Il caso Frank Ocean e il caos Blond

Blond(e) o non Blond(e)? Alla fine, sfumato il polverone mediatico delle scorse settimane, com’è il nuovo disco dell’atipico rapper che unisce i puntini tra comunità LGBT e rap?

di Luca Morazzini  –  Circa 4 anni fa la stampa e la maggior parte del pubblico attivo/recettivo sindacò che Frank Ocean fosse l’entità che stavamo tutti aspettando, colui del quale la Scena della Valley aveva disperatamente bisogno con una delle forme di democrazia diretta preferite dalla nostra storia risorgimentale: il plebiscito. L’estate del 2012 fu senza dubbio l’estate di Channel Orange, quel disco tutto arancione che si incastonava perfettamente negli highlights dei dischi che segnavano un prima e un dopo. Eccolo Frank che con i suoi testi e la sua musica  ci parla di se come fosse una sineddoche umana con basi che sono lo zeitgeist perfetto della simbiosi sonora degli anni Duemila. Poi qualche anno dopo è uscito finalmente il suo secondo Album in studio, Blond(e)*, anticipato dal visual album Endless.

*Dapprima è uscita una versione dell’album: Blond. Poi un’altra – definitiva (?) – intitolata Blond(e). 

La lunga attesa ha fatto si che intorno ad Ocean si creasse la migliore situazione possibile per chi ha ancora molto da dimostrare ma ha ancora di più da dire, a quanto pare, ovvero la mitomaniaca attesa all’insegna del “chissà questa volta cosa farà accadere”. Parlando di Endless la Def Jam, la sua etichetta, aveva già preso accordi con Apple Music prima dell’uscita del disco fatto che sembra abbia portato Frank a far uscire Blond direttamente con la sua Boys don’t cry recapitando alla Def per l’appunto Endless. Ecco in pratica si tratta di un lungo video di circa 40 minuti con musiche che hanno le sembianze di un mixtape e il monito di: meglio essere all’inizio di una scala che ti interessa scalare piuttosto che a metà di una che non lo fa.

Quindi il 20 Agosto è uscito Blond insieme alla rivista Boys don’t cry, in edizione limitata, e subito c’è chi ha storto il naso davanti ad una mossa che Ocean stava preparando da molto tempo e che ha aggiunto sicuramente un gradino alla sua legacy.

Il disco è un viaggio nel suo subconscio offuscato da fumi nebulosi, si va verso una decostruzione progressiva della canzone fino ad arrivare a veri e propri stream of consciusnes dipinti da lyrics omeliache.

La musica questa volta è solamente uno sfondo sbiadito, si recuperano perfino accordi di chitarra, sample di tastiere e credits che volutamente vengono mascherati per lasciare spazio alle digressioni di Frank. Blond si apre con Nikes, che è anche il primo singolo estratto, e continua con Ivy in cui il percorso di Ocean si scontra metaforicamente con un X6 che fa riaffiorare i ricordi di un amore passato. Le auto in Blond occupano uno spazio importante, sono dei tropi che si ricollegano a precisi attimi e sensazioni, c’è l’Acura di “Nights” che rappresenta i ricordi collegati alla famiglia, c’è la White Ferrari dell’omonima canzone che rappresenta uno status quo acquisito che però è al tempo stesso un muro verso la ricerca dell’empatia sognata. La paura della perdita dell’autocontrollo in “Solo”, “You come sluggish, lazy, stupid and unconcerned”, l’etereo struggersi di “Self Control”, e l’auto-accettazione di Pink+White “That’s the same way you showed me” fanno da collante in questo quadro. Menzione speciale la merita Andre 3000 Benjamin, già presente in Channel Orange, che in Solo (reprise) riesce a farci ricordare quanto sia insopportabile la sua latitanza discografica, con il suo flow inusitato. Il disco svanisce lentamente nella sua durata di un’ora circa con un flusso rivolto alla madre in Futura Free, “I’m just a guy I’m not a god, Sometimes I feel like I’m a god but I’m not a god, If I was I don’t know which heaven would have me momma”, ma ecco spuntare una Lexus e con lei vecchi ricordi con un “Remember when I had that Lexus, no Our friendship don’t go back that far, Tyler slept on my sofa yeah”, riferito ai trascorsi nella Odd Future.

In questi casi si parla di maturità, di prova superata, il che va di pari passo con la necessità di mettere un bandierina segna tempo al prodotto, ma è come se Blond non volesse far parte di questo processo, un po’ come se volesse dire: non sono il successore di Channel Orange, sono solo un disco di Frank Ocean.

Nell’ultimo decennio le grandi figure della musica sono state tutte esponenti della Black Music, dalla semi-divinità autoreferenziale Kanye West al nuovo profeta Kendrick passando per Beyoncè, Frank Ocean si inserisce come un qualcosa di singolare per la sua figura di ponte tra comunità LGBT e Hip Hop, “ruolo” condiviso con pochi e che porta avanti con un fare morigerato e riflessivo ma allo stesso tempo brillante, e Blond ne è un contenitore perfetto.