, dimostrato con la condivisione di lavori, da parte di colleghi illustri, spesso di fama internazionale e che godono certamente della stima della band; ma non solo, prosegue Fabrizio: “Direi che la soddisfazione principale sia aver fatto i dischi che abbiamo fatto ed aver sempre trovato ascoltatori preparati e spesso entusiasti ovunque nel mondo con cui interfacciarci”. Soddisfazioni anche nel panorama italiano, limitato per motivi endemici nella fruizione della musica sperimentale, dove “negli ultimi vent’anni il modo di vendere e percepire la musica è cambiato moltissimo, ma pubblico curioso ed “attivo” ce ne è sempre stato” e all’interno del quale è piacevole “vedere come per alcuni giovanissimi ascoltatori e ancor di più musicisti Larsen sia diventato un punto di riferimento“. Una risposta che i Larsen non si sarebbero mai aspettati, ci confessa: un enorme piacere e una conferma della qualità del lavoro di una carriera lunga e coerente.
Nel doppio concerto, tenutosi nell’ambito del XXIII ISAO festival al Cimitero di San Pietro in Vincoli, i Larsen hanno proposto due scalette che differiscono nel finale (venerdì e sabato, il secondo appuntamento con la partecipazione di Ramon Moro alla tromba), incentrate sulla loro ultima fatica Of Grog Vim, uscito quest’anno, con ottime recensioni, per l’etichetta Important Records. Opera concettuale, e album totalmente strumentale, omaggio alla misteriosa figura titolare di Grog Vim, le cui origini s’aggiungono al novero dei misteri che circondano le vite dei Larsen.
Gli sforzi artistici della band proseguono, e il futuro si presenta ricco di opportunità; alla lavorazione su un nuovo ep, con Little Annie alla voce, seguirà “Coco“, la collaborazione ad un progetto audio-visivo con i fotografi Jacopo Benassi e Federico Pepe, per il quale i Larsen forniranno le musiche.
E poi? “E poi non so. Altra musica direi. Il vantaggio di essere indipendenti è che nessuno ci corre dietro e quindi possiamo fare quello che vogliamo, come e quando lo vogliamo”. Grazie ancora a Fabrizio Modonese Palumbo e ai Larsen.