Jazz:Re:Found va in città: il festival cresciuto a Vercelli approda per la prima volta a Torino ed è tra i pochi a guardare all’America…
Un trasloco non è mai facile. Anche quando la nuova “casa” sembra costruita su misura. Il Jazz:Re:Found, cresciuto all’ombra delle risaie vercellesi tra groove e blaxploitation, si è deciso a fare il grande salto e ha retto il passo della motorcity. Non sono mancate le difficoltà, di fronte a meccanismi ragionevolmente non ancora ben oliati, ma nel complesso, questo battesimo di fuoco stampa un bel sorriso in volto e lascia ben sperare per il futuro.
Melting pot
L’ibrido tra radici black ed elettronica futuribile è qualcosa di tutto sommato inedito a queste latitudini. Al crocevia tra passato e futuro, Americhe e Africa, tra il clubbing illuminato di Movement e Club To Club e la retromania del Torino Jazz Festival, il Jazz:Re:Found si fa portavoce di un presente meticcio e di un groove democratico.
Contaminazione è la parola d’ordine, non solo di stili ma anche di persone: il pubblico di questo festival sembra in effetti essere un crogiolo di appassionati di musica provenienti da ascolti apparentemente lontani.
Serve, a parere di chi scrive, una realtà che non si focalizzi su rock più o meno indie ed elettronica in senso stretto, ma guardi alla black music e a tutta quella fetta di mercato americano che fa fatica ad arrivare sulle “tavole” europee. Perché per quanto attualmente il rap e l’elettronica godano in linea di massima del consenso delle masse, facciamo molta fatica a portare i big internazionali del genere in Italia con una certa regolarità. Modificare questa inerzia, scardinare questa roccaforte, senza diventare la fotocopia di festival già visti e rivisti, potrebbe essere il più nobile degli obiettivi per il futuro di JRF.
Se Jazz:Re:Found va in città, quindi, continui a farlo senza alcun tipo di provincialismo. Mi chiedevo se a lungo andare il nome del festival, con quel “jazz” così ingombrante, non rischi di essere un po’ riduttivo, se non penalizzante, non restituendo appieno il melting pot alla base del progetto. Black:Re:Found?
Highlights
La doppietta iniziale al Cap10100 fa dialogare le anime del Jazz:Re:Found come da copione. Puntuali e sagaci le introduzioni di un Damir Ivic (storica firma di Mucchio, Soundwall e non solo) in veste di presentatore. Nella prima serata prevale il coefficiente elettronico. Per un Gold Panda non troppo in forma (l’attesissimo producer britannico non coinvolge mai veramente, alternando lampi di genio ad istantanee fuori fuoco e beat privi di mordente), c’è un Populous in stato di grazia (eletto in maniera abbastanza unanime come uno degli act più interessanti di quest’annata) e Il Pugile pronto a mettere a segno il colpo del K.O. nei prossimi mesi.
L’amarcord della seconda serata ha invece un piede nel futuro. I veterani, la vecchia guardia, la old school, i pionieri sono (quasi) sempre un piacere per le orecchie e il cuore. Il lavoro di “filologia” di Jazz:Re:Found in questo senso ha un valore assoluto. E questo andare alle radici della black music serve ancora di più in un Paese sulla soglia dell’analfabetismo in materia. Per di più se uno scatenato Roy Ayers – The king of the vibes – si diverte come un ragazzino sul palco del Cap10100, convincendo un pubblico infreddolito a cantare a squarciagola che “Everybody Loves The Sunshine”. Ma la vera sorpresa è ancora una volta “fresca” e si tratta del giovane Dèbruit: funk speziato, bassi unti e bisunti e un groove che conduce dritti dritti all’afterparty dell’Azimut dove ci aspetta un’altra leggenda vivente che risponde al nome di Carl Craig.
Tris
Il trio delle meraviglie composto da Dj Premiere, Moodymann e Theo Parrish regala una performance da antologia – al netto di qualche inconveniente tecnico (qualunque ne sia la causa, va detto, affrontato con il piglio giusto e una certa signorilità da parte di tutti: sul palco, dietro le quinte e tra il pubblico). La crew del Jazz:Re:Found si complica la vita scegliendo una location un po’ insolita e sconosciuta persino ad una buona fetta di pubblico autoctono: il Q35, in Barriera di Milano.
La serata però si è aperta lungo il Po, all’Esperia, con il live del portentoso Thundercat, fuoriclasse assoluto del basso elettrico e prezioso collaboratore di pesi massimi della black music contemporanea. Ad ogni modo, dicevamo, il trittico di santini che si alternano sul palco potrebbe essere effigiato sulle cattedrali di Detroit e New York.
Un unico punto di partenza per tre punti di approdo differenti, in un viaggio dai 80 ai 130 bpm che conduce dritto al Nirvana della black music.
Il back2back di Parrish e Moodymann è l’apice di questo Jazz:Re:Found che prova a mettere Torino tra le province americane, ma non si dimentica del prodotto a chilometro zero, affiancando ai big d’oltreoceano dei local heroes come Sweet Life Society, Gambo, le crew di Genau, The Dreamers e Soulful Torino.
Forse il tutto è stato spalmato su troppi giorni, risultando alla fine un po’ dispersivo (la coda di lunedì ha visto avvicendarsi ottimi musicisti, vero, ma aveva anche il sapore del brodo allungato). Il Jazz:Re:Found ha tutte le carte in regola per entrare nel cuore dei torinesi e non.
Ha mostrato il suo DNA, la sua ossatura: ora è il momento di lavorare sui dettagli, sulla “narrazione” del festival, per alzare definitivamente il tiro. Così da puntare ai nomi più caldi in circolazione (ehm, i collaboratori di Thundercat, per dire?). Ad ogni modo, bisognava chiudere un capitolo e aprirne un altro. A questo punto, siamo davvero curiosi di sapere che pieghe prenderà questo romanzo. E se la “consolazione” per Vercelli è un’altra manifestazione dal respiro internazionale come Nylon Festival non possiamo che essere ottimisti.