Lo studio sulla luce pittorica nella mostra “Da Lotto a Caravaggio”, allestita con grande cura dei dettagli nel Complesso Monumentale del Broletto.
di Federica Giallombardo – La città di Novara è una delle espressioni più malinconiche dell’architettura e della storia dell’arte piemontese: di ampio respiro nel suo centro, austera se pur ricca, riesce a ospitare stili, commistioni e suggestioni in contrasto tra loro già nel solo polo principale, composto dalla Cattedrale, dalla Canonica e dal Complesso Monumentale del Broletto. In quest’ultimo, dal 10 aprile al 24 luglio 2016, si è tenuta la mostra Da Lotto a Caravaggio. La collezione e le ricerche di Roberto Longhi, a cura di Mina Gregori e Maria Cristina Bandera (Presidentessa della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi), con il sostegno del Comune e della Provincia di Novara e della Compagnia di San Paolo.
È stato un intenso, ambizioso e cupo percorso quello offerto dall’esposizione della collezione Longhi, che pare assecondare il carattere del critico della “pittura della realtà”. Attraversando in ordine cronologico le diverse epoche della storia dell’arte, dall’Officina ferrarese del Cinquecento (Dosso Dossi e Amico Aspertini), all’opera di Lorenzo Lotto e Romanino fino al periodo di Caravaggio e dei suoi successori (Saraceni, Borgianni, Fetti, Stom, Van Honthorst, Mattia Preti, Lanfranco), l’esposizione si è conclusa con la serie dei Santi di Jusepe de Ribera, punto di approdo della parabola che, partita dai maestri veneti e lombardi, ha avuto come apice lo studio della luce dei caravaggeschi.
Ma la luce, in questa particolare occasione, ha saputo riflettere un singolare taglio “lunare”, inedito se si pensa alla concezione convenzionale dei caravaggeschi e dell’arte seicentesca. Alcune opere, come il Giovane con canestro di fiori (1524-1526) di Dosso Dossi, trapelano un ottimismo che subito è stato smentito da dipinti fortemente intimisti nonché incredibilmente moderni per tocco e colore, tra i quali spicca il fragile Ritratto di giovane con libro (1526 ca.) di Lorenzo Lotto: da considerarsi uno dei più eleganti esempi di ritratto psicologico delle origini del genere, sia per tensione che per composizione sapientemente evocativa (e qui si abbandona l’idealizzazione di Tiziano).
Nonostante l’insormontabile grandezza di Caravaggio – concessa da un San Giovanni Battista del XVII sec. – l’attenzione ripiegava sulla peculiare esperienza di riscoperta e rivalutazione di opere troppo a lungo sottovalutate e sconosciute ai più, quali l’Incoronazione di spine (1610 ca.) di Pier Francesco Mazzucchelli (detto il Morazzone), tenace nella sua drammaticità; la Guarigione di Tobit (1640-1649) di Matthias Stomer, con l’accenno di un angelo già neoclassico; la Sacra Famiglia con sant’Anna (1614-1615) di Orazio Borgianni, picco del luminismo violento e a volte inclemente derivato da El Greco.
Opera che meglio ha sottolineato la presenza di luce fredda e calcarea, atmosfera dominante di tutta l’esposizione, è Concerto a tre figure di Mattia Preti (1630 ca.): artista che inizialmente si dedicò al naturalismo della scuola di Caravaggio con scene di genere (musicisti, giocatori d’azzardo, soldati, ecc.) e che, proprio a cavallo di quest’opera, concluse la stagione caravaggesca a Roma, attanagliando con forti contrasti di luce e ombra i soggetti spettrali, trasformando gli incarnati in argentei, affettati volumi drammatici.
Se si dovesse fare una summa dell’intera esposizione, sicuramente la parola chiave sarebbe “dettaglio”: il particolare, la premura con cui le opere sono state collocate e indirizzate all’immaginario dello spettatore sono stati i punti cardine di questa mostra che ha voluto, pur nel suo piccolo e con qualche difficoltà di visibilità, rielaborare uno scenario tra i più contrastanti e interessanti della storia dell’arte, sempre considerato a comparti stagni dal grande pubblico.
Per altre info e il catalogo completo della mostra: http://www.mostralottocaravaggio.it