Motta e il suo “La fine dei vent’anni” (Woodworms, 2016) sono considerati alcuni dei migliori prodotti della scena italiana del 2016. Per la produzione del suo album di debutto il cantautore toscano si è avvalso della preziosa collaborazione di Riccardo Sinigallia, ritenuto uno dei migliori produttori della scena nostrana.
di Simone Picchi – “La fine dei vent’anni tour” tocca la Sicilia per l’unica data isolana, nella splendida cornice del Teatro Greco di Tindari all’interno di Indiegeno Fest, ormai giunto alla sua terza edizione. In questa atmosfera ricca di storia abbiamo intervistato Francesco Motta, immersi nella natura e circondati da colonne greche, in un’interessante chiacchierata in cui si è parlato di musica e non solo.
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Cominciamo con una domanda a bruciapelo. Perché dovremmo ascoltare Francesco Motta?
“Perché ci metto tutto me stesso in quello che faccio. Credo che questa sia la cosa più importante. E perché c’ho messo un sacco di tempo a fare uscire il disco (ride, ndr).”
Prima del tuo debutto hai iniziato con una band, i Criminal Jokers, collaborato con Pan del Diavolo e Nada – giusto per citarne un paio – e hai scritto diverse colonne sonore. Rileggendo il tuo curriculum vitae la domanda sorge spontanea: perché il tuo debutto solista giunge solo ora? È stata una scelta oppure è stato semplicemente il fluire delle tue esperienze a definire i tempi?
“Non è stato un percorso musicale programmato. I tempi erano maturi per realizzare tutto ciò che ho sempre desiderato fare, ovvero scrivere canzoni. In questi ultimi anni, lavorando al disco, ho avuto l’occasione di poter finalmente dare voce alle mie parole. A proposito, voglio sottolineare l’importanza di Riccardo (Sinigallia, ndr), che grazie alla sua esperienza, alla sua cultura e alla sua enorme pazienza ha dato forma alle mie idee che sono estremamente legate all’istintività. Gli devo molto.”
“La fine dei vent’anni” è un disco che riesce a dare voce ad un sentimento comune di rassegnazione della nostra generazione. A mio avviso la luce della speranza, silenziosamente e fra le righe, ha un ruolo molto importante all’interno dei tuoi testi.
“Credo che ci sia molta speranza nei miei pezzi, a dispetto di ciò che può apparire ad un primo ascolto. È piuttosto un messaggio che prende vita automaticamente, senza la necessità di alimentarlo. Non credo sia necessario scrivere un testo che utilizzi parole standardizzate per lanciare il proprio messaggio.”
I vent’anni a cui fai riferimento sono da intendersi nell’accezione anagrafica o piuttosto ad una condizione?
“La mia scrittura è autoreferenziale, e in questo caso quindi mi riferisco a questo momento della mia vita. Mi sono accorto che l’ascoltatore è molto più interessato quando si è disposti a mettere il cuore sul tavolo, perché ci sono più possibilità che ci si rispecchi. Non volevo fare discorsi generazionali perché non credo che competano a chi scrive canzoni.”
Ho letto alcune interviste in cui però ti definisci politico…
“Quel discorso è un po’ diverso. Credo che la politica sia presente ogni qual volta si prende una posizione. Il discorso non ha a che fare con l’idea di farsi portavoce di una generazione.”
Quindi mi sembra di capire che tu veda il ruolo dell’artista da un altro punto di vista, diverso da quello dei decenni precedenti e non più voce di una generazione.
“Secondo me nessuno lo ha mai fatto intenzionalmente. È improbabile che un’artista pensi di scrivere una canzone bella perché politica o generazionale, perché è difficile che venga fuori qualcosa di positivo. Con questo non voglio dire che si sia persa la voglia di prendersi le proprie “responsabilità” e che di conseguenza non ci siano più i cantautori. È anche cambiato il pubblico. Ora come ora, ad esempio, io sono certo che se fai ascoltare un Guccini ed un Sinigallia verrà preferito nella maggioranza dei casi il secondo.”
Visto che hai toccato il tema dell’evoluzione del cantautorato, chi ti ha influenzato maggiormente a livello di scrittura?
“Da piccolo ascoltavo tantissima musica americana. Nonostante non capissi la lingua sentivo una grande forza a livello di scrittura. Questo mi è capitato con Bob Dylan e ricordo la mia eccitazione nel momento in cui tradussi i suoi testi. Da un po’ di anni a questa parte ascolto maggiormente la musica italiana perché sento il bisogno di guardare negli occhi l’artista e cogliere le sue parole. Detto ciò, tendo comunque a distinguere l’uomo dall’artista, anche perché nella scrittura si riesce a capire subito se esiste questa distinzione.”
Riguardo la fruibilità del mezzo musicale, come vivi l’epoca del digitale?
“Premetto di essere un pessimo ascoltatore e di ascoltare poca musica, soprattutto quando sono impegnato a produrre. Preferisco andare ai concerti. Non trovo una grande differenza sull’ascoltare un pezzo su un vinile o sull’ascoltarlo su Spotify. Per quanto riguarda la produzione è innegabile l’aspetto positivo di questa evoluzione. Metà disco io l’ho prodotto in casa. Una cosa impensabile fino a una decina di anni fa.”
Non sei uno di quegli artisti che attribuiscono la crisi delle vendite all’avvento del digitale e alla facilità in fase di produzione, di fruibilità e commercializzazione?
“Posso dirti che è difficile vivere di musica come lo era anche prima. Non credo sia legato a questo discorso. Più che altro trovo che ci sia un problema nella gestione dei diritti che debba essere risolto.”
Come ti poni riguardo alla possibilità di cambiare il tuo stile in funzione di un maggiore successo?
“Il discorso è complesso. Viviamo in un mondo in cui c’è poco spazio per la pazienza e credo che questo debba responsabilizzare a livello di scrittura. Io mi ritengo pessimo da questo punto di vista, perché sono molto istintivo ma nello stesso tempo iper-critico. Ciò che credo sia importante è che nello spazio del primo minuto e mezzo di canzone si debba dare un motivo all’ascoltatore per continuare l’ascolto. Metterci tutto se stessi. Per cui il cambiamento del mio stile deriva principalmente dall’essere critico verso me stesso. Non è importante lo stile in sé , piuttosto l’evitare di annoiare l’ascoltatore, ma soprattutto me, in quanto sono soddisfatto del lavoro svolto solo dopo averlo criticizzato.”
Per chiudere l’intervista, quali sono i tuoi progetti futuri?
“Cercare di fare un altro disco (ride, ndr) e continuare a lavorare con Riccardo.”