Unica data in Italia al Market Sound di Milano: un forte impatto visivo (con tanto di cascata di coriandoli) non fa dimenticare ai Tame Impala di essere innanzitutto una delle band psych-pop più influenti degli ultimi anni.
di Stefano D’Ottavio – L’attesa per il ritorno dei Tame Impala era tanta, ad un anno di distanza dall’ultima apparizione in Italia. Questo si è notato dalla fiumana che ha invaso martedì sera l’area del Market Sound di Milano. Dopo gli ultimi due album, Lonerism (2013) e Currents (2015), che hanno imposto la band australiana come uno dei gruppi rock più amati ed importanti a livello globale (e venerati da gente come Alex Turner, beccato a ballare durante il loro set all’ultimo Glastonbury Festival (http://www.nme.com/news/the-
E così è stato: i primi quaranta minuti sono veramente esaltanti, soprattutto nella sequenza The less i know the better, Elephant e l’inaspettata Daffodils, cover del funkeggiante brano di Mark Ronson a cui il buon Kevin Parker presta la voce. Il tutto condito da una cascata di coriandoli e colori lisergici, offerti da azzecatissime visual psichedeliche, tanto imponenti quanto poco invadenti ed eccessive, in quanto minimali e perfette per accompagnare tutto il trip lasciando spazio alla musica. E’ proprio grazie alle visuals regolate dall’equipè in camice bianco a bordo palco che è possibile non annoiarsi quando il concerto, dopo l’inizio spumeggiante, diventa più calmo e blando: bellissima la parte di chitarra-solo del frontman, in cui ad ogni corrispondevano linee e forme sullo schermo. Dopo altri brani, tra i quali viene dato spazio anche a qualcosa del primo Lp “Innerspeaker” (2010) il finale del set è l’epica Apocalypse Dreams,diluita ed allungata fino allo stremo.
Al ritorno sul palco dopo la consueta pausetta, gli australiani regalano ancora l’inno Feels like we only go backwards, accompagnata da un sing-along a squarciagola del pubblico, e New Person, same old mistakes, l’ultima traccia di Currents.
Insomma, un ottimo concerto, bello ma ancora con i piedi per terra, anche se ne è passata di acqua ed lsd sotto i ponti da quando i Tame Impala, per esempio, solo cinque anni fa suonavano allo Spazio 211 di Torino in compagnia degli Orange del “Nongiovane” Francesco Mandelli. Non ci rimane che aspettare un nuovo arrivo in Italia, che, come promette Kevin alla fine del concerto, sarà “very soon”, nella speranza che in futuro non vengano inglobati da visual più esagerate, effetti (troppo) speciali e braccialetti luminosi a-là-Coldplay, affinchè rimanga al centro del concerto sempre e comunque la loro musica, che può fare vivere un’esperienza molto intensa anche senza correggersi l’estathè con sostanze strane.
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